Napoli core ‘ngrato
Diego, passione e…coronavirus
Catari, Catari, che vene a dicere/Stu parlà, che me dà spaseme?/Tu nun ‘nce pienze a stu dulore mio/Tu num ‘nce pienze tu nun te ne cura/Core, core ‘ngrato/T’aie pigliato ‘a vita mia./Tutt’ è passato/E nun’nce pienze cchiù!.
Core ‘ngrato è una canzone classica napoletana, il cui testo fu scritto nel 1911 dall’emigrato calabrese Riccardo Cordiferro, pseudonimo di Alessandro Sisca, nato a San Pietro in Guarano (CS), trasferitosi per terminare gli studi a Napoli, città d’origine della madre Emilia Cristarelli, e successivamente emigrato a New York.
È Questo il primo pensiero che mi è venuto in mente guardando le immagini al TG di Napoli che saluta Maradona. Perché tanta ingratitudine verso chi lotta tutti i giorni contro questo virus per un futuro migliore?
Un passo alla volta.
Cominciamo col dire che per chiunque sia appassionato di calcio e magari sia anche di sinistra, Maradona è stato molto più che un calciatore. È stato, come solo Mohammed Alì oltre a lui, un simbolo per gli oppressi e un eroe per un continente (il Sud America) che da troppo tempo è terra di conquista.
Ha solamente 10 anni, infatti, quando la televisione lo va a intervistare per la prima volta. In quel momento vive a Villa Fiorito, una zona poverissima della periferia argentina in cui gli adulti (operai sfruttati) al venerdì si ubriacano e lo restano per tutto il weekend, scommettendo sulle partite dei bambini e sui combattimenti tra cani e provando a dimenticarsi della loro miserabile vita. La sua famiglia è poverissima e in casa sua non c’è nemmeno l’acqua corrente. Tuttavia, è un talento unico e presto diventa famoso. E così, quando la televisione lo va a intervistare e gli chiede quali sono i suoi sogni, lui, quel bambino piccolo e denutrito che a malapena sa leggere e scrivere, dice “Mis sueños son dos. El primero es jugar el mundial y el segundo es salir campeón” (“I miei sogni sono due, il primo è giocare un mondiale e il secondo è vincerlo”).
È lì che inizia il mito di Diego Armando Maradona, quasi diventato una divinità per quei disperati che vedono il calcio come l’unica valvola di sfogo in una vita di frustrazioni. Quel Maradona che veniva adorato dai suoi compagni di squadra perché faceva da sindacalista, e quando doveva rinnovare il suo contratto imponeva che a tutti i suoi compagni di squadra (che prendevano una miseria) venisse dato l’aumento.
Quel Maradona che si tatuò sulla spalla Che Guevara (all’epoca considerato un criminale in Argentina) e difese sempre il Sudamerica dall’imperialismo, americano e non. Quel Maradona che avrebbe potuto giocare dovunque e invece vinse pochissimo restando nella Napoli dei diseredati e dei dimenticati.
Quando si parla di Napoli e di calcio, la razionalità va a farsi benedire ed oggi, un focus su Napoli è doverso…
Dobbiamo fare uno sforzo per poter capire il legame tra i partenopei e Maradona. Tralasciando i fatti cronologici, ben risaputi, una delle parole più significative per poter comprendere il fenomeno è : dignità.
Quella stessa dignità che, anche se solo su un campo da calcio, Maradona ridiede al Sud degli emarginati, considerato davvero Africa. Maradona insegnò ai napoletani e al Meridione tutto a credere in più in loro stesso, che un’altra realtà fosse possibile e forse pure che qualche favola sarebbe potuta avverarsi. Questa era e rimarrà la Storia di un grande campione ma il presente ci impone delle riflessioni molto più profonde e serie.
In realtà io penso che i napoletani da Maradona abbiamo imparato davvero molto poco. El pibe de oro è stato uno che ha lottato davvero per emergere. Nella sua casa a Villa Fiorito spesso si mangiava a turno e la parola futuro era impronunciabile. Sacrifici, dedizione e serietà. Tutte qualità che in questi giorni il popolo partenopeo( o una sua parte) pare non abbia mai conosciuto.
Da giorni vediamo manifestazioni di ogni tipo. Sarebbe tutto normale, ed finanche bello per i più romantici, se non ci trovassimo nel bel pezzo di una pandemia che ogni giorno continua a mietere vittime con una “facilità” agghiacciante. Provate a pensare alle sensazioni che provano gli operatori sanitari di un reparto Covid nel vedere quelle immagini al telegiornale. Non oso immaginare il senso di frustazione. Non riesco a trovare un senso a tutta questa imbecillità. Si, mi dispiace a dirlo, ma è di stoltezza che stiamo parlando. Calcisticamente parlando io sono un pasoliniano, alcuni grandi campioni per me, come Diego, vanno davvero oltre il calcio soprattutto per le emozioni e i messaggi che riescono a trasmettere senza il calcio, ma tutto questo non posso accettarlo. Ora qui non stiamo stigmatizzando una città intera ma di certo il sentimento è diffuso, è un dato di fatto e lo abbiamo visto anche negli scorsi week end sul lungomare Caracciolo. Penso che oggi, Maradona, sia solo in parte ulteriore motivo di assembramenti. Purtroppo noto uno spiccato senso di menefreghismo galoppante( questo molto diffuso anche nel resto d’Italia). Attendiamo, da Febbraio, che le autorità facciano davvero qualcosa…oltre i proclami e gli scontri tv. Qualcuno potrà dirmi “ ma tu non sei di Napoli e non puoi capire”. Eh no, questa volta non regge e non lo accetto. Comprendo a pieno, anche empaticamente, il ‘fenomeno Maradona’ ma in questo momento la razionalità non può e non deve essere messa in secondo piano. Mi dispiace cari amici napoletani, ma questa volta siete davvero incomprensibili.
È il momento di far funzionare il cervello, di avere RISPETTO per chi lotta ogni giorno tra la vita e la morte, per chi prova a cambiare l’ordine delle cose, per chi resiste e soprattutto per chi non ce l’ha fatta. Mi dispiace ma oggi o’ core ngrato o tieni tu, Napoli.
Alex Gisondi