Pubblicato: ven, 5 Mag , 2017

L’ombra delle mafie nel Valdarno aretino.

Da fonti investigative la provincia di Arezzo continuerebbe ad essere una delle zone a più alto rischio per quel che riguarda il flusso illecito dei rifiuti, oggi dal sud alla Toscana, e per il loro smaltimento.

 

 

Le mafie sono come quelle colonie di insetti invasivi che ti distrai un attimo e te le ritrovi in casa e se non reagisci subito con energia ti salgono sulla tavola dei cibi e sul letto.

Quella di Podere Rota, nel comune di Terranuova Bracciolini, è vicenda inquietante, poiché segnala la presenza, in questo caso della ‘ndrangheta, nel territorio aretino. La discarica in questione, una delle cinque che compongono il sistema di gestione dei rifiuti di Ato Toscana Sud, peraltro, per suo conto, invalidata dalla corruzione, è da tempo sulle cronache per le esalazioni moleste segnalate dai residenti e che hanno causato già, nel novembre 2010 e nel maggio 2013, la denuncia, da parte della Forestale con la collaborazione dell’ARPAT, degli operatori del sito per non aver provveduto in modo completo ed adeguato al ricoprimento giornaliero dei rifiuti con terra e inerti come previsto dall’autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Arezzo. Ma ciò che è avvenuto nel 2015 è decisamente altro. Nell’aprile, l’azienda che ha ricevuto dal Comune l’incarico di gestire la discarica, la CSAI Impianti, nella sua autonomia di società per azioni lancia una gara d’appalto per l’ampliamento del sito. La gara viene vinta da Smeda srl, società lucana. Quando Csai invita l’impresa vincitrice a produrre la documentazione necessaria alla stipula del contratto, questa non deposita quanto richiesto, comunicando l’impossibilità ad addivenire al perfezionamento del contratto per l’indisponibilità di un fornitore a mantenere i prezzi che erano stati indicati in offerta. Certuni informati sostengono che Smeda sia una ditta svuotata dal crimine organizzato.

Per cui, nel dicembre 2015 Csai aggiudica l’appalto alla seconda impresa in graduatoria, la Italcostruzioni srl, società di Siderno, in provincia di Reggio Calabria. Ma la Prefettura di Arezzo, nel quadro di una articolata operazione mirata a verificare l’esistenza di infiltrazioni della criminalità, dispone sull’appalto controlli amministrativi e nell’agosto del 2015 agenti si presentano ai cancelli della discarica per acquisire documentazione; l’indagine è poi sfociata nella misura interdittiva antimafia. Il sindaco di Terranuova ci ha detto che lui non ha esercitato, e non gli competeva alcun potere nella decisione dell’appalto sotto osservazione e dunque non avrebbe responsabilità, avendo provveduto in piena autonomia, quale società di capitali, Csai. Nella Italcostruzioni è socio al 13% Francesco Cataldo, figlio di Vincenzo che è stato condannato a 9 anni per associazione mafiosa. La famiglia dei Cataldo è affiliata alla ‘ndrina dei Commisso di Siderno, una delle più potenti organizzazioni ‘ndranghetiste. Vincenzo è stato arrestato, nel settembre 2014, nel corso dell’operazione “Crimine”, condotta dagli uomini dello Sco e della Squadra Mobile di Reggio Calabria, che ha portato in carcere 53 appartenenti alla ‘ndrina dei Commisso. Le indagini avevano permesso la scoperta di un intreccio, nel reggino, tra ‘ndrangheta e politica corrotta per il controllo sugli appalti pubblici. Il 20 gennaio 2016 il gup di Reggio Calabria ha emesso 21 sentenze di condanna, tra le quali quella del Cataldo.

Ma qual è lo spessore criminale dei Commisso? Droga, estorsioni, appalti pubblici, usura, alimentazione, floricoltura, non c’è niente che sfugga a questa ‘ndrina tra le più potenti della criminalità organizzata calabrese. La sua forza sta nella diversificazione degli affari e nella capacità di internazionalizzare le sue ramificazioni tentacolari e l’abilità di adattamento. Possiede tutte le caratteristiche che hanno permesso alla ‘ndrangheta di divenire l’organizzazione mafiosa più potente al mondo. I Commisso sono passati dal contrabbando di sigarette degli anni Sessanta alla droga degli anni Ottanta, e nel traffico degli stupefacenti hanno raggiunto un notevole livello di preminenza e hanno avuto contatti coi cartelli colombiani, sono arrivati a controllare catene di negozi, ristoranti, imprese edili, centri commerciali e si sono spinti agli investimenti internazionali. I loro affari, da Siderno si sono estesi al nord Italia, al nord Europa, all’Olanda e quindi all’Argentina, all’Australia, al Canada. Rappresentano l’esempio perfetto della ‘ndrangheta come “mafia liquida”; negli anni ’80 e ’90 sono imprenditori di successo che non sottostanno certo, nel territorio d’origine, a regole di mercato o a concorrenza; quando il capo della famiglia, Antonio Commisso, viene arrestato nel 2005 in Canada, i poliziotti canadesi e italiani lo fermano mentre fa footing nell’esclusivo quartiere di Woodbridge, dove viveva in una villa vittoriana del valore di 700mila euro. Magistratura e inquirenti li combattono, assestano loro duri colpi, ma il loro potere è notevole: negli anni ’70 hanno partecipato alla costruzione del porto di Gioia Tauro. La loro presenza nell’aretino era già stata segnalata: nel dicembre 2011 viene sequestrata a un certo Vittorio Barranca, ritenuto dagli investigatori elemento di spicco e vicino alla cosca dei Commisso, un albergo ad Anghiari con centro congressi, bar, ristorante e pizzeria.

Non conosciamo le responsabilità precise, di omesso controllo od altro, nella vicenda di Podere Rota. Ma alcune cose vanno ancora dette. Il sistema delle partecipate permette ai governanti sul territorio di eludere più facilmente responsabilità amministrative, l’uso ormai regolare dei subappalti consente alle ditte mafiose o corrotte di accaparrarsi o partecipare anche ai maggiori lavori pubblici. Ne è ulteriore prova, nel Valdarno, la vicenda di Giovanni Potenza, con ditte in San Giovanni Valdarno, che ha ristrutturato gli Uffizi di Firenze. Il principio del “massimo ribasso” negli appalti pubblici è ormai evidente che non assicura il risparmio della collettività, ma esalta la competitività mafiosa: gli imprenditori onesti non potranno mai fare i ribassi dei criminali e le feroci leggi del mercato li espelleranno fuori; nei cantieri dove lavorano le imprese infiltrate si utilizzano prestatori d’opera in nero e non sono rispettate le norme della sicurezza nei luoghi di lavoro; sovente vi sono adoperati materiali scadenti, con i rischi di disastri in seguito a calamità; la criminalità organizzata crea consenso sociale e controlla il territorio. Infine alcuni ex amministratori comunali ci hanno detto che la politica della Regione Toscana delle aree vaste, con la creazione di entità di cui sfuggono i poteri decisionali, riduce la democraticità del sistema, il controllo sulle medio-grandi opere di tutti i primi cittadini, ma soprattutto di quelli dei comuni piccoli e medi e, dunque, affievolisce le responsabilità politiche.

Da alcune fonti e da un’interrogazione del 6 marzo scorso del Gruppo consiliare di Forza Italia alla Regione Toscana si apprende che risulterebbero indagini, condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze e coordinate dal procuratore capo di Livorno, per un traffico illecito di rifiuti; in particolare si tratterebbe di uno smaltimento illecito di rifiuti speciali, fanghi di concerie provenienti dalla zona di Santa Croce sull’Arno, tramite impianti che non avrebbero potuto trattarli e tra questi sarebbe stato controllato dagli inquirenti anche Podere Rota. Nel documento consiliare gli interroganti sostengono che i rifiuti pericolosi venivano trattati declassandoli a rifiuti “non pericolosi” e, dunque, con responsabilità gestionali di Csai, società per azioni mista ma a prevalente capitale pubblico, la quale ha smentito ci siano propri dirigenti indagati. Va ricordato, inoltre, che il socio privato, al 40%, di Csai è STA, società toscana ambiente spa, a sua volta socia di maggioranza di Sei Toscana, coinvolta nell’inchiesta sulla gara per l’assegnazione della raccolta e smaltimento dei rifiuti di Ato Toscana Sud.

Nel Rapporto del 2014 sulle presenze della criminalità organizzata redatto dalla Fondazione Antonino Caponnetto si sostiene, con il supporto di risultanze investigative, che Arezzo è stata al centro dei primi accordi sullo smaltimento illecito dei rifiuti tossici, che sarebbero stati siglati dal clan dei casalesi e da imprenditori. Dalle rivelazioni dei pentiti e dalle carte desecretate si evincerebbe come probabile la nascita dell’ecomafia ad Arezzo. Nel settembre 2011, la Squadra Mobile di Caserta ha arrestato Gaetano Cerci, affiliato alla fazione di Francesco Bidognetti già condannato nel 1995 per associazione mafiosa, poi divenuta definitiva. Secondo gli inquirenti il Cerci ha favorito la latitanza di Vincenzo Schiavone, nipote del noto Sandokan, all’anagrafe Francesco Schiavone. Come imprenditore Cerci è stato attivo nel traffico illecito di rifiuti tossici trasportati dalla Toscana alla Campania, attraverso la società Ecologia 89. Nell’ordinanza cautelare della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, il personaggio viene inquadrato come “elemento di raccordo tra la massoneria e la criminalità organizzata casalese, tanto che fu coinvolto, nel corso dell’operazione ‘Adelphi’ scattata all’inizio degli anni ’90, assieme a Gaetano Vassallo ora noto collaboratore di giustizia”. Cerci ebbe rapporti con Licio Gelli. Diversi pentiti hanno riferito di una partecipazione del massone della P2 nei traffici illeciti di rifiuti dal nord verso il sud. In un’informativa della Dia del 1997 tra le persone viste entrare a Villa Wanda a Castiglion Fibocchi figura anche il nome di Gaetano Cerci. Nei verbali di interrogatorio Gaetano Vassallo dichiarò: “Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli, mi spiegò che Gelli era un procacciatore di imprenditori del nord che potevano inviarci i rifiuti”. I rifiuti dell’Italia del nord sono confluiti nella “Terra dei fuochi” tramite una holding di società controllate direttamente dalla camorra, tra le quali Ecologia 89, di Cerci ma creata dall’avvocato Cipriano Chianese, società che segnò l’inizio dell’impegno dei clan nell’affare rifiuti e che funse da intermediaria tra gli imprenditori del nord Italia e i gestori del traffico.

Ma tutto questo non è finito. Il 6 novembre 2013, il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, ha dichiarato: “Dopo aver smaltito al sud per vent’anni i rifiuti tossici prodotti al nord, ora la camorra napoletana sta portando i rifiuti campani altrove, in primis in Toscana ma anche in Paesi come la Romania e la Cina. Le indagini sono in corso. Questo business si fonda inoltre su rapporti tra criminalità organizzata e massoneria”. Il pentito Carmine Schiavone ha segnalato che i rifiuti pericolosi venivano scaricati in pozzi che erano stati scavati nel processo di costruzione di strade e ha parlato di rapporti che erano stati intrattenuti dai vertici dei casalesi “con dei signori di Arezzo, Firenze, Milano, Genova…” E ancora dai verbali delle dichiarazioni del pentito: “Consegno innanzitutto alla Commissione la copia di alcuni documenti, i cui originali sono già a disposizione della DNA, riguardanti, tra l’altro, le amministrazioni provinciali di Massa Carrara e di Santa Croce sull’Arno e la Regione Campania; nella stessa documentazione figura l’elenco delle società e dei camion che trasportavano i rifiuti…” E a una domanda del presidente della Commissione relativa a chi avesse iniziato il traffico criminale, Schiavone risponde: “L’avevano iniziato mio cugino Sandokan e Francesco Bidognetti, insieme ad un certo Cerci Gaetano, che aveva già intrattenuto rapporti con dei signori di Arezzo, Firenze, Milano, Genova…”

E le cose non sono mutate. In base ai rapporti annuali Ecomafie di Legambiente, Arezzo e provincia continuano a rimanere al primo posto in Toscana per infrazioni nel ciclo dei rifiuti, mentre la Regione è sesta in Italia per illegalità ambientale e compare tra le regioni maggiormente colpite, subito dopo quelle a tradizionale presenza mafiosa, dai reati contro l’ambiente. Si legge nel rapporto Ecomafie 2014 come la Toscana “sia stata e sia ancora un territorio di transito di flussi illeciti di rifiuti, smaltiti illegalmente o reimmessi nel mercato parallelo del riuso e riciclo”.

Fulvio Turtulici

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