Pubblicato: Gio, 10 Lug , 2014

Stato-mafia, Galliano: «Nel ‘91 Riina incontrò in Calabria uomini delle istituzioni»

Al processo sulla trattativa, parla il pentito: «Da Berlusconi soldi alla mafia tramite Dell’Utri»

toto_riina_sbarre_N«Sentiti ‘u buotto! (senti il botto, ndr): così mi dissero domenica 19 luglio Mimmo e Stefano Ganci, pochi minuti prima dell’attentato al giudice Borsellino, in via D’Amelio». A raccontarlo è il collaboratore di giustizia Antonino Galliano, rispondendo in videoconferenza alle domande del pm Nino Di Matteo al processo per la trattativa Stato-mafia, in corso davanti alla Corte d’assise di Palermo.

«Quel giorno ero di servizio come portiere alla Sicilcassa in via Cordova ed effettivamente si sentì un gran botto», ha raccontato il teste, nipote del boss della Noce, Raffaele Ganci, che lo iniziò alla malavita in forma riservata nel 1986, «perché essendo diplomato e incensurato, potevo essere utile per intrattenere rapporti con l’esterno e con soggetti non affiliati a Cosa nostra». E proprio da Ganci, Galliano aveva ricevuto l’ordine di seguire gli spostamenti di Paolo Borsellino quando ancora il giudice si trovava alla Procura di Marsala: «Mi era stato detto che i trapanesi volevano fare fuori il dottor Borsellino. Lo seguivamo soprattutto nei fine settimana. Non so come doveva essere ucciso, ma c’erano diverse ipotesi». Gli appostamenti, a detta di Galliano, durarono per diversi mesi. «Poi ci hanno detto di sospendere». Lo stesso incarico gli era stato dato anche per Giovanni Falcone: «Insieme a Domenico Ganci con le moto seguivamo gli spostamenti da casa al tribunale del dottor Falcone».

Il pentito – condannato per numerosi omicidi, tra i quali quello dell’ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco – ha raccontato di quando, tra ottobre e novembre 1991, si rivide dopo alcuni giorni con Mimmo Ganci. «Mi disse di essere stato fuori ad accompagnare Riina in Calabria, dove si incontrò con personaggi delle istituzioni, politici, forze dell’ordine, generali, colonnelli. A me questo sembrò strano e ne parlai con Stefano Ganci, che lo comunicò a Calogero Ganci. Pensammo fosse una bufala di Domenico». Mimmo Ganci, che era «il pupillo di Riina», tanto da avere con lui «un rapporto preferenziale rispetto persino ai suoi fratelli, tale da creare una spaccatura in famiglia», confidò a Galliano l’intenzione di «destabilizzare lo Stato» e che il motivo di quella riunione in Calabria era «l’aggiustamento del maxiprocesso». «Si trattava di una cosa molto riservata, non dovevo parlarne con nessuno, io ho disatteso l’ordine andando a confidarmi con Stefano».

Galliano ha poi accennato al ruolo di intermediario tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra rivestito da Marcello Dell’Utri, raccontando di un’altra riunione, datata 1994 e con Forza Italia già al Governo. «Salvatore Cucuzza (pentito deceduto lo scorso mese, ndr) volle incontrarmi per informarmi che c’era stato un incontro con Bagarella, Brusca e altri per decidere se proseguire con la strategia stragista. Chiese un parere a me e a Francesco Spina se eravamo d’accordo che Vittorio Mangano andasse a trovare Dell’Utri per aiutare i detenuti, soprattutto per tentare di levare il 41bis». Sollecitato dalle domande dei pm Di Matteo e Teresi, il teste ha riferito che «Cucuzza si incontrava spesso con Bagarella e Brusca, e si faceva portavoce di quello che loro dicevano, quindi se lui parlava, parlava anche a nome loro». Il collaborante ha parlato anche dell’attentato alla villa milanese di Berlusconi. Il pentito ha parlato anche dell’attentato alla villa milanese di Silvio Berlusconi. «Durante la guerra di mafia degli anni ’80, e in particolare dopo l’uccisione del boss Stefano Bontade (avvenuta nel 1981, ndr), Berlusconi non volle più dare soldi a Cosa nostra, e Ganci mi raccontava che per farlo tornare a pagare, ci fu l’interessamento di Riina che, tramite i catanesi che si trovavano a Milano, fece mettere una bomba davanti alla casa per sollecitarlo a cercare l’aiuto di Dell’Utri». E in effetti «il riaggancio ci fu». Dell’Utri, infatti – oggi detenuto a Parma perché condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa – attraverso il boss Antonino Cinà, «faceva arrivare a Palermo i soldi dell’ex presidente del Consiglio. Soldi che, una volta in Sicilia, venivano dati da Raffaele Ganci a Totò Riina».

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