Pubblicato: ven, 27 Giu , 2014

Stato-mafia, Gargani: “Tutti sapevano delle revoche del 41 bis”

Le dichiarazioni dell’onorevole, tra contraddizioni e reticenze, smentiscono in parte quanto sostenuto dall’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino

800px-Giuseppe_GarganiUn’udienza lenta, lentissima, scandita da numerosi “non ricordo” intervallati da evidenti contraddizioni e reticenze, quella svoltasi ieri davanti alla Corte d’assise di Palermo, ma che ha riservato un piccolo colpo di scena. «In Parlamento si sapeva delle revoche degli oltre 300 provvedimenti di carcere duro per i mafiosi decisi da Conso (Giovanni Conso, all’epoca Ministro della Giustizia, ndr). Io ne parlai al Guardasigilli e lui commentò dicendo che la sua era stata una decisione autonoma, in quanto era un garantista». A parlare è l’onorevole Giuseppe Gargani, ex esponente democristiano, rispondendo alle domande del legale di Massimo Ciancimino, l’avvocato Roberto D’Agostino.

Chiamato a testimoniare al processo sulla trattativa Stato-mafia, Gargani (che, insieme a Conso e all’allora direttore del DAP Adalberto Capriotti, è indagato per false dichiarazioni ai magistrati «in ossequio alla previsione di legge che impone il congelamento della loro posizione in attesa della definizione del procedimento principale»), afferma di aver probabilmente appreso della mancata proroga di oltre 300 decreti 41bis dalle agenzie. Tuttavia il pm Nino Di Matteo gli fa subito notare che non uscirono agenzie al riguardo. Strano, poi, che di quelle “voci di corridoio” Gargani ne fosse venuto a conoscenza, mentre non sapeva nulla del documento di solidarietà scritto dai suoi colleghi di partito per Scotti. Come non era a conoscenza nemmeno di quel «patacca» con cui Andreotti definì l’allarme dello stesso Scotti sui possibili attentati del ’92.

L’ex parlamentare cerca allora di arrampicarsi maldestramente sugli specchi, sostenendo che, in fondo, tutti erano a conoscenza di quei 41bis revocati. Sia nel partito che in Parlamento. E, allora, ecco sorgere un dubbio: com’è possibile che tutti sapessero, meno il ministro dell’Interno Nicola Mancino? Quest’ultimo, imputato per falsa testimonianza, ha infatti sempre negato di essere a conoscenza delle mancate proroghe, se non – come ha specificato ieri l’ex europarlamentare – «solo a cose fatte». Come è noto, Mancino subentrò a Vincenzo Scotti alla guida del Viminale. Una sostituzione effettuata in assoluta buona fede, stando a Gargani. Secondo l’onorevole, infatti, Scotti non fu riconfermato al Ministero dell’Interno per le sue mancate dimissioni da parlamentare, in virtù di una “regola” creata ad hoc – vien da pensare – per giustificare l’azione politica che, ancora oggi, appare colma di contraddizioni.

L’esame del teste è proseguito con le domande del sostituto procuratore Di Matteo in merito al dialogo che Gargani ebbe il 21 dicembre 2011 con Calogero Mannino al bar Giolitti di Roma e ascoltato casualmente dalla giornalista de Il Fatto Quotidiano, Sandra Amurri. «Hai capito, questa volta ci fottono, dobbiamo dare tutti la stessa versione», aveva detto l’ex europarlamentare secondo la versione resa dalla Amurri. «Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre… di noi sapeva tutto, lo sai no? – proseguiva Mannino – Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione». Incalzato dalle domande del pm, Gargani tenta di “correggere” quanto dichiarato da lui stesso l’anno scorso alla Procura di Palermo. Se nella prima, inequivocabile versione quel Ciancimino si riferiva esplicitamente a Massimo, figlio di don Vito; ieri l’ex democristiano ha “trasformato” le verità di Ciancimino jr in menzogne. Nella nuova versione riveduta e corretta di quella conversazione, scompare anche ogni riferimento ambiguo a Ciriaco De Mita: Mannino non gli avrebbe chiesto di incontrarlo per accordarsi sulle versioni da riportare in caso di indagini, bensì « per la sua memoria storica», e certamente «non si riconosce in quelle frasi, formulate in un italiano improprio», mettendo così in dubbio persino la professionalità di chi trascrisse quella deposizione.

Forse non ricorda. Come non ricorda delle «pressioni» fatte, e riferite sia da Scotti che da Martelli, per far convertire il decreto 41bis in legge il più tardi possibile e questo nonostante fosse già avvenuta la strage di Capaci. Secondo i due ex ministri, Gargani si era fatto portavoce del malcontento nato all’interno della Dc per via dell’eccessiva rigidità di quel provvedimento. Ma anche qui Gargani non rammenta, asserendo persino che all’epoca non sapeva nulla di quanto accadesse all’interno del partito. Parecchio strano per uno che ha fatto parte sia del consiglio che della direzione nazionale della Democrazia Cristiana.

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