Pubblicato: gio, 27 Mar , 2014

Stato-mafia, pentito Naimo: «Riina voleva uccidere Rudolph Giuliani»

L’obiettivo era isolare il giudice Giovanni Falcone. Su Cinà: «Riina mi disse che i contatti politici dipendevano da lui»
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Il collaboratore di giustizia Rosario Naimo

A metà degli anni Ottanta, nel mirino di Totò Riina, c’era anche l’allora procuratore distrettuale di New York Rudolph Giuliani, poi diventato sindaco della città. A rivelarlo è il collaboratore di giustizia Rosario Naimo, ascoltato questa mattina all’udienza del processo sulla trattativa fra Stato e mafia, in corso dall’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.

Sarebbe dovuto essere proprio Naimo, che già viveva da tempo negli Stati Uniti, a compiere l’omicidio. A comunicargli il progetto del capo dei capi e relativo incarico fu un uomo d’onore siciliano, tale Benedetto Villico (affiliato alla famiglia di Passo di Rigano, sarà uno dei cosiddetti “scappati” rifugiatisi in America dopo la guerra di mafia del 1981), arrivato appositamente nella Grande Mela insieme al nipote Salvatore Inzerillo, detto “il Nasone”. I tre si incontrarono al “Cafè Giardino” di Brooklyn, gestito dal boss italo-americano Joe Gambino. Villico arrivò subito al dunque: «Si deve assolutamente ammazzare Rudolph Giuliani», ma Naimo sollevò immediatamente dei dubbi, parlandone poco tempo dopo con i fratelli Gambino e successivamente con lo stesso Riina durante un incontro in Sicilia: «Dissi che non era una buona idea e che avremmo avuto contro tutta l’America». Secondo Riina, che all’epoca era ai vertici di Cosa nostra, uccidere il procuratore distrettuale di New York «era un modo per isolare il giudice Falcone, allora appoggiato dagli americani, e che comunque anche altri volevano l’omicidio». Naimo insistette talmente tanto, esprimendo le sue riserve riguardo al piano omicida di Riina, che il boss finì per accantonare il suo progetto. Non si sa invece chi fossero «gli altri» d’accordo ad uccidere Giuliani, soprannominato “procuratore di ferro” e autore di importanti inchieste su droga e mafia, che lo portarono a collaborare con Falcone. «Non so a chi si riferisse Riina» ha riferito il pentito, sottolineando che, «siccome in Cosa nostra nessuno contava più di Riina, non poteva che intendere politici o servizi segreti».

Naimo ha riferito anche del ruolo rivestito da Antonino Cinà all’interno di Cosa nostra e oggi tra gli imputati al processo sulla Trattativa, in corso davanti alla Corte d’assise di Palermo. «Con Cinà avevo lo stesso rapporto d’amicizia e fratellanza che mi legava a Giuseppe Giacomo Gambino (a capo del mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo, ndr). Neurologo presso l’ospedale Civico del capoluogo siciliano, Cinà fu il medico di fiducia di numerosi criminali dediti alla latitanza, in particolare Riina, Bagarella e Provenzano, nonché l’uomo che avrebbe consegnato a Vito Ciancimino il papello con le richieste di Totò Riina.

Nel ’92 “Saruzzu” Naimo è nuovamente in Sicilia, ma stavolta da latitante, e alla fine di quell’anno si incontra a Mazara del Vallo con Riina e Matteo Messina Denaro. Il capomafia corleonese gli avrebbe raccomandato in quell’occasione di convincere Cinà a non trasferirsi negli Stati Uniti, come aveva detto di voler fare. «Fagli togliere di testa il fatto dell’America – gli avrebbe ordinato Riina – perché lui ha molte responsabilità. Stiamo cercando di ottenere qualcosa, qualche privilegio per i disgraziati che stanno in carcere, se va via lui siamo rovinati». Per i pm della Procura di Palermo sarebbe la prova che Riina aveva avviato un dialogo con pezzi delle istituzioni finalizzato, tra le altre cose, a ottenere benefici per i detenuti e che si era rivolto a Cinà per portare avanti tale trattativa. Il pentito, da due anni agli arresti domiciliari pervia di gravi problemi di salute, ha ricordato oggi come già all’ex pm Antonio Ingroia, in un precedente interrogatorio, rivelò: «Per me Cinà è la chiave per capire tutti i misteri».

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