Procuratore Messineo: «Le minacce non incidono sul nostro impegno»
Il presidente della Corte d’Appello di Palermo Vincenzo Oliveri, all’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo siciliano, parla della trattativa Stato-mafia e riconosce importante apporto di Massimo Ciancimino alle indagini
Celebrata anche al Palazzo di Giustizia di Palermo, alla presenza del presidente del Senato Piero Grasso, del sindaco Leoluca Orlando e del presidente della Regione Rosario Crocetta, l’apertura dell’anno giudiziario. Il presidente della Corte d’Appello palermitana Vincenzo Oliveri ha inaugurato lanciando un monito ai magistrati: «Non hanno soltanto il dovere di essere imparziali, ma devono anche apparire tali. Dunque, no all’esposizione mediatica, no a comportamenti impropri, no a carriere politiche nel distretto dove il giorno prima si indossava la toga». E ricorda i pericoli da cui difendersi in Italia: «la corruzione, l’evasione fiscale e la crisi economica e sociale».
«Siamo grati al ministro Severino, prima, e al suo successore, poi, per aver restituito alla giustizia il posto prioritario che le spetta, presentandola come una risorsa e non come un costo, e per essere riuscito a compiere questa importante operazione in un contesto politico tutt’altro che facile e favorevole», ha affermato Oliveri, che subito dopo ha aggiunto: «Nell’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle la giustizia non è stata terreno di scontro, perché si è ripristinato il principio che senza il dialogo, l’ascolto e la collaborazione non si arriva al giorno dopo. Si sono archiviate concezioni che raffiguravano politica e giustizia come “mondi ostili guidati dal reciproco sospetto”, ribadendo la necessità che ciascuno coltivi il proprio ruolo, senza invadere terreni altrui».
Nella relazione inaugurale per l’anno giudiziario 2014 Oliveri fa inoltre riferimento al processo sulla trattativa fra Stato e mafia, attualmente in corso proprio a Palermo e, in particolare, in un passaggio, riconosce l’importanza della testimonianza di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso Vito. Sul contributo dichiarativo di Ciancimino Junior, si è più volte espresso in passato anche il pm Nino Di Matteo, sottolineando e insistendo che senza tali dichiarazioni non si sarebbe potuta riaprire l’inchiesta sulla trattativa. «Tra gli imputati – ha detto Oliveri – figurano esponenti delle istituzioni e delle forze dell’ordine, ai quali si addebita di avere, con il loro comportamento, supportato l’azione intimidatrice di Cosa Nostra, esponenti del vertice mafioso dell’epoca e Ciancimino Massimo, che, con le sue dichiarazioni, ha apportato un rilevante contributo alle indagini».
«Si procede per il reato di violenza e minaccia a corpo politico e amministrativo, posta in essere da Cosa Nostra nei confronti dei governi in carica, a partire dall’omicidio Lima (marzo 1992) e fino ai primi mesi del 1994, allo scopo di ottenere benefici di vario genere», ricorda ancora l’alto magistrato e sottolinea che «la violenza e minaccia, secondo l’accusa, si sarebbe articolata in vari episodi di strage, mediante uso di esplosivi, commessi a Palermo ed in altre parti del territorio nazionale. Tale attività intimidatoria sarebbe stata accompagnata dall’invio, tramite intermediari, di richieste specifiche dirette alla eliminazione di norme ed istituti giuridici particolarmente incisivi nella lotta alla mafia». Il presidente della Corte d’Appello di Palermo riconosce che, nonostante i continui arresti, Cosa nostra è purtroppo ancora forte. «La mafia – ammette – continua a esercitare il suo diffuso, penetrante e violento controllo sulle attività economiche, sociali e politiche nel territorio, anche se il dato statistico rivela un’attenuazione del fenomeno criminale (84 procedimenti nel 2012 e 71 nel 2013)». «Le indagini – riferisce il presidente della Corte – hanno posto in evidenza i tentativi di riorganizzazione delle consorterie mafiose, nonostante la intensa azione repressiva da parte dello Stato. Il ritorno in libertà di esponenti mafiosi di spicco che hanno concluso l’espiazione delle pene detentive loro inflitte, ha inciso, infatti, sensibilmente sui nuovi assetti di potere nell’ambito dei rispettivi territori e ha in molti casi rinvigorito il prestigio e la capacità di influenza di Cosa Nostra nel contesto sociale di riferimento per il forte carisma di alcuni personaggi». Da qui, l’esigenza di una norma specifica per sanzionare la recidiva dei reati di mafia. Accanto al pizzo e ai consueti metodi di approvvigionamento economico, la mafia si è spostata «verso l’interessamento nei settori delle energie rinnovabili e dello smaltimento dei rifiuti, con rinnovato interesse e un notevole incremento del traffico di sostanze stupefacenti». Pensiamo, per esempio, agli affari milionari del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro attraverso una sistematica acquisizione per la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici nel Trapanese, i cui proventi ne sostenevano la latitanza.
Se alla cerimonia di inaugurazione del nuovo anno giudiziario a Milano è tornata alta la polemica tra magistratura e politica (e in particolare tra la prima e Berlusconi), mentre a Torino l’argomento principale della relazione d’apertura è il caso No Tav, nel capoluogo siciliano si è fatto riferimento al particolare clima che si vive in Procura, alla luce delle continue minacce di Totò Riina (e non solo) rivolte ai magistrati. Lo ha sottolineato il procuratore di Palermo Francesco Messineo, intervenendo a margine della cerimonia inaugurale. «Per il resto, l’anno giudiziario è un momento di riflessione sui problemi della giustizia che purtroppo sono statici, immobili, sono sempre gli stessi e di anno in anno tramandati verso l’anno che verrà». E, tornando sulle minacce: «Indubbiamente non si può dire che siano passate sotto silenzio o in modo del tutto neutrale. Però non hanno minimamente inciso sull’impegno e sull’efficienza delle strutture che combattono la criminalità organizzata, né sulla serenità dei colleghi. È chiaro poi che fatti di questo genere fanno aumentare il livello di attenzione sulle condizioni di vita e di lavoro di questi colleghi».
In merito all’escalation di minacce rivolte ai pm, gli fa eco il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato: «Stiamo assistendo a propositi di morte nei confronti dei magistrati che lasciano interdetta l’opinione pubblica e la politica nazionale che non riesce a sopire questa voglia di rivalsa». Ad ascoltare in aula le parole dei colleghi, ci sono anche il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. «Davanti a queste situazioni – ha concluso Scarpinato – non possiamo abbassare la guardia. Sappiamo bene come questo sia un pericolo costante».