Vittime di ndrangheta: Rossella Casini, la giovane che per amore infranse la regola criminale del silenzio
Aveva convinto il fidanzato a diventare collaboratore di giustizia, un affronto che pagò con una morte terribile
Rossella aveva 21 anni e studiava all’Università di Firenze, corso di laurea in Pedagogia, quando nel novembre del 1977 conobbe Francesco Frisina. Lui era uno studente fuorisede, calabrese, alla facoltà di economia all’università di Siena. Da poco si era trasferito con altri studenti nella stessa palazzina dove viveva la famiglia della ragazza. I due iniziarono una relazione, ma Rossella era all’oscuro che il bel giovanotto avesse legami con la ‘ndrangheta e che fosse un affiliato del clan Gallico di Palmi.
L’amore tra tra Rossella e Francesco sembrava però autentico e nell’estate del 1979 decisero di andare insieme in vacanza, scegliendo il paese calabro. Durante la loro permanenza, Domenico Frisina, imprenditore agricolo e padre di Francesco, fu assassinato da due killer appartenenti a un clan rivale. L’episodio di sangue era legato alla faida in corso tra la ‘ndrina Gallico, di cui i Frisina erano parte, e le ‘ndrine Parrello-Condello. Il drammatico evento non fu semplicemente lo svelamento di un mondo che la fanciulla non immaginava, ma una discesa nell’abisso oscuro, tra vendette, ritorsioni ed estorsioni, sangue, droga, sequestri di persona, usurai e assassini. La realtà criminale si materializzò cruda e spietata davanti a lei. Rossella restò ugualmente vicino al fidanzato, che poco dopo pure venne ferito in un altro agguato. Lo convinse a spostarsi e curarsi in una clinica specializzata di Firenze, soprattutto lo spinse a collaborare con la giustizia. Francesco iniziò a parlare e lei si illuse. A un poliziotto, che la ragazza all’inizio presentò come un cugino, e a un procuratore fece nomi e cognomi, raccontò di rapine, descrisse fatti di sangue di quella terribile faida che da tempo seminava morti per le strade di Palmi e confidò chi, dei suoi familiari, fosse coinvolto in quelle trame criminali. Ma tutto questo non poteva essere tollerato, nè perdonato. La famiglia ridestò Francesco, che ritrattò le sue dichiarazioni, andando anche alla procura di Torino. Nonostante tutto, Rossella continuò a frequentarlo e proseguì i viaggi verso la Calabria. Tentò in tutti i modi di pacificare i clan rivali, ma per lei che era la “straniera” e che stava infastidendo era già stata decisa la fine. L’ordine sembra arrivò da un’altra donna, la sorella Concetta Frisina, insegnante di scuola media a Palmi e considerata la personalità più forte della famiglia Frisina dopo la morte del padre, descritta dai giudici come “intrisa di cultura mafiosa, della dissimulazione e dell’omertà”.
Un’ultima chiamata al babbo, stava per prendere il treno per tornare a Firenze. I genitori la attendevano. Ma Rossella, appena venticinque anni occhi azzurri e chioma bionda, non tornò mai più. Il 22 febbraio 1981 venne inghiottita dalla ndrangheta. Rapita, stuprata, uccisa, poi fatta a pezzi e gettata nella tonnara di Palmi. Quel giorno aveva vinto la cultura della sopraffazione e della violenza. Nulla si può davanti alla forza della ndrangheta. Calò un assordante silenzio, per oltre tredici anni. Solo nel 1994, tramite alcuni quotidiani, uscì la notizia che un pentito palermitano Vincenzo Lo Vecchio, latitante tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 a Palmi e affiliato al clan Gallico-Frisina, aveva raccontato agli inquirenti che Rossella venne uccisa per aver convinto il fidanzato a collaborare con la giustizia. Secondo quanto riferì, lo stesso Francesco dette il suo assenso all’eliminazione della ragazza. “Fate a pezzi la straniera” fu l’ordine perentorio della ndrangheta.
La giovane donna fiorentina scontava la colpa di arrivare da un mondo “altro”, troppo lontano da quello della Calabria martoriata, in abbandono, tra mare e povertà, senza servizi nè cultura, dove solo la mafia comanda. La sua ingenua illusione di poter cambiare le cose, di poter salvare il suo amore e le persone. Ha pensato di potersi sostituire alla famiglia, e non una famiglia qualsiasi, ma alla ndrina. Un errore clamoroso che ha pagato amaramente. E’ più facile per chi vive in una città civile condurre una vita nel rispetto delle regole, ma Rossella nei primi anni ’80, in cui le mafie erano feroci, sceglie di stare dalla parte del bene, della giustizia, della libertà e di mettersi in mezzo ad una faida di ndrangheta, andando perfino in prima linea nel paese calabrese. Ha avuto il coraggio, o forse l’incoscienza, di provare in tutti i modi a ribellarsi ad una voragine nera che tutto travolge. Un grande, enorme sacrificio di amore, mai corrisposto.
Una donna condannata a morte da un’altra donna. Odiata per la sua forza di fronteggiare quell’atavico clima di rassegnazione che da sempre accompagna troppe persone e paesi, perchè chi porta vento fresco scompiglia la routine e gli assetti mafiosi. Rossella ha avuto il “coraggio di avere più coraggio”. All’eretica donna fiorentina è stata intitolata anche l’Università della Ricerca, della Memoria e dell’Impegno, nata su alcuni beni confiscati al clan Mancuso di Limbadi e il Presidio Libera di Palmi, perché la sua memoria diventi impegno quotidiano per non abituarsi mai alla cultura mafiosa.