Pubblicato: ven, 22 Set , 2023

L’ex assessore, condannato per mafia, torna a lavorare proprio in val di Cembra, vicino ai denuncianti

Non c’è pace per Lona Lases, già travolta nell’inchiesta Perfido Porfido che disvela un locale di ndrangheta in Trentino

Ancora Lona Lases, travolta dall’inchiesta che ha disvelato un locale di ndrangheta in Trentino. Tra le cave del porfido, ma soprattutto inserita nel contesto istituzionale e della pubblica amministrazione, la consorteria mafiosa è radicata da decenni. Altre indagini hanno confermato la presenza di ndrangheta e camorra, anche a Bolzano.

Dall’inchiesta Perfido è peraltro emersa anche la grave criticità dei rapporti stretti tra la criminalità e gli uomini dello Stato, vi è l’evidenza che pure in Trentino vi sia un fitto dialogo tra consorterie mafiose, politica e imprenditoria. Agli oltre venti indagati, tra cui anche ex sindaci ed ex consiglieri comunali, un ex vice questore, un ex prefetto, un ex capitano dei carabinieri, alcuni giudici ed un primario, sono stati contestati a vario titolo i delitti di associazione mafiosa in quanto appartenenti alla ‘ndrangheta, scambio elettorale politico-mafioso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e riduzione in schiavitù. Si aggiungono poi altri cinque soggetti pure indagati per reati analoghi e sottoposti a fermo indiziario.

Da quanto emerso dalle indagini, la cellula ndranghetista, impiantatasi a Lona Lases, è riferibile alla struttura operante a Cardeto, nell’area metropolitana di Reggio Calabria con collegamenti anche fuori dall’Italia, composta in particolare dalle potenti cosche reggine dei Serraino, Iamonte, Paviglianiti e i Macheda. Gli inquirenti hanno rintracciato una fitta rete di contatti tra imprenditoria, istituzioni e politica, rilevando tra le altre il sostegno elettorale ad alcuni candidati in vari appuntamenti per il rinnovo degli enti locali. Intrecci politici indispensabili, agevolati dalle disposizioni statutarie, secondo cui il Trentino ha competenza a legiferare sull’attività estrattiva. Grazie a una serie di controlli incrociati tra banche dati, società, conti correnti, proprietà e dichiarazioni dei redditi, è stato possibile ricostruire gli ultimi dieci anni di rapporti e parentele, di persone fisiche e giuridiche ad essi collegati.

A febbraio 2022, le prime condanne: il gup ha riconosciuto l’associazione mafiosa oltre al reato di schiavitù, poi ridotto a caporalato. Secondo l’accusa, uno degli imputati avrebbe un ruolo apicale negli interessi della ‘ndrangheta nei comuni di Albiano e Lona-Lases. Altri due imputati, considerati il braccio armato del sodalizio trentino, hanno richiesto il patteggiamento. Le accuse nei loro confronti sono state drasticamente ridimensionate, è stato riconosciuto il loro appoggio ma non l’appartenenza all’associazione mafiosa. I loro legami con l’amministrazione comunale di Lona Lases guidata da un sindaco accusato di voto di scambio politico-mafioso non erano certo irrilevanti, ma non è stato possibile accertarli nel processo.

Nonostante le indagini abbiano disvelato un sistema inquinato, le concessioni delle cave sono ancora in essere con le stesse modalità e protagonisti. Rovesciata l’iniziale proporzione di 80-20, secondo cui l’80% del porfido estratto dai concessionari avrebbe dovuto essere lavorato in zona con il restante 20% esportato fuori dal territorio. Dalle risultanze investigative sembrerebbe emergere che nemmeno il 40% viene lavorato in loco, mentre oltre il 60% è diretto fuori. Un’esternalizzazione massiccia del lavoro, senza controlli sulla manodopera, che sembra fruttare guadagni milionari. Quattro tornate elettorali andate buche, Lona Lases è ancora senza primo cittadino e consiglio comunale, sintomo di quanto sia ancora pervasiva la stretta della ndrangheta sul territorio.

Dalle risultanze investigative è emerso anche il ruolo dei fratelli Battaglia, inseriti non solo nel business delle cave, ma soprattutto nel contesto istituzionale politico dei paesi della Val di Cembra. Giuseppe Battaglia, ex assessore del Comune di Lona Lases, è stato condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa. Battaglia era considerato un personaggio di spicco all’interno dell’organizzazione con un “ruolo da dirigente e ritenuto colui che ha avviato l’infiltrazione mafiosa silenziosa nel tessuto sociale ed economico trentino”. Secondo gli inquirenti, Battaglia “dirigeva e organizzava gli aspetti di natura economico finanziaria legate alle ditte di porfido a lui riferibili, assumendo le decisioni più rilevanti e impartendo disposizioni”. Accuse che l’imprenditore ha sempre respinto.

Ora si è in attesa del processo d’Appello, ma nel frattempo la Corte d’Assise ha deciso che Giuseppe Battaglia andrà a vivere nel Comune della Bassa Valsugana a pochi chilometri dal fratello Pietro, che vive a Novaledo. Pietro Battaglia nell’udienza di fine luglio è stato condannato a 9 anni e 8 mesi.

Giuseppe Battaglia potrà anche tornare al lavoro in attesa della sentenza definitiva. Sarà occupato in un’azienda specializzata nella lavorazione del porfido, attiva a Fornace, a pochi chilometri di distanza da Lona Lases.

La Procura ha dato parere negativo. Tuttavia la Corte ha acconsentito che Giuseppe Battaglia lavori proprio in val di Cembra, in uno dei comuni dove si era concretizzata l’attività illecita della ‘ndrina. Non solo, Battaglia formalmente farà il cubettista, quindi sarà pure gomito gomito con quegli stessi operai delle cave che si sono costituiti parte civile nel processo. Due di loro, infatti, vivono proprio in Valsugana. Anche l’ex segretario comunale, che era uno dei testimoni chiave della Procura, abita in quella zona.

Questa libertà di movimento può impensierire più di qualcuno.

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