Pubblicato: gio, 18 Mag , 2023

Schiavitù moderne, lavorare oggi: senza sogni e progettualità

Quando stare dentro al sistema significa perdere la dimensione umana

Oggi più che mai il vero lusso attiene alla dimensione del tempo. Tempo per leggere, per studiare, per trascorrere una giornata di riposo o viaggiare. Condurre una vita sana, con sport e buona alimentazione. Tempo per condividere esperienze ed emozioni con parenti e amici; socializzare, visitare mostre d’arte o ascoltare la musica. Tutto ciò che arricchisce enormemente l’individuo e tendenzialmente lo rende una persona migliore. Liberi dai vincoli dell’utile, del consumo, del mercato, del lavoro. Dei turni e di ritmi che schiacciano la dimensione umana.

Gli scienziati definiscono l’epoca presente come “Antropocene”, poiché in questo periodo storico è l’uomo a rimodellare la Terra. L’uomo ha modificato tra il 50% e il 75% della superficie terrestre; solo con l’attività mineraria muove più sedimenti di tutti i fiumi del mondo messi assieme. Ha trasformato la composizione chimica dell’acqua e il corso dei fiumi, cementifica tutto. L’uomo che rappresenta il 90% degli animali di grossa taglia (cioè, più grandi di un pollo) mentre delle altre specie animali ne ha condotto all’estinzione l’80%. L’uomo che domina il 90% degli ecosistemi della Terra. Sconquassa il ciclo animale, compresa la dimensione umana. La nuova epoca, quella governata dall’uomo. A cui seguono pure iniquità, disuguaglianze, logiche di potere e di dominio, il lato più oscuro del capitalismo. L’Homo sapiens, incontrastato dominatore della natura, è il modificatore incessante della sua nicchia ecologica secondo le sue necessità e il suo desiderio di soddisfare gli istinti di primato sui suoi simili. Una declinazione dell’antropocentrismo nella sua accezione più negativa, in cui l’essere umano prova ad auto-assolversi dall’accusa di aver causato la distruzione degli altri esseri viventi, della biosfera, dell’intero sistema Terra. Un essere egoista ed egocentrato, privo di lungimiranza che sembra non apprendere mai dalla storia. Tutto è ridotto ad una grande catena di montaggio.

La società attuale si sta popolando in maniera esponenziale di piccoli schiavi, costretti a lavorare tanto senza mai vedere i colori del cielo. E non è certo un caso, più si scende nella scala gerarchica della società e meno tempo libero viene dato ai lavoratori.
Col sapere utile si possono fare solo piccole cose, necessarie a sopravvivere, ma inutili a costruire dignità. Il vero lusso è la cultura, la crescita, la formazione, la possibilità di avere tempo e mezzi per coltivarle.

Entrare nel loop di un operaio medio significa principalmente ripercorrere a ciclo continuo il tragitto casa-lavoro-casa. Ci si alza, si va al lavoro, si torna e dopo poche ore si ricomincia tutto da capo. Le problematiche del quotidiano vengono amplificate, nell’esasperazione crescente data da stanchezza e rabbia. A queste si sommano la mancanza di adeguati riposi, giusta alimentazione nei tempi corretti, vita all’aria aperta, così come il rispetto dei ritmi naturali. Una forzatura che sta emergendo prepotente negli ultimi anni, con il sintomatico quanto vertiginoso aumento delle dipendenze, a partire da alcolismo e tossicodipendenze. A tanta fatica molte volte corrisponde uno stipendio che a stento arriva a mille euro mensili, rassegnazione e mancanza di prospettive. Precariato e sfruttamento, turnistiche spesso raddoppiate per sopperire alla mancanza di personale e all’incremento della mole di lavoro, in una continua ed incessante corsa.

Favorita dalla rivoluzione digitale degli ultimi anni, l’espansione delle imprese nel settore logistico, nei comparti del corrierato, dei trasporti a lunga percorrenza e del magazzino, le gdo tutte, ma anche l’ambito sanitario, avrebbe determinato il repentino scivolamento del lavoro irregolare verso le sfumature più accese dello sfruttamento. In origine era il caporale a fornire manodopera flessibile ed a basso costo; a poco a poco gli si sono affiancate strutture complesse, forme sofisticate e, seppure solo apparentemente, legali, come agenzie di servizi, appalti, subappalti, lavoro in somministrazione, ma anche false cooperative e cooperative senza terra. Co.co.co., co.co.pro, stagisti, praticanti, tirocinanti, operai di ogni risma. Ed in questa evoluzione, che ha condotto alla strutturazione di un complesso reticolato di società in cui la figura del datore di lavoro diviene sempre più evanescente, il caporale diventa urbano. Non si occupa più solo dell’intermediazione del lavoro, ma spesso ne gestisce la domanda nella sua interezza. Normative svuotate ed escamotage borderline rendono impossibile fotografare il reale sfruttamento odierno della classe media. L’assenza di politiche economiche e sociali, così come le condizioni di necessità e bisogno di chi prova a lavorare, sono una costante.

C’è chi per 80mila euro non si alza nemmeno e poi c’è chi alle cinque del mattino è già in turno. La storia contemporanea racconta della stanchezza e della perdita del sé. Mancano gli spazi, le risorse e le energie per migliorare, per evolvere. Ed è inevitabilmente una resa. Senza sogni, senza progettualità, schiavi del sistema. Svuotati e con lo sguardo spento. Quella stanchezza è anche la porta verso l’abisso. Perchè chi è schiacciato nella morsa della società del consumo, senza tempo nè respiro, cerca un modo per anestetizzarsi. Il conforto spesso arriva con il fumo, gli stupefacenti o gli alcolici. E se da una parte c’è un grande stress che porta ad ansia, depressione e attacchi di panico tra i più giovani che vivono di incertezza e precariato, dall’altra le difficili condizioni per chi lavora acuiscono il malessere della collettività. I momenti di svago diventano le ore al bar, cui si aggiunge il brivido o la speranza del gioco d’azzardo declinato in qualsiasi sua forma, dai gratta e vinci a slot e scommesse. Dipendenze che spesso si intrecciano fra loro e portano poi allo spaccio, richiesta di prestiti e quindi usura, estorsione, prostituzione, favori al clan mafioso che vanno saldati. Il nucleo operativo investigativo di Prato, non più tardi di qualche mese fa ha disvelato tramite l’arresto di alcuni esponenti di un clan cinese, come parte della droga venga data agli operai perché sopportino la fatica. La droga era anche destinata alla fatica del gioco degli scommettitori di slot-macchine delle molte sale Vlt (Videolottery) e in parte alle maestranze dei pronto moda. Sostanze stupefacenti per un valore complessivo di 80.500 euro, arrivati per lo più dalle rotte olandese e cinese, ketamina, marijuana, shaboo (metanfetamina), extasy, eroina e cocaina. Ma il business vale molto di più.

Nel nuovo millennio avremmo dovuto raggiungere delle vette insuperabili di benessere e felicità, dato l’immenso sviluppo tecnologico, eppure quella odierna è definita società del disagio e del malessere. L'”epoca delle passioni tristi”, l’avevano nominata Miguel Benasayag e Ghérard Schmit, con vent’anni di anticipo. I due psichiatri scrivevano che ci apprestavamo al declino, poichè si è imposta la convinzione che ogni sapere deve essere utile, ogni insegnamento deve servire a qualcosa. Con la vittoria del neoliberismo, infatti, l’economicismo è diventato, nel mondo odierno, una specie di seconda natura. L’economia si impone su tutto. Non ci si può concedere il lusso di imparare cose che non servono né scegliere un lavoro perché piace; si è creata una tacita gerarchia dei mestieri, per cui la scelta di certe professioni sembra dipendere da un fallimento del percorso scolastico. Pensare appare un lusso pericoloso. Non c’è il tempo né la calma per riflettere, programmare, progettare. Immersi nell’affrontare il ritmo incalzante del quotidiano. La sofferenza del singolo diventa anche la tristezza della società.

L’educazione fondata sul desiderio si oppone nettamente allo stile di una società che, per la perdita di ideali e la tristezza che la connota, educa in funzione della minaccia, insegnando a temere il mondo, ad uscire dai pericoli incombenti, senza lasciare spazio per altro. In passato si riteneva che l’informazione avrebbe consentito di accedere gradualmente a quel «regno dei lumi» al quale aspirava Kant. Eppure, Freud lo aveva ben spiegato: non ci si danneggia per ignoranza e non ci si salva per sola informazione (Al di là del principio del piacere). Solo un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione è in grado di sviluppare legami e di comporre la vita reale, piena di sfumature evolutive.

La nostra società non contiene l’apologia del desiderio, ma punta alle voglie passeggere, effimere, che sono un’ombra impoverita del volere. Tendenze di massa, formattate e appiattite. Come dice Guy Debord in La società dello spettacolo, se le persone non trovano quel che desiderano, si accontentano di desiderare quello che trovano, o quello che il marketing propone. È per questo che la grande sfida moderna dovrebbe andare nella direzione opposta, promuovendo spazi e forme di socializzazione animati dal desiderio, da ciò che ogni individuo vuole realmente. Ritrovare il tempo ed impiegarlo al meglio. Per le cose inutili che però sono infinitamente preziose. Riaccendere quel fuoco assopito dentro ciascuno, in cui l’individuo ritrova sé stesso. Investire nelle passioni, aspirazioni e desideri. Rendere felici e non schiavi, non più succubi ma protagonisti attivi della propria esistenza. Non più un numero, un codice tra i tanti che timbrano ingresso e uscita. Forse un giorno la paura sociale non sarà più esorcizzata con stereotipi e mera classificazione, forse le persone non saranno più incasellate ma capite. Nell’esasperante pratica dell’etichettatura sociale dell’oggi, dove tutti devono per forza essere de-finiti, si impedisce di ampliare e colorare il proprio modo di essere, quasi rifiutando la sensibilità concettuale, artistica, umana di ciascuno, secondo le proprie capacità e attitudini. Certo, per riconoscere la personalità e le sfumature di ciascuno significa rinunciare a quell’infinito esercito di menti scollegate che mai alzano lo sguardo e vivono nel loop dello schiavo moderno.

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