Tavola della Pace: l’intervento del M.llo Saverio Masi, caposcorta di Di Matteo
“Occorre incentivare ancor di più la speranza nei giovani in un Paese che sembrava già morto sotto una coltre pesantissima di menzogne, depistaggi, “non ricordo”, bombe, patti e ricatti politico- mafiosi”
Domenica 21 settembre, in occasione della Tavola della Pace Valle Brembana, a San Pellegrino Terme, si è tenuto un incontro dedicato all’antimafia e all’impegno per promuovere la legalità, che ha visto tra gli ospiti Giovanni Impastato e Salvatore Borsellino, fratelli rispettivamente dell’attivista giornalista Peppino e del magistrato Paolo, Nando Dalla Chiesa e Saverio Masi, caposcorta del pm Nino Di Matteo.
Di seguito riportiamo l’intervento del maresciallo Masi.
Nelle diverse conferenze cui ho avuto l’onore di partecipare nel corso di questo anno, ciò che mi ha colpito è stata l’attenzione dei giovani che, al contrario di quello che si vuol far credere, rivolgono un impegno sempre maggiore sul versante della legalità e soprattutto a ciò che negli ultimi anni sta accadendo di positivo a Palermo. I giovani sanno che tantissimo è già cambiato; che dopo l’arresto di quasi tutti gli “imprendibili boss stragisti”, la ricerca della verità è ormai indirizzata ai veri autori del disfacimento morale del nostro Paese, appartenenti ad una classe politica ed istituzionale più che mai corrotta ed intestardita a mantenersi attaccata alle nostre poltrone.
Ma l’intelligenza ed il senso critico mostrati dai cittadini ha ormai interrotto un meccanismo perverso messo in atto negli ultimi decenni da compromessi e logiche massoniche; i giovani hanno risposto con la cultura dell’informazione a chi voleva negar loro l’evidenza di una verità ormai sotto gli occhi di tutti. E questo nonostante presunti giornalisti continuino ancora oggi a parlare di presunta Trattativa tra lo Stato e la Mafia. E ad una di queste presunte giornaliste va tutto il nostro plauso; se fossimo in America avrebbe sicuramente vinto il Premio Pulitzer essendo addirittura riuscita a far parlare gli eroi morti sostenendo che la posizione di Giovanni Falcone fosse più vicina a quella di un “illustrissimo” professore universitario piuttosto che a quella della Procura di Palermo. Professore universitario, assoluto negazionista della Trattativa tra lo Stato e la mafia, guarda caso anche lui a caccia di una poltrona in Parlamento europeo.
Duole ancora di più che queste assurdità, che hanno chiamato in causa magistrati morti anche a causa di quella scellerata Trattativa, siano state esternate all’interno del Palazzo di Giustizia di Palermo, dove già furono osteggiati gli stessi Falcone e Borsellino, ed espresse addirittura il 23 maggio di quest’anno, alla presenza di tanti magistrati che non hanno minimamente sentito il bisogno di dissociarsi né di esprimere solidarietà ai colleghi già condannati a morte, contribuendo così al loro isolamento mentre rischiano la vita per far luce sul vero movente delle stragi del ’92-’93. Ed allora, su questo versante ci accorgiamo che poco o nulla è cambiato dai tempi di Falcone e Borsellino circa l’isolamento cui sono costretti i magistrati del Pool che si occupa delle collusioni tra alcuni governanti romani e la mafia.
Una vera e propria strategia della tensione è stata attuata in un modo o nell’altro contro tutti gli attori che ruotano intorno a questo processo, dai semplici sostenitori come l’ingegnere Salvatore Borsellino, al testimone chiave Massimo Ciancimino, continuamente aggredito in ogni modo e forma, anche lui screditato e minacciato nella stessa maniera dei magistrati che si occupano di questo processo. Come già avvenuto in passato per altri processi scomodi ai palazzi del potere, vedasi il processo Andreotti, oltre ad attaccare e screditare i magistrati e l’impianto stesso del processo, si cerca anche di screditare i testimoni più importanti per minarne l’attendibilità ed isolarli. Una campagna di delegittimazione senza precedenti mentre ancora oggi, a tutela di Massimo Ciancimino, non è stata presa nessuna misura di protezione. Un silenzio ed un isolamento che mai avrebbe potuto avere inizio se fossero ancora in vita i nostri Peppino Impastato, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno e tanti altri non presunti giornalisti. Ma ormai i giovani sanno. La capacità critica dei cittadini si è evoluta grazie alla divulgazione di semplici dati di fatto che non possono più essere manipolati né occultati.Sappiamo che accanto a Riina sullo stesso banco degli imputati vi sono uomini che hanno rappresentato le Istituzioni nel periodo post stragista. Qualcuno finalmente condannato ed in carcere come Marcello dell’Utri.
Sappiamo anche che qualora il processo sulla trattativa dovesse concludersi con sentenza di condanna, a Riina toccherebbero pene detentive di pochi anni, del tutto irrilevanti per uno che ha collezionato una lunga serie di ergastoli. Sappiamo che un’eventuale strage contro i magistrati di Palermo sarebbe in realtà controproducente perché andrebbe a sortire gli effetti opposti a quelli voluti, in quanto finirebbe inevitabilmente per essere una conferma dell’impianto accusatorio del processo sulla trattativa.
Pertanto appare più che legittimo pensare che dietro questa lunghissima scia di minacce di morte ci sia qualcuno altro che teme fortemente che altre indicibili verità vengano a galla e che quello che Falcone definì “il gioco grande del potere” venga alla fine completamente scoperto. Così come più volte esternato dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo, dott. Scarpinato, le lotte di potere in Italia si sono svolte spesso ed in larga misura nell’ombra, facendo ricorso alla matrice mafiosa per coprire stragi e omicidi che invece avevano origini diverse.
Lo stragismo ha segnato tutte le fasi di passaggio della storia di questo Paese a partire dal dopoguerra. La Prima Repubblica è nata e si è conclusa nel segno delle stragi; la strage politico mafiosa di Portella della Ginestra ed alle stragi del 1992-1993. In tante di queste stragi sono stati provati depistaggi e coperture da parte di esponenti delle istituzioni. E nello stesso modo anche per le stragi del ‘92-‘93 sono stati commessi depistaggi che ricordano quelli del passato, come la sparizione dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino e l’inquinamento delle indagini sulla strage di via d’Amelio utilizzando falsi collaboratori.
Molti sono gli elementi che lasciano intendere che con la realizzazione delle stragi di Capaci e via d’Amelio si siano saldati, o meglio rinsaldati, interessi mafiosi ed interessi di soggetti esterni. Ci sono tanti, moltissimi dati di fatto che vengono volutamente taciuti all’opinione pubblica e tanti interrogativi cui si spera verranno date le dovute risposte:
Otto giorni prima dell’omicidio di Salvo Lima, il 4 marzo 1992, il faccendiere Elio Ciolini, già coinvolto nelle indagini per la strage di Bologna, preannuncia l’inizio di una nuova fase della strategia della tensione con l’omicidio di un esponente politico della DC e l’eventuale omicidio del futuro Presidente della Repubblica. Subito dopo l’omicidio Lima, da lui stesso preannunciato, Ciolini rivela che il piano era stato deciso da esponenti di massoneria, politica e mafia. Ciolini preannunciava tra le altre cose che la strategia della tensione si sarebbe spostata al centro nord con altri attentati poi puntualmente verificatisi, attentati questi che sarebbero stati rivendicati ed attribuiti a fantomatiche sigle eversive, e che invece servivano a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal problema mafia e a creare effetti destabilizzanti per l’intero sistema politico che si voleva portare al collasso. Come faceva Ciolini a sapere con così largo anticipo tutto quello che poi sarebbe realmente accaduto nell’ambito di quel terrificante piano di destabilizzazione?
Subito dopo, infatti, anche alcuni collaboratori di giustizia svelarono che alla fine del 1991 si era tenuto un summit di Cosa Nostra che aveva deciso di aderire ad un progetto di destabilizzazione politica che aveva tra i suoi artefici esponenti della massoneria deviata, del mondo politico e dell’ imprenditoria.
Chi e perchè aveva deciso che Giovanni Falcone, anzichè essere facilmente ucciso a Roma con colpi di arma da fuoco, doveva essere ucciso a Palermo in un modo così eclatante?
Come mai solo due giorni prima della strage di Capaci un’agenzia di stampa vicina ai servizi segreti anticipò in due articoli che stava per verificarsi un bel botto esterno per influenzare l’elezione del Presidente della Repubblica in corso di svolgimento?
E’ stato uno degli stessi esecutori materiali della strage di Capaci a dichiarare che la tempistica della strage aveva consentito a mettere fuori gioco Giulio Andreotti dalla corsa alla Presidenza della Repubblica.
Chi aveva quindi suggerito a Riina, oltre alle modalità esecutive, anche la tempistica?
Chi è il soggetto esterno a cosa nostra a cui fa riferimento il pentito Spatuzza, che assistette al caricamento dell’esplosivo nell’autovettura utilizzata per la strage di via d’Amelio? In un’intercettazione, la moglie del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, al quale era stato da poco rapito il figlioletto Giuseppe, successivamente strangolato e sciolto nell’acido, implorò il marito di non fare alla magistratura i nomi degli “infiltrati” nella strage di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta. Chi suggerì di compiere gli attentati di Roma nella notte tra il 27 e 28 luglio 1993 ai danni delle chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro, tenendo presente la “coincidenza” che i nomi di quelle chiese fossero i nomi di battesimo degli allora presidenti di Camera e Senato, Giovanni Spadolini e Giorgio Napolitano?
Fu lo stesso Spadolini nel 1992 a fare riferimento ad un resoconto dei servizi segreti sul rapporto intrecciato tra la mafia siciliana ed alcuni settori della p2 indicandolo come un grave pericolo per la democrazia.
Come si spiega che nella stessa notte degli attentati si verificò un black out dei centralini di alcune sedi di governo tanto che l’allora premier Ciampi, maturoò la convinzione che fosse in atto un colpo di Stato?
Cosa si nasconde ancora dietro l’inverosimile suicidio in carcere di Antonino Gioè, esecutore della strage di Capaci, depositario di scottanti segreti ed in contatto con i servizi, due giorni dopo le stragi di Milano e Roma?
Cosa e chi si vuole coprire con la messa in scena dell’impossibile suicidio di Attilio Manca e quale verità si è voluta insabbiare uccidendo il poliziotto Nino Agostino insieme alla moglie Ida?
Dietro a tutte queste risposte si cela il motivo per cui qualcuno ha paura che si arrivi ad altre ancor piu’ indicibili verita’ che potrebbero essere svelate nel processo in corso a Palermo. Sono stati uccisi magistrati coi componenti delle loro scorte, Prefetti, giornalisti, Presidenti della Regione, Sacerdoti, imprenditori, testimoni di Giustizia, una realtà mai esistita in nessuna parte del mondo occidentale; nessuno può rimanere indifferente a tutto questo e soprattutto non possiamo rimanere indifferenti a tutto ciò che sta accadendo oggi a Palermo perché la nostra indifferenza ha ucciso insieme al tritolo. Nonostante ciò che sovvenzionatissimi giornali lascino intendere, è fondamentale per la nostra democrazia che i giovani capiscano che quella che oggi chiamiamo Trattativa tra lo Stato e la mafia, oltre che ad aver sporcato il passato della nostra politica, continua a gravare sul nostro presente e ad ipotecare il futuro dei nostri figli.
Ringrazio infinitamente l’Ingegnere Borsellino per aver mantenuto alta l’attenzione in Italia sulle commistioni tra poteri deviati dello Stato e la mafia sottolineando il fatto che, sono fermamente convinto che seppure l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino non dovesse essere mai più ritrovata, il suo contenuto sarà riscritto nelle pagine del Processo che si svolge a Palermo, grazie ad un pool di coraggiosi magistrati che hanno deciso di andare fino in fondo, con la schiena dritta, seppur isolati ed attaccati da ogni parte, non di meno, purtroppo, dai loro stessi colleghi.
Infine, mi faccio portavoce di un appello lanciato dai giovani incontrati quest’anno nelle scuole: “I politici non facciano finta di non capire che la lotta alla mafia ed alla corruzione politica sono due facce della stessa medaglia”. Questo è quello che chiedono a gran voce i giovani. Occorre incentivare ancor di più, cari politici, la speranza nei giovani in un Paese che sembrava già morto sotto una coltre pesantissima di menzogne, depistaggi, “non ricordo”, bombe, patti e ricatti politico- mafiosi.
Perché, cari politici i giovani hanno capito da tempo che a far sparire l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino e la documentazione del Generale Carlo A. Dalla Chiesa; ad intrufolarsi all’interno dell’Ufficio del Procuratore Generale di Palermo Roberto Scarpinato lasciando sulla scrivania una lettera di minacce; che a violare l’abitazione privata del Sostituto Procuratore Roberto Tartaglia, non sono stati i mafiosi, ma parti insane delle Istituzioni, supine a compiacere volontà del dominio, indegne di un Paese democratico.