Pubblicato: gio, 5 Ott , 2023

Maxi operazione a Tor Bella Monaca e Esquilino: fiumi di droga, i narcos di mezza Italia e il broker cinese

I soldi del narcotraffico ripuliti e trasferiti in Cina

La maxi operazione a Tor Bella Monaca e all’Esquilino ha disvelato un giro di affari per oltre 50 milioni di euro. Un fiume di soldi da ripulire e un banchiere cinese a disposizione di tutte le organizzazioni criminali, dai narcos di Tor Bella Monaca, a camorra e ndrangheta. Il centro del business è tra i finti negozi ben mimetizzati nella Chinatown di Roma. Gli asiatici riciclavano il denaro e lo ripulivano mandandolo in Cina, attraverso una fitta rete di broker locali.

L’indagine ha interessato le province di Roma, L’Aquila, Reggio Calabria, Napoli, Perugia, Ancona e Campobasso. Oltre una trentina le persone arrestate per le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e al riciclaggio, oltre che per i reati di estorsione, autoriciclaggio e detenzione abusiva di armi.

Dalle risultanze investigative è emerso come venissero utilizzate attività commerciali dedite all’import-export di abbigliamento e accessori di moda, gestite da due comunità familiari cinesi, tra Esquilino e Tor Bella Monaca. Gli esercizi commerciali fittizi fungevano da centri di raccolta del provento illecito, destinato a essere trasferito all’estero in maniera anonima e non tracciabile, grazie al metodo Fei Ch’ien (cd denaro volante).

Dai cinesi confluivano i proventi del narcotraffico romano di due compagini criminali italiane, definite dagli inquirenti di “alto livello”. La prima capeggiata da Antonio Gala e Fabrizio Capogna, l’altra da Federico Latini. Antonio Gala latitante e molto vicino al boss Giuseppe ‘Peppe’ Molisso, referente massimo della droga a Tor Bella Monaca, legato al clan camorristico dei Senese, sarebbe il referente della nuova camorra romana. Fabrizio Capogna, all’epoca delle indagini era già detenuto in carcere Rebibbia, dopo che era sfuggito alla cattura nel 2022 nell’ambito della operazione Spongebob, che aveva smantellato una organizzazione criminale albanese dedita al narcotraffico. Capogna è considerato un pezzo da novanta del narcotraffico romano, la sua latitanza è terminata in Spagna a marzo 2023. Appartenente alla nota famiglia Capogna, già indagato nell’ambito della Operazione Lucifero e per i suoi metodi criminali. Nel 2015 era stato coinvolto nell’inchiesta sulla banda di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, il capo ultrà Laziale ucciso nell’agosto 2019 al parco degli Acquedotti. Gli inquirenti hanno comprovato che Fabrizio Capogna dal carcere, tramite un telefono criptato, gestiva le consegna e lo stoccaggio della droga – hashish ma anche cocaina – che Gala faceva arrivare principalmente dalla Spagna. Gli investigatori hanno addebitato a Fabrizio il cosiddetto “metodo Capogna”, il sistema della staffetta su moto a noleggio dietro le auto che trasportano droga. Durante le indagini sul gruppo Gala-Capogna sono stati sequestrati oltre 110 chili tra hashish, marijuana e cocaina e sono stati ricostruiti traffici illeciti per oltre 545 chili di sostanza stupefacente, costituente un giro di affari tra Spagna e Italia di circa 20 milioni di euro.

La seconda compagine criminale dedita agli stupefacenti e che si avvaleva del cinese per ripulire il provento, risulta coordinata da Federico Latini, all’epoca delle indagini agli arresti domiciliari per il tentato omicidio legato a un regolamento di conti. Dagli inquirenti viene descritto come “fortemente radicato nel mondo del narcotraffico romano”. Le indagini sul suo clan hanno permesso di sequestrare armi e partite di droga per oltre 157 chili, per un valore stimato di circa 4 milioni di euro.

Dalle risultanze investigative è emerso che Wen Kui Zheng sarebbe al vertice dell’organizzazione cinese dedita al riciclaggio. Lo stesso Zheng si adoperava costantemente per reclutare nuovi associati e prendere accordi diretti con numerosi clienti, tutti nel mondo dello spaccio romano e della ndrangheta. Secondo le indagini, Zheng offriva anche supporto logistico ai corrieri di valuta, per conto dei quali pianificava e organizzava dettagliatamente i viaggi aerei con cui trasportare il denaro contante all’estero allo scopo precipuo di eludere i controlli alle frontiere. I cinesi incassavano una commissione del 5% del denaro riciclato. Nel complesso, sono state tracciate movimentazioni finanziarie per oltre 50 milioni di euro, dirette dal territorio nazionale verso la Repubblica Popolare Cinese. Durante le indagini sono stati sequestrati circa 10 milioni di euro, di cui 8 milioni di euro all’aeroporto Leonardo da Vinci, tramite i money mule (i corrieri). Sono stati anche accertati conferimenti di denaro di provenienza illecita in favore della compagine cinese di stanza a Roma per oltre 4 milioni di euro. Le consorterie mafiose si servivano anche di chat criptate, il cui contenuto è stato acquisito anche grazie alla collaborazione tra la Dda di Roma ed Eurojust.

All’Esquilino convergevano gli interessi anche di altri esponenti della camorra e della ndrangheta. Rintracciati gli affari di Michele Sannino, considerato affiliato al clan Mazzarella di Napoli, che avrebbe portato ai cinesi ben 530 mila euro da lavare. E ovviamente i calabresi. Dalle risultanze investigative sono emersi almeno due contatti diretti tra il broker cinese e la ndrangheta. Per il tramite di Santo Flaviano, appartenente al mandamento di Reggio Calabria, radicato anche sul litorale romano. In questo caso è proprio Zheng che parte da Roma per recuperare un milione di euro, diviso in due tranche da 500 mila euro, considerati dagli investigatori del Gico «provento del traffico di sostanze stupefacenti e comunque di attività illecita». Ma all’organizzazione asiatica si è rivolto anche Rizeri Cua, di Locri, considerato uomo del mandamento tirrenico. Portò in negozio a Zheng altri 500 mila euro da far sparire. Le ffoo lo hanno intercettato in compagnia dei presunti riciclatori cinesi, con 100mila euro e pochi giorni dopo con 130mila euro, destinati a essere trasferiti «all’estero in modo tale da ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa». Anche Cua è stato arrestato, gli inquirenti non escludono che le sue consegne «e il prelievo di 500mila euro a Reggio Calabria siano tra loro collegati, trattandosi di profitti provenienti dal medesimo contesto criminale calabrese». Il meccanismo, infatti, era già emerso nell’inchiesta Eureka della Dda di Reggio Calabria. Nella precedente indagine le cifre rintracciate erano addirittura più elevate e legate ai traffici di cocaina tra Colombia e Calabria; documentato il trasferimento di oltre 5 milioni di euro «su strada dalla Calabria sino a Roma e Valmontone, da dove, successivamente», i soldi vengono «veicolati in Sudamerica attraverso operazioni di pick-up money assicurate da individui cinesi». Dalle risultanze investigative è emerso che le famiglie di San Luca e Bovalino sono disposte a pagare fino a 160mila euro per ogni milione trasferito in contanti dai cinesi all’estero. La base dei traffici è, ancora, la Locride con il broker Sebastiano Strangio a tenere i contatti con un referente in Colombia, per conto del clan Giorgi. Rizeri Cua potrebbe essere il terminale di una rete molto più vasta. Le indagini proseguono.

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