processo Cupola 2.0: Cosa Nostra stava riorganizzando la commissione provinciale
condannati vecchi e nuovi padrini delle famiglie palermitane
La seconda sezione della Corte d’appello di Palermo ha emesso 43 condanne e 5 assoluzioni, a seguito dell’inchiesta Cupola 2.o. Il processo era scaturito da un’operazione dei carabinieri, risultato di quattro distinti procedimenti penali, le cui indagini hanno permesso di cogliere in presa diretta la fase di riorganizzazione di Cosa Nostra dopo la morte di Totò Riina, documentando la ricostituzione della nuova commissione provinciale di Palermo. Il 29 maggio 2018 era tornata a riunirsi, ristabilendo le vecchie regole ed eleggendo a proprio capo Settimo Mineo, capo mandamento di Pagliarelli (in appello condannato a 21 anni). Le risultanze investigative hanno permesso di ricostruire gli assetti dei mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Bagheria, Villabate e Misilmeri, portando all’arresto di 4 capi mandamento, 10 tra capi famiglia, capi decina e consiglieri, nonché 30 uomini d’onore e altri 2 responsabili di reati fine. Tra i volti noti, ricompare nuovamente Massimo Mulè, arrestato nei giorni scorsi nell’operazione antimafia “Centro”. Nonostante in primo grado fosse stato assolto, dalle intercettazioni era emerso un suo progetto di fuga; ora è condannato a 11 anni e 4 mesi. Alla sbarra c’erano molti dei boss della nuova mafia, da Gregorio Di Giovanni e Calogero Lo Piccolo, figlio del padrino di San Lorenzo Salvatore Lo Piccolo, e Leandro Greco, nipote di Michele Greco il «papa».
Il summit, il primo dopo la morte di Totò Riina, si era tenuto in una catapecchia, tra le strade di campagna, arredata con mobili vecchi e una tavola imbandita con dolci e cornetti. A mezzogiorno, seduti a pranzo, i capi dei più importanti clan avrebbero deciso di riorganizzarsi e di riportare da Corleone alla città il centro nevralgico dell’associazione. Gli affari di Cosa nostra si snodano tra scommesse, droga e pizzo. Il pagamento del pizzo, è ancora visto per il clan come una forma di “buona educazione” [nei loro confronti]. L’indagine ha raccontato una mafia più interessata che mai agli affari: la droga, antico business per anni lasciato alla ndrangheta e da riprendere, le scommesse online, nuova frontiera del guadagno illecito, le estorsioni. I carabinieri ne accertarono più di 30. Bersagli commercianti e imprenditori, soprattutto edili. Emerge come l’organizzazione criminale sia ancora radicata e ramificata sul territorio palermitano e siciliano; le famiglie mafiose sono in grado di riorganizzarsi mantenendo nel tempo quella compattezza e quella unità che da sempre le contraddistingue.
Settimo Mineo, gioielliere ultra ottantenne con una storia importante in Cosa Nostra, era il dominus del summit. Il ritorno dei boss “anziani” rappresenta anche il ripristino di tradizioni e regole, come il rito di affiliazione attraverso la “punciuta” o la richiesta di pizzo, che rispondono all’identità comune di Cosa nostra. Una mafia tutt’altro che sconfitta che si nutre – come emerge dalla lettura delle intercettazioni dell’inchiesta di Palermo – di legami e complicità collusive con esponenti di quell’area grigia popolata da professionisti, politici, imprenditori, traffichini.
Gli imputati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni e tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso, fittizia intestazione di beni, porto abusivo di armi comuni da sparo, danneggiamento a mezzo incendio e concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici della seconda sezione della corte d’Appello hanno confermato pure il diritto al risarcimento e le provvisionali (per oltre 150 mila euro) alle parti civili e a 13 imprenditori che si erano ribellati al racket del pizzo. Tra i risarciti anche alcune associazioni come il Centro Pio La Torre, Addiopizzo, Confcommercio Palermo, Sos Impresa, Sicindustria, e Confartigianato. Parte civile anche i Comuni di Villabate, Ficarazzi e Misilmeri.