Pubblicato: dom, 22 Set , 2019

Partiti, nel nome di sua maestà la sanità. Quando i conti non tornano.

In Italia il centro sinistra ha deciso di andare in ordine sparso, ma forse è solo una strategia delle lobby finanziarie che incalzano. Dal gruppo degli ex di Leu, al Pd  passando per Siamo Europei di Carlo Calenda, fino a Italia Viva di Renzi,  la priorità è la sanità. Gatta ci cova? Vediamo come.

     Lady vaccini, Beatrice Lorenzin, ex ministra della Sanità è trasmigrata, con le sue lobby,  nel Pd, per continuare a contare, almeno su di una poltrona, la sua. Mentre, Il neoministro della Sanità, Roberto Speranza, usa parole che suonano antiche, perfino di sinistra: salute per tutti, universalità ed equità per onorare la Costituzione ed il nostro Servizio sanitario nazionale. Aria fritta, direte voi, eppure lui si sbilancia ed offre la chiave: obiettivi di salute e non solo aziendalizzazione. Sembra nulla, eppure potrebbe essere tutto. Annuncia, infatti, una rivoluzione copernicana, ovvero passare dal pareggio di bilancio e dal ragionieristico approccio contabile sulla sanità, alla salute reale dei cittadini. Da molti anni ormai, la sanità è sistematicamente e volutamente definanziata, perché il sistema privato e il modello assicurativo prevalgano. Questo era il punto ed è proprio qui che siamo arrivati. Lo sa bene anche Carlo Calenda, fuoriuscito del Pd, che nel suo nuovo movimento ha messo come punta Walter Ricciardi, a lungo presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, in perfetta sintonia con la ex ministra Lorenzin, molto meno con Giulia Grillo. Ricciardi per alcuni  mesi ha girato l’Italia per presentare il suo libro “La battaglia per la Salute”(Ed.Laterza, 2019), che racconta la storia del servizio sanitario, proponendo, tra le righe, il trionfo dell’innovazione in ambito biomedico e farmacologico, ma che, di fatto ha trovato una sola via di uscita: la sanità a partecipazione privata, basata sul modello assicurativo. Dove l’universalità sia attribuita, per così dire, dalla possibilità di accesso, garantita non dalla fiscalità generale, ma da un sistema assicurativo istituzionalizzato e, forse, non solo integrativo. In sanità, infatti, i conti non tornano proprio, ma non perché si spenda troppo, anzi si spende “poco” per la salute,  (lo ha scritto il report dell’OCSE).   Il problema è che anche quel poco si sperpera, perché finisce in cose che non servono molto. I conti della spesa, per anni, li ha tenuti a bada anche  Giovanni Bissoni, prima come assessore alla Sanità della Regione Emilia Romagna, poi, all’Agenzia Nazionale di Sanità Pubblica, infine come commissario di governo per il risanamento del buco nero della sanità del Lazio, dando anche un’ occhiata ai rapporti con le regioni e facendo proposte nel gruppo per la governance della spesa farmaceutica, voluto dalla ex ministra pentastellata Giulia Grillo. Per questo, una cosa la sa per certo: il risanamento dei bilanci ottenuto con la scura ed i tagli lineari, non basta, se non ripartono le politiche sanitarie, per invertire la vecchia rotta, quella della “cattiva” spesa, ovvero quella che non serve alla salute. Occorre, invece, cominciare a mettere le dita nelle piaghe: ristabilire una governance centralizzata della sanità,  senza bisogno di rivedere il titolo V della Costituzione, ma semplicemente reinterpretandolo correttamente, con una cabina di regia. Attese da tempo anche le proposte sui farmaci monodose e la razionalizzazione della spesa farmaceutica, ancora lettera morta all’AIFA, dove il ministro Speranza dovrà dire la sua per la riconferma o meno del direttore, Luca Li Bassi, a cui si è chiesto di puntare sui generici, gestendo meglio  l’innovazione.

Le prescrizioni non devono essere inappropriate, ne aveva fatto un cavallo di battaglia la ministra Lorenzin, ma varando il decreto più inadeguato che la storia della professione medica ricordi, perché “taglieggiava” i medici di famiglia con protocolli rigidi, di tipo ragionieristico, ma, talvolta, del tutto  irragionevoli sul piano clinico per il caso concreto e lesivi dell’autonomia di cura. Tutti d’accordo, i nuovi apostoli della sanità, invece,  sulla necessità di uno sviluppo delle competenze e del ruolo del personale infermieristico, ma rifinanziando le borse per gli specializzandi italiani, soprattutto in base alla domanda di salute (che da 6000 dovrebbero arrivare a 10.000). L’Italia è un Paese di vecchi, ma non è ancora pronto a prendersene cura, perché manca il territorio e l’assistenza continua e di prossimità. Fuori dal giro, da vero outsider al sistema, il neoapostolo Ivan Cavicchi, sociologo e filosofo della medicina, il cambiamento lo legge a testa in giù, ripartendo dalla base : la medicina e dai medici. Per Ivan Cavicchi,  la governance della sanità è un falso problema e fa sbattere la testa. Infatti, non basta e comunque viene dopo, è una questione epistemologica. Prima l’uovo o la gallina? Ed è così che rilancia la sfida. Lo sa bene, Filippo Anelli, il presidente della Federazione Nazionale dei medici, che da mesi lo ha voluto al suo fianco per discutere con tutti, ma proprio con tutti le sue 100 tesi.

                                                                                                                                     Monica Soldano

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