Pubblicato: ven, 29 Nov , 2013

Stato-mafia, i pm di Palermo respingono lettera di Napolitano

La missiva non entra in dibattimento. A sua acquisizione opposte anche alcune parti processuali

 

Giorgio-Napolitano1La lettera inviata dal capo dello Stato alla Corte d’Assise di Palermo, che celebra il processo sulla trattativa Stato-mafia, non entrerà nel fascicolo del dibattimento perché alcune parti processuali, prima fra tutti la Procura, si sono opposte alla sua acquisizione.

La mancata acquisizione della lettera comporta che la Corte non si pronuncerà sull’eventuale rivalutazione della decisione di citare Giorgio Napolitano, che, nella missiva di quest’ultimo, era stata sollecitata. Il presidente della Repubblica, in data 31 ottobre, aveva scritto la tanto discussa lettera poiché «riteneva doveroso fare presente alla Corte alcune circostanze».

Innanzitutto, che «la lettera indirizzatagli il 18 giugno 2012 dal dottor Loris D’Ambrosio, con la quale egli volle rimettermi l’incarico di Consigliere per gli Affari dell’Amministrazione della Giustizia, è stata pubblicata nella raccolta di miei interventi del periodo 2006-2012 […] con un preciso intento di massima trasparenza nel documentare e onorare il travaglio umano e morale del Consigliere D’Ambrosio, provocato dalla diffusione, sulla stampa, di testi registrati di conversazioni telefoniche con il sen. Mancino, intercettate dalla Procura di Palermo e da cui venivano ricavati elementi di grave sospetto su comportamenti tenuti dal mio collaboratore».

Napolitano ricorda come D’ambrosio fosse «indignato» per le «arbitrarie insinuazioni che colpivano la costante linearità della condotta da lui tenuta, in modo particolare rispetto all’impegno dello Stato nella lotta contro la mafia». Per tale motivo, decise di invitarlo il giorno seguente, il 19 giugno, nel proprio studio, per convincerlo a mantenere l’incarico di Consigliere.

Per ciò che riguarda il passaggio della lettera di D’Ambrosio, cui fa riferimento la richiesta di testimonianza del capo dello Stato, Napolitano afferma di «non avere alcuna conoscenza utile da riferire al processo» e per questo chiedeva di rivedere la decisione della Corte. Un appello come minimo “curioso”, che rivela un’evidente confusione di ruoli.

Non spetta certo alla persona chiamata a testimoniare al processo -non importa se si tratti del presidente della Repubblica- decidere se le dichiarazioni che dovrà rendere davanti alla Corte possano essere utili o meno all’accertamento della verità. È un ruolo che spetta esclusivamente alla magistratura. Ecco perché il documento di Napolitano non ha potuto trovare ingresso nel dibattimento.

A spiegare meglio le motivazioni che hanno portato la Procura palermitana a respingere la tanto discussa lettera, è il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. «Non ci sono norme che consentono di surrogare la testimonianza con scritti provenienti dallo stesso testimone. Si tratta di un atto fuori dalla regola che non ci consente di rinunciare alla testimonianza del capo dello Stato. […] Riteniamo, anzi, la sua deposizione utile per poter chiarire alcuni aspetti fondamentali». Quindi, confermando la richiesta di ascoltare il presidente della Repubblica come teste ha ribadito: «La lettera del capo dello Stato non può essere intesa come sostitutiva della testimonianza del teste. La lettera infatti non esaurisce l’argomento da chiarire così come da capitolato di prova».

Contro l’acquisizione della lettera di Napolitano, oltre alla Procura, si erano espressi i legali di Massimo Ciancimino, D’Agostino e Russo; gli avvocati di Giovanni Brusca, Fioromonti; del Centro studi Pio La Torre, Barcellona; e del Comune di Palermo, Airò Farulla. Quest’ultimo, in particolare, era stato il primo a chiedere che la missiva non entrasse nel dibattimento in corso. «Se consentissimo ad un soggetto, seppur il presidente della Repubblica, con una semplice lettera, senza giuramento, di non testimoniare, – aveva detto – si formerebbe un precedente pericolosissimo. Se il presidente non ha nulla da dire, ce lo dirà sotto giuramento».

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