Pubblicato: mer, 29 Gen , 2014

Omicidio De Mauro: Riina assolto anche in appello

Il boss corleonese è stato assolto dall’accusa di aver organizzato nel 1970 il sequestro del giornalista de L’Ora di Palermo, il cui corpo non è stato mai ritrovato

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Mauro De Mauro

La Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta da Biagio Insacco, ha assolto Totò Riina: l’unico imputato (in vita) nel processo per l’omicidio di Mauro De Mauro, il cronista del giornale L’Ora sequestrato a Palermo la sera del 16 settembre 1970 mentre stava tornando a casa. Il corpo del giornalista non fu mai più ritrovato.

I giudici, dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, hanno quindi confermato la sentenza d’assoluzione di primo grado emessa tre anni fa, non ritenendo attendibili, oggi come allora, le dichiarazioni di alcuni super pentiti, come: Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo, Francesco Marino Mannoia e Francesco Di Carlo. Erano state proprio le rivelazioni di quest’ultimo, ex boss di Altofonte, a far riaprire il caso De Mauro nel 2001, dopo che a suo tempo era stato archiviato. Stando a quanto affermato da Di Carlo, la mafia aveva deciso di eliminare De Mauro perché era venuto a conoscenza dei progetti del golpe del principe Junio Valerio Borghese, in cui era coinvolta Cosa nostra. Il pentito raccontò anche che il giornalista fu prelevato sotto casa e, una volta ucciso, sepolto alla foce del fiume Oreto. Il tutto su ordine di Riina e degli altri due capomafia che all’epoca reggevano la cupola di Cosa nostra, ossia Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti. Di Carlo, ascoltato dai giudici lo scorso 25 giugno, aveva raccontato di avere accompagnato Riina nell’abitazione del capomafia Giuseppe Giacomo Gambino per un summit tra boss qualche settimana prima del rapimento di De Mauro. Il delitto sarebbe stato deliberato proprio nel corso di quella riunione. Come detto, però, tale ricostruzione non resse nemmeno al processo di primo grado, in cui l’accusa era sostenuta dall’ex pm Antonio Ingroia. Erano già trascorsi dieci anni dalla riapertura delle indagini, quando Riina fu assolto il 10 giugno del 2011. Nell’ultima udienza il procuratore generale Luigi Patronaggio aveva chiesto l’ergastolo e l’isolamento diurno per tre anni, ma per le toghe non c’è alcuna colpevolezza.

Nella sua arringa, il difensore di Riina, l’avvocato Giovanni Anania, ha ricordato di come «il generale Dalla Chiesa disse che dietro la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, della mafia non c’era neppure l’odore. E Dalla Chiesa conosceva uomini e cose. Così i carabinieri seguivano una pista non mafiosa. Mentre la polizia, con Bruno Contrada, ne seguì un’altra». Quella, appunto, indicata dal collaboratore Di Carlo. Mutolo e Buscetta, insieme ad altri pentiti, ipotizzarono invece che il cronista fu messo a tacere per sempre perché impegnato nell’inchiesta sulla morte dell’allora numero uno dell’Eni, Enrico Mattei, avvenuta il 27 ottobre 1962 in seguito all’esplosione dell’aereo che, dalla Sicilia, lo stava riportando a casa a Milano. Fu questa la tesi accolta in pieno dai giudici di primo grado. «La causa scatenante della decisione di procedere al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro – si leggeva nella motivazione – fu costituita dal pericolo incombente che stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora impenetrabile e così mettendo a repentaglio l’impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull’immagine stessa delle istituzioni». Per l’accusa, il caso Mattei e il tentato golpe Borghese, sarebbero «due piste convergenti». Di Carlo, invece, ha sempre escluso che la scomparsa del «giornalista scomodo e coraggioso » c’entrasse qualcosa con quella del presidente dell’Eni. «A Mattei ci avevano pensato i catanesi», disse. Per un certo periodo ci fu persino una terza pista a rendere ancora più intricata la vicenda di De Mauro, sulla quale indagò lo stesso Dalla Chiesa. Il giornalista, si ipotizzò, avrebbe potuto scoprire gli scali dell’eroina e della cocaina a Palermo.

L’omicidio di De Mauro è un caso pieno di depistaggi e insabbiamenti. I pubblici ministeri di primo grado avevano cercato di mettere in evidenza come, sebbene anche la mafia avesse giocato un ruolo di primo piano, la morte del cronista fu voluta da ambienti neofascisti e da personaggi legati ai servizi di sicurezza, alla politica e alla finanza, nonché da certe organizzazioni che, pur non essendo espressamente mafiose, si erano alleate a Cosa nostra. Contemporaneamente all’assoluzione di Riina nel 2011, la Corte aveva trasmesso gli atti al pubblico ministero affinché procedesse per falsa testimonianza nei confronti dell’ex funzionario del Sisde Contrada, dei giornalisti Pietro Zullino (deceduto l’anno dopo) e Paolo Pietroni e dell’avvocato Giuseppe Lupis. Gli ultimi tre avrebbero cercato di creare fumose piste alternative in combutta con i Servizi segreti.

Anni di indagini e processi non sono serviti ad arrivare alla verità. A distanza di oltre 40 anni non si riesce (?) ancora a far luce sull’omicidio di De Mauro. Se il capo dei capi non è né il mandante né l’organizzatore, né tantomeno il killer («Non ci sono prove sufficienti per condannarlo»), chi sono allora i colpevoli? Che siano i cosiddetti “poteri forti”, gli stessi che hanno frenato le indagini con innumerevoli operazioni di depistaggio? Troppi interrogativi sono ancora in attesa di risposte in questo processo, che ha tutta l’aria di voler rimanere l’ennesimo “misterioso” delitto italiano senza giustizia.

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