Pubblicato: lun, 5 Mag , 2014

Se questo è calcio: trattativa stadio-mafia in diretta tv

Alfano prova a gettare acqua sul fuoco: «Come Stato siamo in grado di garantire l’ordine pubblico. Nessuna trattativa con ultrà»

slide_347994_3697502_freeSi chiama Gennaro De Tommaso, ma tutti lo conoscono come “Genny ‘a carogna”. È il capo ultrà del Napoli che ha mediato con dirigenti e forze dell’ordine prima dell’inizio della finale di Coppa Italia, disputata tra il club partenopeo e la Fiorentina. È lui che ha ordinato alla curva dei tifosi azzurri, inizialmente contrari a far disputare la partita, a dare il proprio assenso, ma con l’impegno di rimanere in silenzio. Ed è sempre lui, l’uomo arrampicato sulla recinzione con la maglietta nera con su scritto “Speziale libero”, con riferimento all’ultrà del Catania condannato in via definitiva a 8 anni di carcere per l’omicidio dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, avvenuto il 2 febbraio 2007 durante i disordini che scoppiarono allo stadio Massimino in occasione del derby col Palermo. Ed è lui, infine, il figlio di Ciro De Tommaso, affiliato al clan camorristico dei Misso del Rione Sanità e dal quale non ha certo preso le distanze: pregiudicato con vari reati alle spalle, un arresto per droga e un Daspo a suo carico, con un ruolo da leader riconosciuto e legittimato nel corso degli anni, tanto da comparire già due anni fa all’interno del campo mentre abbracciava la Coppa vinta dal Napoli. Ora è arrivata anche la consacrazione mediatica a garante dell’ordine all’interno dello stadio Olimpico di Roma, davanti ai vertici del calcio nazionale, ma soprattutto al premier Matteo Renzi, al presidente del Senato Piero Grasso e al presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi, seduti in tribuna.

Mentre tutto il mondo osservava e commentava disgustato quell’incredibile sequenza di immagini a dir poco eloquente, il ministro dell’Interno Angelino Alfano si affrettava a dire che «Non c’è stata nessuna trattativa fra Stato e ultrà. Non sta né in cielo né in terra». Lo ha scritto lui stesso sul suo profilo Twitter, aggiungendo che «come Stato siamo e saremo in grado di garantire l’ordine pubblico». A gettare acqua sul fuoco, ci ha provato (con scarso successo) pure il questore della Capitale: «Non c’è stata alcuna trattativa. La società del Napoli ha chiesto alle forze dell’ordine il permesso di far parlare Hamsik con la curva azzurra per spiegare la situazione e la totale estraneità dai fatti dei tifosi della Fiorentina, in quanto si era diffusa la notizia che il napoletano ferito da colpi di arma da fuoco fosse morto». D’altronde, lo sappiamo bene che la parola “trattativa” in molti fanno fatica anche solo a pronunciarla, figuriamoci ad accostarla allo Stato, spesso anche dinanzi l’evidenza dei fatti. Vogliamo chiamarlo negoziato? Preferite accordo? Anche cambiando il nome degli addendi, l’indignazione per ciò che è successo tra il capo delle “carogne” ultrà e le autorità prima della finale di Coppa Italia non cambia.

Come immutati rimangono i dubbi su che razza di Paese viviamo. Un Paese che continua a dimostrarsi forte con i deboli e debole con i forti. Un Paese che, non solo scende a patti con i violenti, ma in cui alla carogna di turno è consentito oltraggiare la memoria di un suo servitore e ad altri è permesso applaudire a dei poliziotti assassini. Un Paese che fa tutto questo, è un Paese che ha perso e il capo dovrebbe chinarlo soltanto per la vergogna per ciò che è diventato.

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