Pubblicato: dom, 28 Mag , 2023

L’Antimafia che non c’è

Dopo trent’anni si riscrive la storia, si riabilitano i colpevoli, si dimentica tutto. L’Italia non ha mai voluto smarcarsi dalla partnership politica-mafia.

Per la prima volta, quest’anno, non abbiamo scritto nulla sull’anniversario della strage di Capaci. Il silenzio, almeno il 23 maggio, è sembrato il miglior modo di onorare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.

Era già sintomatico, qualche mese fa, il forte litigio che aveva coinvolto Wikimafia e la famiglia Dalla Chiesa. Il malessere e l’incoerenza nell’ambito dell’antimafia sembrano ormai non arginabili. In quell’occasione, i familiari del Generale Dalla Chiesa avevano avuto uno scontro acceso con i giovani di Wikimafia a causa dell’incontro con il procuratore capo dott. Gratteri, coincidente in parte con alcune date del ricordo. La famiglia Dalla Chiesa aveva lamentato una sorta di monopolio per la gestione degli eventi e dell’antimafia in forza del cognome importante. Tuttavia, negli anni una parte dell’antimafia ha sollevato dubbi e perplessità sulla sig.ra Rita Dalla Chiesa, la quale fin dagli anni ’90 ha scelto di lavorare proprio alle dipendenze di Berlusconi, sempre affiancato da Mangano e Dell’Utri. Una scelta recentemente accentuata anche con l’incarico politico della signora Dalla Chiesa, entrata nel partito FI come referente della Puglia. Dall’altra parte il fratello, professore di chiara fama, sembra mantenere altrettanto potere e monopolio negli ambienti accademici e della legalità milanese quanto nazionale. Uno scontro che poco si addice alla caratura del defunto Generale Dalla Chiesa, il quale probabilmente sarebbe stato felice di poter offrire più eventi e di riscontrare un grande afflusso di giovani appassionati e ancora [incredibilmente] interessati alla materia.

Lascia l’amaro in bocca, così come la scelta di molti di non prendere le distanze da personaggi obliqui, la mancanza di coraggio di essere integerrimi e chirurgici nell’escludere certe frequentazioni. Chi scrive non ritiene possibile la convivenza con tali figure. Eppure, manca la volontà di fare antimafia in modo aperto, chiaro, preciso. Stiamo assistendo alla scalata dell’antimafia più becera, quella che specula e incalza senza contenuto. Manca la denuncia quotidiana e la netta presa di posizione. Guardiamo alla Sicilia, dove Lagalla, il sindaco di Palermo, e Schifani, il presidente della Regione, hanno ricevuto l’endorsement di Cuffaro e Dell’Utri. Persone condannate per mafia, che hanno saldato il loro debito con la collettività e ora sono riabilitate dal tribunale. Tuttavia sembra imprescindibile considerare l’opportunità di certe candidature e alleanze.

Tra i pochi, il magistrato Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, ha sempre preso le distanze da certi ambienti, denunciando commistioni e vicinanze pericolose. “Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni, non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia”. Ma la sorella di Falcone risponde: “È il tempo di andare avanti”. Certo, sarebbe davvero tempo di smettere di usare l’antimafia per fare carriera e per fare passerella. “Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia” dice Morvillo, ex procuratore di Trapani. Chiaro il riferimento critico proprio a Maria Falcone, che durante la campagna elettorale dell’anno scorso si scagliò contro gli impresentabili (“La politica non si può permettere sponsor che non siano adamantini, Dell’Utri e Cuffaro non lo sono”) e che quest’anno ha firmato un accordo con Lagalla per realizzare un nuovo museo dell’antimafia. La risposta della sorella del giudice è sullo stesso tono polemico: “È tempo di costruire ponti tra le diverse componenti sociali, pretendere impegni da chi vuole unirsi allo sforzo del cambiamento, senza criticare a priori, magari rianimati da una certa nostrana acida propensione alla presunzione”. Morvillo parla di un ancora presente squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città. E ha spiegato che “se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Giovanni e Paolo, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”.

Tuttavia, la direzione presa da governo e istituzioni sembra in senso opposto. Si riscrive la storia, si riabilitano i colpevoli e tutto si dimentica. E così, perfino la giornata della commemorazione si è trasformata in uno scontro in piazza. Si sono registrati momenti di alta tensione a Palermo tra forze dell’ordine e i manifestanti nel giorno del trentunesimo anniversario dello strage di Capaci. Era dai tempi dei funerali di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti di scorta che non c’era una contrapposizione tra il popolo di Palermo e gli agenti dell’antisommossa. Un raggruppamento di associazioni, sindacati, scuole capitanate dal collettivo Our voice ha deciso di organizzare un corteo alternativo rispetto a quello ufficiale dal titolo “Non siete Stato voi, ma siete stati voi” con lo scopo di manifestare contro la mafia che si trova anche e soprattutto dentro lo Stato. Il corteo era stato autorizzato dalla Questura. Tra i tanti presenti vi era anche Luisa, nipote di Peppino Impastato e rappresentante dell’associazione “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” che ha aderito, organizzato e partecipato attivamente all’evento alternativo a quello ufficiale. I manifestanti chiedevano di esprimere il proprio legittimo modo di rivendicare la lotta alla mafia, che oggi deve partire dal basso ma anche dalla pretesa che le istituzioni abbandonino ogni forma di ambiguità, combattendo concretamente le connivenze e le corruzioni. A questo corteo un’ordinanza arrivata poche ore prima ha impedito di raggiungere la commemorazione ufficiale. La polizia si è quindi scontrata con alcuni partecipanti del gruppo pacifico, per impedire alle oltre duemila presenze di dirigersi all’albero di Falcone. La manifestazione è stata organizzata con anima pacifista, con il solo intento di discostarsi dalle passerelle e dalle commemorazioni ipocrite. Agli organizzatori è però stato dato ordine il giorno stesso di sciogliersi all’altezza del Giardino Inglese, quindi a poche centinaia di metri dall’albero Falcone. Nello stesso luogo alle 17.58, l’ora in cui l’autostrada saltò in aria, sarebbe terminata la manifestazione ufficiale in memoria della strage, quella alla quale partecipavano pure i politici: tra gli altri anche il governatore Renato Schifani e il sindaco Roberto Lagalla, spesso contestati per aver ricevuto l’appoggio elettorale di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro. L’ordinanza che limitava il secondo corteo, imponeva lo stop a distanza dall’albero e stabiliva che la partenza dovesse essere “dopo quello organizzato dalla Fondazione Falcone”. Un modo come un altro per evitare che i contestatori arrivassero a gridare “fuori la mafia dallo Stato” in faccia alle più alte cariche cittadine. Ai manifestanti è stato chiesto anche di evitare poster raffiguranti la premier Giorgia Meloni, Lagalla, Schifani con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.

Negli stessi giorni, dopo otto mesi di attesa, il governo ha eletto anche la nuova Commissione Parlamentare Antimafia. La presidente incaricata è Chiara Colosimo, un nome che ha provocato la reazione delle opposizioni e dei parenti delle vittime di mafia. In molti contestano alla rappresentante meloniana i suoi rapporti del passato con personaggi organici alla destra eversiva. Colosimo con un’associazione pro detenuti ha incrociato spesso Luigi Ciavardini, condannato per la strage di Bologna con altri neofascisti, tra cui Fioravanti, Mambro e Bellini. Si solleva dunque una questione di opportunità, beninteso l’estraneità dell’on. Cosimo alle vicende dei Nar, va tuttavia considerato che vicino a lei c’è chi può avere interesse ad oscurare la storia e riscriverla. La sentenza di Bologna su Bellini (e sui defunti mandanti e depistatori Gelli, D’Amato e Tedeschi) conferma il filo nero che collega 25 anni di strategia della tensione, da piazza Fontana del 1969 al 1992-’94. Dietro le stragi cosiddette “mafiose”, accanto ai boss danzavano gli uomini dell’eversione nera, oltre agli emissari della politica. Chiunque voglia riempire le lacune della ricostruzione giudiziaria e storica deve guardare in quel groviglio di interessi e potere. L’ex magistrato che all’epoca ha seguito e studiato le vicende, Roberto Scarpinato, oggi senatore, non ha risparmiato parole durissime prendendone le distanze: “l’elezione di Chiara Colosimo, presidente della Commissione Antimafia, rappresenta un segnale dei tempi, di questa stagione di normalizzazione di restaurazione. Sembra normale a questa maggioranza che possa essere candidata una persona che ha a che fare con Ciavardini, condannato per la strage di Bologna, che sia normale imporre la sua candidatura anche se i parenti delle vittime delle stragi di mafia hanno espresso il loro sdegno, che sia normale imporla nonostante tutte le forze di opposizione abbiano invitato la maggioranza ad un nome alternativo. La credibilità dello Stato si salva proponendo persone credibili”. Sembra, però, passato il tempo in cui forse qualcuno cercava giustizia e verità. La tendenza è quella di voltare pagina, riscrivere politicamente e giudizialmente la storia italiana, ribaltando anche i periodi bui della repubblica. I protagonisti sono sempre i medesimi e alle spalle ci sono quei partiti che hanno esultato per le assoluzioni in Cassazione sulla trattativa Stato-mafia, raccontando che non è mai esistita. Ma è stato confermato e scritto nero su bianco: trattativa ci fu e trattativa prosegue.

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