Pubblicato: lun, 13 Giu , 2016

Dova va la sanità. Il Governo riforma o controriforma? Riapriamo il dibattito una volta per tutte

Gli italiani versano  tasse alte per curarsi, ma 11 milioni rinunciano alle cure perché  dovrebbero  pagarle privatamente.  In Italia la spesa privata è  cresciuta del 2%,  oltre il 50% delle prestazioni sanitarie  è a carico dei cittadini, che hanno speso 500 euro l’anno in più per curarsi. La qualità della vita e la sua durata sono peggiorate, perché la prevenzione fa acqua e le cure dei cronici non sono assicurate.

Il servizio sanitario non è più sostenibile. Vero o falso?

“Il servizio sanitario nazionale non è più sostenibile”, lo aveva annunciato Mario Monti,  il 27 novembre 2011, a meno che non si faccia davvero la riforma attesa, aggiungiamo oggi, ma quale? A leggere i dati oggettivi, scientifici di Ocse, Censis, ed i meccansimi  descritti nell’ultimo rapporto Gimbe,  Il definanziamento progressivo non è solo  il frutto della crisi, ma anche di una scelta politica, che non interviene con strategie  precise, che potrebbero dare nuova energia  ad un sistema usurato, inadeguato alla popolazione di oggi.  Ecco, perché è giunto il tempo di rivedere  il fare e  e chi lo vuole davvero.  Se ci fossero duellanti in campo, sarebbe importante per il Paese un confronto autentico, con gli studi, ma anche con la segnalazione degli errori e dei  misfatti di chi poteva e non ha fatto nulla o ha contraffatto,  pur di salvare i poteri dell’establishment, degli equilibri pseudopartitici, degli interessi di posizione.Quello che vediamo oggi è  un paese  che perde salute, invecchiato,  ma che inizia a vivere peggio, dove si muore male ed un po’ prima, pare. Ecco perché occorre riaprire il dibattito e volare più alti. Occorre una visione “esperta” ma schietta: dobbiamo chiedere l’impegno a vincere la povertà e a far guadagnare salute agli italiani. Le strategie sono state delineate dai diversi esperti, i cosidetti stakeholder, ma  sono quelle giuste e chi vuole farlo davvero?

Il rapporto Gimbe ce lo ha detto, i dati del Censis e dell’Istat lo  confermano, l’allarme per la sanità pubblica, universalistica e accessibile è quasi da codice rosso. Si può fare molto, ma occorre  dire la verità ed una volta per tutte, occorre fare una scelta politica netta, che senza ipocrisia decida che occorre intervenire con strategie diverse, riformando il sistema, perché a fare la differenza non sono solo i soldi, anche se fossero molti non inciderebbero sull’efficienza, in assenza di modalità e strategie che rimodulino il sistema ormai  inadeguato. Lo ha scritto nero su bianco il rapporto GIMBE.  La società  è cambiata, sono cambiati  anche i malati e le malattie. Questa la sfida, che come in una nuova saga  del film I Duellanti, lancia da tempo  il filosofo della medicina, Ivan Cavicchi, che è stato anche consigliere della ministra della salute  Livia Turco, poi direttore generale di farmindustria, insomma uno che le cose vere le ha viste, valutate, fatte e anche criticate. Per Cavicchi, che si presenta  in realtà, come un dialogante più che come un  duellante con l’establishment governativo,  è giunto il tempo di riformare la sanità partendo dalla medicina, dalla clinica, dai medici. Non basta misurare l’organizzazione con i programmi di valutazione degli esiti. Non è più sufficiente snellire le aziende sanitarie o chiudere gli ospedali, è necessario un confronto su cosa sia oggi la medicina,  il lavoro degli operatori tutti, su come si operi  per fare la clinica, una buona medicina e dunque per essere efficienti nei servizi.

Riformare o controriformare. La sfida di Ivan Cavicchi.

Insomma, il paradigma deve cambiare, per Ivan Cavicchi, ma il confronto deve essere profondo ed onesto. All’orizzonte si vede sbandierare la panacea della sanità integrativa (sempre con un’ ottica di co-gestire e co-finanziare le prestazioni), si tenta di riscrivere il titolo V della Costituzione,  restituendo al governo centrale la regia della sanità, le sue politiche, magari con una cabina di regia forte.  La ministra della salute Beatrice Lorenzin , all’ultimo congresso della Federazione dei medici a Rimini, ha  ricordato la necessaria riforma del pilastro farmaceutico, l’Aifa, la stra-annunciata riqualificazione della spesa farmaceutica, l’ accesso ai farmaci di nuova generazione, ma ancora troppo costosi, insomma si è parlato molto di denari, di nuovi impegni a fronte di fantomatiche spending review, che ancora non si sono realizzate a dovere.  Una lista della spesa lunga, faticosa, chiara, ma se non fosse sufficiente senza una idea riformatrice del senso delle cose, alla luce dei cicli economici che ci aspettano e della popolazione che sarà diversa, complessa, più esigente, ma più povera?

L’obiezione principale è qualcosa si è fatto: si è già cementata la centrale unica degli acquisti per controllare gli sprechi, si sono già costrette a duri piani di rientro alcune regioni del sud, pur con scale di valore diverse, la regione Lazio che pesa molto, insieme alla Lombardia sul pil nazionale, sta recuperando il suo strabordante deficit, con politiche durissime, ma anche nuovi e definiti accordi con le aziende, razionalizzazioni impensabili fino a qualche anno fa,  riqualificazioni dei pronto soccorsi grazie all’alibi Giubileo, ma i cittadini non ne percepiscono ancora l’impatto e tantomeno i medici.. E’ normale, forse, ma se non bastasse, se occorresse davvero  riscrivere la riforma del sistema?  duellanti Il dimagrimento del sistema, non può restituire produttività ed energie, se non si va più a fondo nel pensiero sulla sanità. Questa la tesi di Ivan Cavicchi, che da anni predica le sue  tesi e che ha deciso di scendere in campo, per un confronto politico e non solo dal piglio colto e  apparentemente “spregiudicato”. (il 10 giugno scorso a pag. 15 de ll Manifesto “Se la crisi della sanità serve alla controriforma”). Così accogliamo di dare voce al guanto della sfida  riformatrice (così si annuncia) per provare a capire se ha qualche ragione Ivan Cavicchi quando osservndo  le misure prese  le accusa di essere “controriformiste”. Lo seguiremo, perché la democrazia con il pensiero unico decisamente muore. Ed, a priori, non dobbiamo rinunciare mai al confronto possibile. Il tempo è scaduto, spazio ai dialoganti o ai duellanti.

 

 

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