LE MAFIE SONO UNA REALTÀ DEVASTANTE CON CUI FARE I CONTI, ANCHE IN TOSCANA

 

di Filippo Torrigiani, Consulente Commissione Parlamentare Antimafia

Si inizia da qui, dall’attualità: la vocazione sempre più imprenditoriale delle consorterie criminali e gli interessi delle stesse nei confronti di fette importanti dell’economia, sono in piena espansione e nessuna realtà può considerarsi immune.

La capacità di permeare il tessuto sociale ed economico dei territori consta di un elenco lunghissimo: le estorsioni, il controllo della prostituzione e la tratta degli esseri umani, a danno soprattutto degli immigrati; il traffico internazionale delle armi, dei rifiuti speciali e delle scorie radioattive, dei diamanti, dell’oro, dell’argento e delle pietre preziose, di animali esotici che si aggiungono ad attività delittuose più consolidate  come il controllo delle risorse pubbliche, con truffe e corruzione, soprattutto del ciclo del cemento e degli appalti. Su tutte, in questo momento storico spicca il narcotraffico, che è l’attività che garantisce ricchezze smisurate capace di tenere assieme tutte le mafie.

Si tratta di vere e proprie fortune che le condotte criminali stanno raccogliendo e che, soprattutto per mezzo di pratiche di riciclaggio, stanno iniettando nei circuiti dell’economia legale che ne esce inquinata. E a subirne contaminazioni, purtroppo, è anche la vita sociale.

La fase attuale certo non aiuta: c’è un fatto di attualità che desta fondata preoccupazione: in questo paese, purtroppo, sono troppi i dirigenti politici che hanno derubricato i temi della povertà a questione da Ztl: l’impoverimento sempre più pregnante della società sta assumendo contorni drammatici nell’indifferenza diffusa di coloro che, invece, dovrebbero possedere reattività.

Della minaccia di questa terribile tendenza, ne scrivemmo nel 2021 con la pubblicazione del dossier CORTOCIRCUITO per conto del CNCA (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza) insieme al mio amico Parroco degli ultimi, don Armando Zappolini: alla denuncia dei fattori che creano povertà, unimmo la proposta e soprattutto parole di speranza affinché, tale situazione, venisse invertita. Oggi purtroppo, a distanza di tre anni, siamo di fronte ad una situazione ancora più drammatica. I dati ISTAT, impietosi, certificano che nel 2023 la povertà assoluta ha colpito il 9,8% della popolazione che, volendola ‘spicciolare’ sta a significare circa 6 milioni di individui. In questo quadro complicatissimo a far paura è certamente la pratica, sempre più consumata, di scadere nell’abitudine rappresentata dal fatto che tale fenomeno sia cosa consolidata. In realtà, nonostante i numeri che alcuni media ci propinano in maniera massiccia, le cifre con segno positivo dell’incremento dei posti di lavoro non hanno risolto il problema: perché spesso si tratta di lavoro precario ma soprattutto perché il lavoro, in Italia, è sempre più povero e di bassa qualità.

Se da un lato l’Italia continua a sedere ai tavoli dei grandi e potenti del mondo quali il G7, il G8 e il G20, il rovescio della medaglia mostra una realtà eternamente più impari nella quale, ad esempio, sempre più persone sono costrette ad indebitarsi per motivi di salute e dove, nel 2024, una politica puntualmente incapace di assolvere al proprio compito, prova a discutere su un fattore che di per sé denota la dignità di una civiltà qual è il salario minimo affrontandolo, talvolta, come se fosse un favore o peggio ancora una concessione. Girando il Paese da nord a sud per discutere di contrasto alle mafie, come capita al sottoscritto, si toccano con mano difficoltà e rassegnazione anche nella misura di una certa sottomissione nei confronti di un ‘sistema’ considerato oramai irreversibile.

La noncuranza di questi elementi da parte di coloro che sarebbero invece deputati ad occuparsene, oltre ad acuire fatiche e sofferenze tra la popolazione, serve a conseguire feconde condizioni al proliferare del malaffare e delle mafie e i dati in questa direzione non lasciano scampo all’immaginazione: a ricorrere a finanziamenti è l’85% della popolazione, con il caro-vita è cresciuto l’indebitamento delle famiglie, nel 2023  il debito medio è pari a 9.949 euro a cittadino ovvero 22.674 euro a nucleo familiare. Un altro segnale chiaro al riguardo giunge dalle Aste: dal 1° gennaio al 30 giugno 2023 sono finiti all’incanto 59.816 unità immobiliari, il che significa circa 332 immobili al giorno, sabati e domeniche comprese. Il 76,82% di questi, cioè 45.951, è finito in vendita proprio in seguito alle esecuzioni immobiliari. Un altro 20,11% è riferibile a espropri per procedure concorsuali (soprattutto fallimenti, ma anche concordati preventivi, ristrutturazioni del debito, liquidazioni coatte amministrative e crisi da sovraindebitamento). E guarda caso, a finire all’asta, sono stati per la maggior parte gli edifici a destinazione residenziale: un totale di 32.852 e rappresentano da soli il 54,92% di tutte le procedure giudiziarie, in aumento di circa il 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e del 8,58% rispetto al 2021. Ecco che, anche a fronte di un sistema di accesso al credito di carattere sempre più elitario, le mafie sono in grado di trovare terreno fertile per pratiche di usura e riciclaggio.

Nella stagione del disordine organizzato dove la confusione si è elevata a ‘sistema’ invertire la rotta è divenuto improcrastinabile: come ci collochiamo dinnanzi a queste sfide? di fronte all’irruzione delle povertà, del radicamento alla disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni, delle influenze mediatiche mendaci e di un fenomeno come quello mafioso che, anche indirettamente condiziona la vita di ognuno di noi? Questioni complesse alle quali è difficile dare una risposta immediata ma che tuttavia dobbiamo affrontare con la responsabilità di affrontare il tempo che ci è stato dato iniziando, ad esempio a distinguere tra l’essenziale, il necessario e l’accessorio.

Uno dei principali temi da affrontare e superare riguarda, innanzitutto, il ‘negazionismo’ della presenza mafiosa. La negazione di questo fenomeno è assai diffusa a vari livelli e naturalmente, non aiuta. Bisogna tener conto che il contesto attuale in cui proliferano le mafie è quello globale e talvolta gli strumenti di prevenzione e contrasto appaiono parziali, manchevoli di procedure e regole condivise, lenti, farraginosi.

L’aggressione dei territori da parte delle mafie, dicevamo, accomuna tutti: in queste settimane la nostra Regione ha pubblicato il ‘Rapporto sulla criminalità organizzata in Toscana’ curato da IRPET.

Il quadro che ne emerge è certamente preoccupante: l’analisi prodotta sulla base di diversi indicatori ci consegna una situazione sulla quale la politica innanzitutto è chiamata ad interrogarsi.

La sola ‘economia non osservata’ stando al Rapporto, significa in Toscana un valore di oltre 11 miliardi di euro per l’anno 2023 e come riportato dalla DIA (Direzione Investigativa Antimafia) rappresenta «una delle aree privilegiate per le attività di riciclaggio e la realizzazione di reati economici finanziari su larga scala». Tra gli indicatori significativa appare anche la crescita del numero dei processi per associazione mafiosa che sono passati da 13 a 28 tra luglio 2021 e giugno 2022. E non a caso, nelle relazioni semestrali della DIA, dal 2017 al 2022, la Toscana viene sempre presentata come una tra le Regioni del centro-nord privilegiate dalle mafie, in particolare per il reinvestimento delle liquidità di provenienza illecita, data la ricchezza del suo territorio non solo da parte delle mafie ‘storiche quali camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra ma anche dalle mafie straniere tra le quali  primeggia quella cinese soprattutto in materia di contraffazione e riciclaggio: a questo proposito giova ricordare come più volte negli anni siano state scoperte attività illecite di money transfer, oltre a vere e proprie banche clandestine appannaggio, appunto, del crimine cinese.

Circa il fenomeno in questione, va rammentato l’intervento del Dott. Viola, durante l’apertura dell’anno giudiziario 2022 secondo cui «la mafia non è più un’infiltrazione ma una presenza strutturata e consolidata». Sul fronte dei mercati illeciti, la Toscana, è la seconda regione di italiana per cocaina sequestrata dopo la Calabria, con il traffico nel porto di Livorno che si è accresciuto in maniera esponenziale negli ultimi dieci anni. Da segnalare il maxi-sequestro di cocaina, con 3,3 tonnellate nel 2020 secondo solo al porto di Gioia Tauro, e 59 kg per un valore di circa 40 milioni di euro di cocaina nascosti in carico alimentare proveniente dal Sud America nel mese di luglio 22’.

E d’altro canto, più di qualunque sensazione, dovrebbero far riflettere i ‘nomi’ legati alle famiglie e ai sodalizi criminali presenti nella nostra Regione:

  • cosche calabresi: Bagalà, Piromalli Molè, Labate, Mancuso, Nicoscia, Greco
  • cosche siciliane: Cappello – Bonaccorsi, Santa Paola – Ercolano
  • cosche campane: Mallardo, Lo Russo, Zagaria, Formicola

Un ragionamento parallelo e conseguente lo si deve alla questione che riguarda i beni confiscati alle mafie nel territorio regionale: nel 2020 il totale, in crescita dell’11% rispetto all’anno precedente, constava di 541 beni. Per l’88% si trattava di beni immobili e il resto invece riguardava beni aziendali, presenti soprattutto nelle province di Arezzo e Pistoia. L’aggiornamento dei dati a marzo 2022 ha registrato un incremento importante crescendo, in numeri assoluti tra beni e attività, a ben 775 (69,8%).

A tal proposito va evidenziato l’impegno prezioso della Regione che ha destinato (per il triennio 2022-2024) ben 5,5 milioni di euro alle amministrazioni locali per il recupero a nuova vita ed il conseguente rilancio sociale ed economico dei beni sottratti alla criminalità. Ma questo, ancorché importante, da solo non è sufficiente: occorre fare di più e di meglio.

La politica, per troppo tempo, si è lasciata trascinare dalle dinamiche populiste e sovraniste, che sono invece la soluzione peggiore quali risposte ai processi di globalizzazione. È giunto dunque il momento di cambiare passo di ripensare atteggiamenti diversi e di dar vita ad una serie di correttivi anche nel contrasto ai fenomeni mafiosi.

Una proposta concreta nella lotta alle mafie

È un assioma filosofico a spiegarci come, non necessariamente, ad una causa corrisponda in maniera automatica un effetto. E se tale principio si applica a molteplici situazioni, non sempre può considerarsi un pensiero completo. Ci sono fatti e circostanze che meritano, al contrario, reazioni abili e determinate: il contrasto alla pervasività mafiosa rientra in questi. Ed essere ostaggio di una classe politica che per superficialità o incapacità ha dimostrato, su queste questioni, di non essere all’altezza di alzare il livello qualitativo del contrasto al fenomeno, non significa che di cose da fare non ve ne siano.

Dottrina antimafia, Giurisprudenza, esempi da emulare ma soprattutto la volontà di migliorarsi, ci insegnano che dinnanzi alla prepotenza criminale che si è manifestata accrescere il grado di impegno è divenuto inderogabile. Dovremmo aver imparato, a nostre spese – e il caso KEU ne è la prova più evidente – che di fronte alla pervasività delle consorterie criminali la via migliore da percorre è rappresentata dalla conoscenza e dalla prevenzione.

Dall’inizio delle indagini circa la contaminazione dei terreni, l’attenzione sul caso degli affari che hanno visto invischiate politica, imprese e criminalità, non ha avuto l’attenzione che un fenomeno di tale portata avrebbe dovuto avere: l’opinione pubblica, anche attraverso i comitati, ha sicuramente e per fortuna fatto la differenza di fronte ad un contesto politico che ha preferito, questa è stata la percezione, declinare il tutto all’azione dell’Autorità giudiziaria.

Posto che nel nostro Paese la normativa antimafia è avanzata, la sua applicazione necessita tuttavia di un continuo adeguamento; nondimeno va ricordato che secondo quanto disciplinato dall’ Art. 10 D.lgs. 90/2017, le pubbliche amministrazioni possono contribuire al monitoraggio delle operazioni pubbliche e alla prevenzione delle infiltrazioni criminali, l’attuazione di percorsi di formazione destinati ai dipendenti e agli amministratori, condivisione di banche dati, attivazione di protocolli di formazione con UIF (Unità informazioni finanziarie di Banca d’Italia) iniziando dall’individuazione degli elementi che determinano la scelta delle organizzazioni mafiose di infiltrarsi nell’economia legale di un territorio. Da qui la necessità di attivare tavoli di coordinamento periodici con gli enti di rappresentanza del mondo del lavoro e più in generale di tutti gli stakeholder in grado di fornire una prospettiva circa le tendenze economiche e i potenziali interessi criminali.

Migliorarsi al riguardo dunque è fondamentale, e il fatto che la formazione in materia di anticorruzione e trasparenza dei dipendenti pubblici sia un obbligo annuale, così come previsto dalla Legge 190/2012 e dall’ANAC, ma non degli amministratori, è un limite che la politica, davanti all’avanzare di questi fenomeni, può e deve superare includendo la loro partecipazione.

 

 

 

Filippo Torrigiani

 

 

 

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