Pubblicato: mar, 15 Apr , 2014

Scorta Civica al Viminale, ma Alfano si rifugia altrove

Manifestazione nazionale a Roma indetta da Salvatore Borsellino per incontrare il ministro dell’Interno, che aveva promesso il Bomb Jammer per Di Matteo. Lui, però, è al congresso del suo partito

Immagine 036 (FILEminimizer)Guardateli bene, questi volti. Guardate negli occhi le persone che hanno deciso di metterci la faccia, tempo ed energie a servizio di un’ideale, quello della Giustizia, etico prima ancora che politico, messo duramente alla prova e impunemente calpestato da chi dovrebbe invece salvaguardarlo. Sono centinaia di giovani, meno giovani, impiegati, precari, disoccupati, di ogni provenienza geografica che, sabato 12 aprile, si sono ritrovati a Roma, in piazza Beniamino Gigli, vicino al Viminale, per protestare contro la mancata assegnazione del Bomb Jammer alla scorta del giudice Nino Di Matteo, dato invece come già reso disponibile lo scorso 3 dicembre dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. Ed è proprio con lui che una delegazione, con in testa Salvatore Borsellino, composta da cinque persone rappresentanti le Scorte civiche formatesi in tutta Italia, avrebbe dovuto incontrarsi al Viminale, a fronte di quelle promesse ad oggi mai mantenute. Un incontro, va detto, concordato da settimane e attraverso vie istituzionali, grazie all’intercessione della Prefettura di Palermo.

Ma il ministro non c’è, fanno sapere. È impegnato al congresso del Nuovo centrodestra, durante il quale verrà poi eletto presidente del partito. Così, mentre la piazza era gremita di cittadini che hanno scelto di non rimanere indifferenti dinanzi ai continui ostacoli posti sulla strada della Verità (non ultimo il chiaro tentativo di spostare il processo sulla trattativa Stato-mafia da Palermo, mettendo così a rischio la sua prosecuzione), Alfano si preoccupava della propria immagine politica davanti ai sostenitori del suo partito, improvvisando un siparietto musicale sulle note del brano Happy, vero tormentone di questo periodo, attorniato fra gli altri dall’ex presidente del Senato Renato Schifani e dall’ex ministra Nunzia De Girolamo. Peccato che ci sia davvero poco da stare Happy. Rabbia, delusione, sconforto, sdegno, stanchezza, stupore. Difficile dire quale sentimento abbia prevalso nella società civile a seguito del grave smacco subito da un ministro che a Palermo, durante un’altra convention del Ncd, si vantava dei provvedimenti presi contro la mafia e la cui assenza di sabato è un ulteriore segnale di intollerabile indifferenza (oltre, naturalmente, che di una grave mancanza di rispetto nei confronti dell’ingegnere Borsellino) da parte delle istituzioni per la sicurezza del magistrato che, insieme ai colleghi del pool antimafia, cerca di far luce sullo scellerato patto culminato con le stragi del ’92-’93.

«Alfano – scrive in una nota il fratello del giudice Paolo Borsellino in merito alla promessa del dispositivo antibomba – avrebbe dovuto ammettere che si trattava soltanto di parole, per non dire peggio, e a questo punto non gli restava che una possibilità: sfuggire al colloquio e rifugiarsi in luogo sicuro, presso il congresso elettorale del Ncd». Ad accogliere la delegazione, soltanto dei funzionari addetti alla sicurezza, i quali hanno prontamente riferito che nessuno avrebbe potuto riceverli, perché «le stanze del Viminale erano deserte». «Ma deserte effettivamente non erano – prosegue indignato Salvatore Borsellino – perché, dopo lunghe contrattazioni, hanno tentato di convincerci ad accettare che un vice-prefetto venisse a sentirci “sul marciapiede” di fronte al Viminale, a sentire le nostre ragioni. Avremmo dovuto consegnare ad Alfano anche i fogli contenenti migliaia di firme di persone che, non avendo potuto essere fisicamente presenti alla manifestazione di Roma, ci delegavano a rappresentarli al cospetto del ministro. Essendosi però il ministro dato alla latitanza, abbiamo preteso che la consegna delle firme avvenisse almeno in un luogo istituzionale, cioè all’interno del Viminale e finalmente, dopo ulteriori lunghissime contrattazioni, ci è stato promesso che saremmo stati ricevuti dal Capo di Gabinetto del ministro». La delegazione è stata quindi introdotta in una stanzetta attigua ai locali in uso al servizio di sicurezza del Viminale «dove due spauriti funzionari sono stati ad ascoltare una parte di quelle cose che avremmo voluto contestare al ministro e hanno ricevuto, facendo l’atto di sfogliarle distrattamente, le firme che con tanto entusiasmo avevamo raccolto. Ma episodi come questo non fanno altro che rafforzarci nella nostra determinazione di non tollerare che personaggi come questi vengano il 19 luglio in via D’Amelio a fingere di onorare quel Paolo Borsellino del quale non sono degni neanche di pronunciare il nome».

Va ricordato, inoltre, che la scorta di Di Matteo è composta da tre automobili delle quali solo una ha i vetri oscurati. Non è certo un’ardua impresa individuare su quale viaggia il magistrato condannato a morte da Totò Riina, intercettato dal carcere. Basterebbe già questo a dimostrare una sicurezza a dir poco inadeguata, a dispetto di quanto affermato dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, secondo il quale il collega della Procura di Palermo non solo «è ben tutelato», ma, se il Bomb Jammer non è stato finora assegnato, è perché «evidentemente è stato ritenuto eccessivo».

«Non pensate mai, non cedete nemmeno alla tentazione di pensare, anche per un solo momento, che la vostra passione civile sia inutile o tradita, per favore, non lo pensate mai», è l’invito rivolto proprio dal pm Di Matteo ai tanti che hanno deciso da tempo da che parte stare, e «Resistenza!» è ormai l’urlo di protesta che contraddistingue Salvatore Borsellino, ripetuto più volte anche sabato mattina, in mezzo alla folla, in prima linea in difesa della Verità, a tutela della vita di chi, per quella Verità, è disposto a sacrificarla. Ma è innegabile, oltre che comprensibile, un’amarezza diffusa. «Ci resta l’amaro in bocca nel constatare a chi sono in mano quelle Istituzioni – si legge ancora nella nota – che rispettiamo e per le quali hanno sacrificato la sua vita Paolo Borsellino e i cinque servitori dello Stato, quello vero, trucidati insieme a lui».

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