Pubblicato: sab, 18 Feb , 2023

L’Italia ha bisogno del 41bis e dell’ergastolo ostativo

eliminare le normative di regime speciale significa accettare il papello con le richieste della mafia

Le richieste mafiose sono sempre sulle medesime riforme penali. Si torna a quel famoso papello in cui la mafia dettava le sue condizioni allo Stato. Già all’epoca di Falcone e Borsellino si voleva impedire il sistema penale speciale pensato per i reati a matrice mafiosa. Ed era chiaro che le stragi avrebbero portato all’immediata attuazione proprio di quei decreti, tuttavia la strategia dell’epoca sembrò dare priorità al tritolo, efferate violenze avvenute sì per mano criminale ma per volere di eminenze politiche.

Dalle risultanze investigative, così come dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, emerge che la trattativa non si sia mai conclusa e, anzi, sarebbe tutt’ora in corso sotto molteplici aspetti. Una considerazione resa evidente dall’anomala latitanza trentennale di Messina Denaro. Una tranquillità che gli sarebbe stata garantita dai documenti in suo possesso attestanti proprio patti e accordi tra politica a consorterie. Quegli stessi documenti che sembra fossero conservati nella cassaforte di Riina, nella villa mai perquisita al momento dell’arresto. “Chi ha quei documenti è padrone di tanti segreti“, Baiardo lancia l’amo e fa riferimento ad una “data di scadenza” per la cattura di Matteo Messina Denaro, “chi dice che è sparito o morto, fa comodo dirlo. poi al limite che lo si cerca e lo si trova si fa in modo di non trovarlo. E’ la storia che ci insegna, guardi Provenzano, quante volte hanno detto che doveva essere arrestato e non lo hanno mai arrestato. Ci sarà una scadenza anche per questo personaggio, sono cose prestabilite”. Arrivata, dunque, al 16 gennaio 2023. Pochi giorni prima sono stati condannati l’ex senatore D’Alì e il boss Leo Sutera, per la Corte sono stati uomini di fiducia di Messina Denaro. Si confermano le forti alleanze con i cugini calabresi, per cui in molti casi è stata accertata la “doppia affiliazione” a cosa nostra e ndrangheta, oltre alle ovvie compiacenze di caratura massonica-politica-imprenditoriale, fino alle più alte cariche istituzionali. Affiliazioni che corrono lungo i caveau delle banche e i corridoi dello IOR, alta finanza e palazzo Madama.

A fine settembre 2022 è morto Amedeo Matacena, parlamentare degli anni ‘94 di Forza Italia, condannato in associazione esterna mafiosa, senza aver mai scontato la pena perché trasferitosi negli Emirati Arabi. Le risultanze investigative sembrano convergere su di lui per altri filoni d’inchiesta anche su fatti più recenti, oltre a confermare gli ulteriori interessi della ndrangheta nei paesi arabi, nel narcotraffico, nell’edilizia e nelle energie rinnovabili come l’eolico, nella gestione dei traghetti tra Sicilia e Calabria, in monopolio esclusivo per volere delle potenti famiglie dei De Stefano, Piromalli e Alvaro – Serraino. Mancavano pochi mesi per l’estinzione della pena per mancata esecuzione e il verosimile rientro del Matacena in Italia. Sempre quest’anno ritornano sul panorama politico nazionale, altri personaggi già noti alle vicende giudiziarie, in odore di mafia o addirittura condannati. La Sicilia, in particolare, rivive nuove alleanze del passato con il rientro pubblico nella politica di Dell’Utri e Cuffaro, uniti nell’endorsement per Schifani poi eletto governatore della regione, e per Lagalla poi eletto sindaco di Palermo. Della medesima coalizione anche il vicepresidente vicario della Commissione Antimafia siciliana, attualmente autosospeso perchè imputato in un processo per estorsione.

E improvvisamente gli anni ’90 non ci sembrano così lontani.

Le norme detentive in discussione sono state ideate da Giovanni Falcone nel 1991: il cosiddetto ergastolo ostativo è una preclusione prevista per tutti i detenuti condannati per fatti di mafia e terrorismo. Se non hanno mai offerto alcuna collaborazione alla giustizia non possono accedere a permessi premio e altri benefici (art58-ter ord. penit). La cosiddetta “libertà vigilata” può essere chiesta da tutti i detenuti che abbiano trascorso almeno 26 anni in carcere. Tutti tranne appunto quelli all’ergastolo ostativo, cioè i condannati per reati di tipo mafioso, per terrorismo ed eversione che non intendono collaborare con la magistratura. La disciplina, contenuta nell’art. 4bis dell’ordinamento penitenziario (L. n.354 del 26/07/1975; art.15 dL n.306 del 8/06/1992, convertito nella L.356 7/08/1992), introduceva una presunzione di perdurante pericolosità, dovuta alla mancata rescissione del soggetto dai suoi collegamenti con la criminalità organizzata. Negli ultimi anni, la normativa nazionale è stata oggetto di più valutazioni della CEDU, che tuttavia sono orientate al concetto di riabilitazione e rieducazione, non considerando l’effettiva pericolosità del fenomeno mafioso. Dopo la sentenza della Cedu e quella della stessa Consulta sui permessi premio, la corte è stata chiamata ad esprimersi sul caso di un mafioso che vuole accedere alla libertà vigilata senza collaborare. In udienza è rappresentato da un’avvocata, figlia di un boss della ‘ndrangheta pure detenuto. La difesa si sta, quindi, battendo per far valere il “diritto al silenzio”, ritenendo che deve essere garantito anche nella fase esecutiva, in forza del fatto che il nostro ordinamento garantisce all’imputato la possibilità di non autoaccusarsi. Si allargano le crepe che, con le ultime pronunce, lanciano un segnale diretto nei bracci più blindati dei penitenziari italiani, dove sono reclusi anche gli ultimi uomini delle stragi, dai fratelli Graviano a Leoluca Bagarella e Nitto Santapaola. La Suprema corte ha sollevato eccezione di costituzionalità, sostenendo che con la negazione della libertà condizionale agli ergastolani ostativi si realizza “una irragionevole compressione dei principi di individualizzazione e di progressività del trattamento”. Sono 1260 i detenuti al “fine pena mai” che vorrebbero accedere alla libertà condizionale pur non collaborando con la giustizia. Filippo Graviano è stato uno dei primi a chiedere al tribunale di sorveglianza di avere accesso al beneficio previsto dopo la modifica dell’ergastolo ostativo da parte della Consulta, in quel momento presieduta da Marta Cartabia, prima di insediarsi al ministero di Giustizia. Il 22 ottobre 2022 il governo Meloni presta giuramento al Palazzo del Quirinale e poco dopo emana il suo primo decreto, il d.L n.162 del 31/10/2022. Le nuove regole per l’accesso ai benefici penitenziari così disegnate, ricalcano la precedente proposta Cartabia e prevedono che il detenuto condannato per delitti di contesto mafioso, scontato un periodo minimo fissato dalla legge (almeno 2/3 della pena, 30 anni in caso di ergastolo), possa avanzare la relativa richiesta allegando elementi specifici, elencati nella normativa. La Corte costituzionale ha quindi rinviato alla Cassazione (ordinanza n. 227 del 8/11/2022) gli atti della questione di costituzionalità dell’ergastolo ostativo, dopo il decreto legge approvato dal governo. Le nuove disposizioni incidono immediatamente e direttamente sulle norme oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità.

Le consorterie mafiose oggi sono mimetizzate nel tessuto sociale ed economico, sempre più infiltrate nelle classi dirigenti e politiche. La mafia ha bisogno del territorio e del consenso popolare, il boss ha bisogno di pubblicità. Per questo, è fondamentale isolare completamente i mafiosi e impedirne l’attività criminosa, considerando che le mafie sono un fenomeno associativo che vive di legami, parentele e gerarchie. Orbene, il sistema penitenziario italiano presenta già numerose falle, un sistema violato in mille modi, il più eclatante forse quello dei fratelli Graviano che da detenuti sono riusciti a mettere incinte le rispettive mogli. I carcerati non solo riescono ad avere contatti con donne e familiari, ma di fatto mantengono il loro dominio sul territorio, inviando ordini e continuando a gestire tutti gli affari del clan. Numerose le testimonianze di comunicazioni tramite cellulari e computer, così come l’utilizzo di droni e nuove tecnologie. I boss lanciano promesse di morte e vendetta, acquisiscono consenso popolare e nuovi seguaci anche condividendo video e messaggi dai loro canali social. Sfatiamo dicerie irreali: il 41bis non prevede alcun tipo di tortura. E’ una modalità di detenzione carceraria che si esplica in un isolamento più stringente, peraltro con una stanza singola dotata di televisione e bagno. Al detenuto è concesso pranzare e trascorrere la sua ora libera solo con altri pochi carcerati. Più severi i controlli anche nei colloqui con famigliari e amici, solitamente tramite vetro, per evitare appunto lo scambio di pizzini o altro materiale. Precauzione spesso bypassata per il tramite del difensore di fiducia, soprattutto se questi è esso stesso un parente del detenuto. Il regime detentivo speciale disciplinato dall’art. 41bis è stato creato apposta per neutralizzare la pericolosità di detenuti che, in virtù dei legami con le associazioni criminali di appartenenza, sono in grado di continuare a delinquere dal carcere. Anche questa misura è stata introdotta nell’ordinamento all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio (d.L n. 306 del 8/6/1992, conv. in L. 356 7/8/1992), per rispondere all’incapacità della pena detentiva di neutralizzare la pericolosità di detenuti che, in virtù dei legami con le associazioni criminali di appartenenza, continuano dal carcere ad esercitare il loro ruolo di comando, impartendo ordini e direttive agli associati in libertà. Il regime detentivo speciale, riducendo le occasioni di contatto tra i detenuti e l’esterno e tra gli stessi detenuti, ha dunque come scopo quello di interrompere, o meglio ridurre, i collegamenti con le associazioni. Lo scopo del regime detentivo speciale è del tutto legittimo, essendo la stessa Costituzione e, in modo ancora più esplicito, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ad affermare la sussistenza a carico dello Stato dell’obbligo di adottare misure adeguate per la protezione della collettività dalle condotte dei soggetti di cui sia stata accertata la pericolosità (cfr. CEDU Maiorano c. Italia, 15/12/2009).

E’ evidente che gli istituti del 41bis (carcere duro) e del 4bis (ergastolo ostativo), siano diversi seppur spesso correlati, dettati dall’esigenza di interrompere le attività criminali degli affiliati. La severità delle restrizioni e la durata della loro applicazione, ha aperto degli interrogativi sui limiti entro i quali possano essere compressi i diritti fondamentali della persona. In questi ragionamenti sembra, però, venir meno un valore importante e imprescindibile: l’autodeterminazione di ciascun uomo, cui dovrebbe corrispondere anche la responsabilità delle proprie azioni. In primis, nella sua scelta di attuare i comportamenti criminosi. E, successivamente, sempre sua la scelta di potersi dissociare dalla consorteria mafiosa e collaborare con la giustizia. I detenuti hanno un debito con i parenti delle vittime, con la collettività e con lo stato. Un debito morale prima che economico. Permane il dubbio che certi soggetti proseguano i piani delinquenziali utilizzando il lasciapassare della collaborazione. Le perplessità si acuiscono nel caso in cui chi decide di mantenere il vincolo mafioso, conservando segreti e onore, chiede anche i benefici che lo liberano dalla detenzione. Scenari distopici sempre più vicini. Oggi confermati dalla recente riforma del governo Meloni che apre le porte del carcere anche per chi non collabora con la giustizia. In discussione pure il 41bis, per una presunta mancanza di pericolosità di cosa nostra, dovuta alla consegna di MMD, e per le recenti pressioni che arrivano dal caso dell’anarchico Cospito, utilizzato come leva dalle consorterie mafiose.

Eppure è evidente che chi usa l’arresto del boss di Castelvetrano MMD per sostenere il disarmo dell’antimafia, sta facendo un pessimo servizio alla democrazia. Non può che essere in malafede. Sconfitti i “corleonesi stragisti”, ammesso che sia vero, l’Italia si è liberata da tutti i mali? E la ndrangheta, attualmente la consorteria mafiosa più potente al mondo, proprio non la consideriamo? Le bombe che brillano a giorni alterni in Puglia? La camorra e il gruppo degli zingari che dilagano e stanno rovesciando Campania e Lazio? Spariti tutti per magia. O forse fa comodo non ricordarli. Sembra proprio che si vada in questa direzione: abrogare tutto quello che dà fastidio, abrogare gli strumenti che hanno a che fare con le indagini (l’uso delle intercettazioni a partire dai così detti reati spia, per esempio), con la costruzione dei processi (Dia, Dna, Dda), con l’aggressione delle ricchezze illecite (misure di prevenzione patrimoniali, interdittive prefettizie), con il contrasto al condizionamento delle Amministrazioni Pubbliche (scioglimento dei Comuni), con i collaboratori e i testimoni di giustizia, con il regime carcerario specifico (4 bis e 41 bis), con il contrasto all’accordo tra mafia e politica nel momento delle elezioni (416 ter). Fino al 416 bis, il cuore dell’impianto antimafia pensato da Falcone.

Nel contesto nazionale attuale, è fondamentale isolare definitivamente boss e gregari, confinarli, esiliarli, disarticolarli, recidendo nel concreto tutti i loro legami con la società. Inviandoli anche in Antartide, se necessario. Sono centinaia e centinaia gli affiliati che non hanno nessuno scrupolo nè rimorso, non hanno collaborato con la giustizia e non lo faranno mai. Ladri, farabutti, assassini; individui della peggior risma, anche in giacca e cravatta. Il vestito non fa il mafioso: le consorterie sparano sempre meno. Non più coppola e lupara, ma narcotraffico, riciclaggio, autoriciclaggio, infiltrano p.a., politica, alta finanza ed imprenditoria, inquinano appalti, economia e democrazia. Menti raffinatissime sedute anche ai più alti livelli istituzionali hanno permesso che avvenissero stragi e omicidi, miserie e impoverimento in tutta la nazione, comprese le morti di molti innocenti. Una su tutte, forse la più atroce, quella del piccolo Giuseppe, bimbo rapito, torturato, seviziato e sciolto nell’acido. La giacca di qualità sartoriale e la cravatta di seta non li rende meno delinquenti.

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