Pubblicato: sab, 5 Lug , 2014

Palermo ricorda Filippo Basile: uomo normale, suo malgrado divenuto eroe

“La forza della memoria al servizio dell’etica”: il convegno a Palazzo dei Normanni dedicato al dirigente regionale ucciso 15 anni fa dalla mafia

 

10409715_10202038484671173_9190097849937256472_nÈ stato ricordato nella splendida e gremitissima cornice della Sala Gialla di Palazzo dei Normanni, Filippo Basile: il funzionario della Regione Sicilia, ucciso esattamente quindici anni fa da tre colpi di pistola mentre è al volante della sua auto, esplosi dal reo confesso Ignazio Giliberti, su commissione di Antonino Velio Sprio, collega della vittima, che pagò il killer 10 milioni di lire. La “colpa” di Basile, che era a capo del personale dell’Assessorato dell’Agricoltura, fu quella di aver istruito la pratica di licenziamento di Sprio, in quanto accusato di associazione a delinquere e tentato omicidio, oltre alla condanna definitiva per truffa aggravata.

Il delitto è legato a doppio filo a quello di Giovanni Bonsignore, avvenuto il 9 maggio 1990: un altro integerrimo funzionario regionale, che stava indagando su alcune truffe e in particolare su un finanziamento irregolare destinato alla cooperativa “Il Gattopardo”, di Palma di Montechiaro, vicina alle famiglie mafiose dell’agrigentino Allegri e Ribisi. Stesso mandante e medesimo movente, quindi, per due uomini che hanno entrambi “osato” disturbare gli equilibri di un feudo clientelare, in cui la normalità diventa anomalia, l’onesta una colpa. Fu grazie a Bonsignore che emerse il nome di Sprio, inserito nel comitato tecnico incaricato di istruire le pratiche sui contributi e, contemporaneamente, era vicepresidente della cooperativa destinataria del finanziamento. Sprio era quindi stato sospeso dal lavoro, salvo poi essere reintegrato, ma nel febbraio del ’98 la condanna per truffa aggravata era divenuta nel frattempo definitiva. Bisognava licenziarlo e il compito spettava proprio a Basile. Un atto dovuto, che pagherà con la vita.

Come se ciò non bastasse – un anno prima che Filippo Basile venisse freddato il pomeriggio di un lunedì qualunque, mentre era a bordo della sua Lancia Delta, all’uscita dell’ufficio e diretto a prendere il figlioletto di 8 anni da scuola – quella pratica si perse all’interno di un incomprensibile (ma non poi tanto) dedalo burocratico. Totò Cuffaro, allora al gabinetto dell’Assessorato all’Agricoltura, non trova il tempo di mettere una semplice firma sul provvedimento disposto da Basile, perché troppo indaffarato con la campagna elettorale che lo vedrà in effetti poi vincitore. Ma il tempo, si sa, può essere un concetto relativo e in Sicilia ancora più che altrove. Può restringersi o dilatarsi, a seconda di esigenze personali, che non sempre coincidono con quelle della storia e della giustizia. Fatto sta che, quella firma continuamente rinviata per mancanza di tempo, arriva con un tardivo e allo stesso modo improvviso ravvedimento soltanto il 12 luglio 1999: sette giorni dopo l’uccisione del funzionario. Sarà poi soltanto una coincidenza che Cuffaro e Sprio fossero concittadini e che quest’ultimo chiamasse affettuosamente il primo “figlioccio”.

Di certo, c’è l’isolamento che si creò attorno a Basile (nelle motivazioni della sentenza per il delitto, i giudici denunciano le «responsabilità di Cuffaro nella creazione del clima di ostile isolamento in cui il funzionario trascorreva i suoi giorni all’Assessorato»), tipico di un contesto mafioso che, a braccetto con la delegittimazione, è spesso il preludio di tanti omicidi di uomini e donne colpevolmente lasciati soli da chi, in questo modo, ne diviene oggettivamente complice.

L’intento del convegno organizzato dal servizio Formazione del dipartimento regionale per la Funzione pubblica e del Personale, nel quindicesimo anniversario della morte di “un eroe normale”, quale fu Filippo Basile, è quello non soltanto di onorare la memoria di un elevato esempio di integrità, ma dimostrare una netta volontà anche da parte delle Istituzioni e della Pubblica Amministrazione di tagliare ogni legame con un passato – e un presente – in cui la legalità fatica a trovare spazio, a fronte di “poteri alternativi”, nella speranza di un futuro in cui la parte sana della collettività possa finalmente identificarvisi.

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