Pubblicato: sab, 22 Ott , 2022

La TRAP: da Niko Pandetta a Uno Sbirro Qualunque 

Musica e pistole, il canto della vita in strada 

Tanto famoso quanto controverso, il cantante Vincenzo Pandetta, in arte Niko Pandetta, sta vivacizzando le cronache nostrane non solo per la sua musica. Lo zio del Pandetta è il boss reggente Salvatore Cappello, detenuto in carcere, al 41bis. Il suo clan è considerato insieme alla famiglia dei Santapaola, tra le cosche catanesi più potenti della Sicilia orientale. Dalle risultanze investigative e da quanto sostiene la Procura, Turi Cappello non ha mai smesso di comandare, ma porta avanti la sua leadership indiscussa (operazione Penelope e segg). Le colpe dei padri – o dei parenti – non ricadano sui figli. Il Pandetta, però, conosce la prigione già da piccolo, entrando e uscendo più volte, saltando dal reparto minorile a quello per adulti, soprattutto per rapine, furti e spaccio di droga. Una vita complessa e una famiglia ingombrante, da onorare. Si tatua il nome dello zio sul braccio e gli dedica una canzone che lo porta al successo. Racconta la vita da strada in opposizione alla Madama – Polizia. Le canzoni dei suoi esordi scatenarono accese polemiche pur dandogli grande visibilità. Nel tempo è divenuto sempre più credibile nell’ambiente della mala, collezionando altre condanne. Dalle risultanze investigative emergono contatti e amicizie solide in Cosa nostra. Nel 2020 spunta il suo nome in un’altra indagine della Dda di Palermo che ha portato in cella 20 tra boss, gregari ed esattori del racket del quartiere Borgo Vecchio. Emerge il suo legame stretto con il capomafia Jari Ingarao, che andava a visitare anche mentre questi era ai domiciliari. Sembra che Ingarao, re del traffico di droga, volesse a tutti i costi il Pandetta sul palco del rione durante la festa patronale. Il cantante viene indagato anche per apologia mafiosa, a causa dei testi e degli atteggiamenti legati alla sottocultura della criminalità organizzata. In agosto riceve il Daspo urbano recapitatogli dal questore di Catania. All’origine del provvedimento, la maxi rissa con annessa sparatoria scoppiata davanti all’Ecs Dogana, locale di Catania, in cui sono stati arrestati cinque giovani considerati nell’orbita del clan Cappello. La querelle con la giustizia non è terminata per il Pandetta e proprio in questi giorni è stata confermata a suo carico la condanna definitiva per spaccio ed evasione, con la sua cattura da parte delle forze dell’ordine. Ricorso inammissibile [in cassazione], da cui trae origine anche il titolo del suo nuovo album, registrato pochi istanti prima dell’arresto. Dopo aver pubblicizzato sui social la notizia della condanna definitiva, si era sottratto al provvedimento, ma è stato rintracciato dalla polizia nella zona Nord di Milano, dove si sarebbe recato per contratti discografici. Aveva in tasca 12mila euro in contanti, per citare una sua strofa “dodici K dentro la tasca della tuta”.

La trap racconta in maniera brutale e compiaciuta la vita di strada. Questo stile, nato nel mondo delle gang americane di Atlanta, in Italia è spesso strumentalizzato dalla criminalità organizzata, alcuni tra i più noti cantanti sono vicini a famiglie di mafia. Nei testi della trap la distinzione tra realtà e dimensione artistica, a volte, rischia di essere ambigua. Le tematiche principali di questo genere, infatti, riguardano ostentazione della ricchezza, auto e orologi di lusso, champagne, violenza, spaccio e uso di droga. Pentiti e forze dell’ordine sono visti come nemici, anche perché si tratta spesso di artisti nati nelle zone d’ombra della legalità. Dai proventi del crack e della cocaina, così come dalle estorsioni, spesso si reinveste e ripulisce il denaro nelle etichette indipendenti che li producono. I videoclip dei trapper sono tutti molto simili, tra auto di grossa cilindrata, garini in strade di periferia e vestiti costosi. E se è vero che molti cantanti non sono mai stati coinvolti negli episodi delinquenziali di cui narrano, è altrettanto vero che ve ne sono alcuni che al contrario conoscono benissimo le dinamiche della malavita.

Il Pandetta, orgoglioso della sua esperienza in galera e della sua virilità, si diverte nei panni del trapper criminale. L’esordio da cantante è inizialmente in versione neomelodica, poi vira verso la trap e negli ultimi album inserisce anche delle cover, con ritmi orecchiabili. In tutte le sue canzoni ricorrono delle parole chiave, dall’ormai ritornello onnipresente “maresciallo non ci prendi” e “ferri fanno ratatata”.Imprescindibile la rivendicazione della scalata dalle umili origini “dal marciapiede al mercedes”. Dai primi video, in cui girava in motorino per le strade di periferia, oggi è su yacht e auto di lusso. Sempre in contrasto con lo Stato e le forze dell’ordine, “lontano dall’infame e dalla spia (via) dalle sirene e dalla polizia scappiamo andiamo via”. Difende l’onore della famiglia, pur dichiarandosi estraneo all’associazione mafiosa, “lo faccio per i fratelli ingiustamente incarcerati”, “tengo lontani gli infami”. Ama le rime con i brand del luxury, tanto da farne diventare una cifra distintiva: pistole nella Fendi, nella Prada, nella Gucci, nella LV. Come tutti i rapper parla anche di armi, droga, Sudamerica, Albania e paesi dell’est. Sorprende la sua davvero copiosa produzione di brani e video musicali. Snocciola continue canzoni, un lavoro incredibile anche per i perfomer di maggiore caratura. Ha dichiarato che ha già “cinque dischi pronti. facciamo con il mio producer 7 pezzi alla settimana. Se io vado a prendere il mio computer ho 350 pezzi pronti, posso stare anche vent’anni in galera”. Si avvantaggia di un entourage che lavora sulla comunicazione, con fotografi, registi e collaborazioni con nomi famosi. Janax, nome d’arte di Raffaele Giannattasio, classe ’97, originario di Salerno, è il suo produttore. La fortunata J-House Studio, casa di produzione musicale, sembra in attività dal 2017 con i primi album del Pandetta. Il gang-star ha date di concerti in tutta Italia, ha suonato anche al Fabrique di Milano, a Roma e Ostia Antica. I ragazzini lo esaltano come il loro nuovo idolo, tanto da scrivere di voler andare in carcere come lui. Pandetta cantante ha già due dischi d’oro, per l’album Bella vita (distribuzione ADA Music Italy), raccogliendo sul solo Spotify oltre 81milioni stream, dove il brano di punta è Pistole nella Fendi con quasi 17 milioni di stream e il disco d’oro già certificato. Conta centinaia di migliaia di follower su tutti i principali social, smuove milioni di visualizzazioni e un’onda sempre più grande di seguito.

Non sono affatto da meno i famosi trapper Baby Gang (Zaccaria Mouhib) e Simba La Rue (Mohamed Lamine Saida), anche loro arrestati in questi giorni, assieme ad altri nove giovani per aver preso parte a una violenta rissa con l’uso di armi da fuoco. Sembrano essere i rapper più promettenti e influenti della scena musicale italiana, con milioni di stream e visualizzazioni, sono stati definiti “la voce delle generazioni senza voce”. Eppure, appena ventenni hanno trascorso una buona parte della vita facendo più dentro che fuori da carceri minorili e dalle comunità per minorenni. Stanno collezionando numerosi Daspo, divieti di accesso in alcuni comuni della riviera romagnola, Milano, Sondrio, Lecco. Nel videoclip della canzone “Lecco city” – brano da oltre 7.5milioni di visualizzazioni solo su YouTube – il trapper BabyGang e centinaia di persone hanno impugnato armi vere sparando in aria nel quartiere residenziale di Santo Stefano, inneggiano alla violenza, ai furti, al consumo di sostanze stupefacenti, all’offesa delle forze dell’ordine. Già coinvolti in altre vicende giudiziarie per pestaggi e presunte rapine, sono ora accusati a vario titolo di rissa, lesioni, rapina aggravata e porto abusivo di arma da sparo. Dalle risultanze investigative sembra emergere che l’ultima rissa con sparatoria sia collegata ad un precedente accoltellamento ed un presunto sequestro di persona, gravi episodi riconducibili in parte ad una più ampia faida tra i gruppi di Simba La Rue e di un altro trapper, Touché (Mohamed Amine Amagour). Gli enfant prodige che stanno spopolando, riversano rancore e rabbia sociale nella musica. I loro video sono molto distanti da quelli del Pandetta. La gang è di decine di connazionali altrettanto incattiviti e disperati. Ragazzi di seconda generazione, di origini marocchine, tunisine, africane, cresciuti in situazioni di estrema povertà e violenza, con un risentimento viscerale verso le istituzioni e i sobborghi in cui vivono. I giovinetti sono presi in un’escalation di violenza e gangsterismo; dalla strada con droghe e pistole, ai video musicali in cui interpretano sè stessi, e di nuovo al carcere in un loop oscuro. Regole d’onore, codici che determinano chi vive e chi muore. I valori diventano disvalori: il denaro, lo spaccio, le armi, la violenza per avere rispetto.

La musica può attrarre consensi e inviare messaggi. Può accadere che, come nella musica neomelodica, anche le canzoni diventino uno strumento di comunicazione per la malavita. Un genere quello della trap, che arriva ai giovani e riscuote un grande successo, ha inevitabilmente attirato l’attenzione anche delle mafie. Per inviare messaggi più o meno diretti, o solo per farne uno spot pubblicitario alle sue stesse gesta e guadagnare consenso sociale, sembra proprio lo strumento ideale, poichè consacra il modello sociale della ricchezza prodotta con la violenza, che di fatto sostiene il modello di vita della criminalità organizzata.

A questo proposito, nel 2020 era finito tra le indagini della Polizia di Roma anche il video musicale del trapper Poli Ok, girato a Spinaceto, impreziosito dalla collaborazione di alcuni esponenti delle potenti famiglie dei Casamonica e Di Silvio. Il manager del cantante sarebbe Mirko Di Silvio. Se ne intendono assai di comunicazione i Casamonica, che tra funerali e matrimoni pirotecnici proprio non ne vogliono sapere di passare inosservati. Nel clan vantano anche un cantautore, Samuel, che sui social si presenta come the king. Ha un nutrito seguito che lo plaude, si concede saltuariamente a pezzi neomelodici e trap, proposti tra divani incorniciati d’oro, sobri salotti con colonne nere e arredi barocchi, greche e meduse stile Versace. Lancia video con messaggi espliciti quanto terrificanti “un uomo d’onore non va a dire a uno qualsiasi sono un uomo d’onore, fa vedere la sua potenza occulta alle spalle. Deve sentire il mio peso quando mi avvicino, deve sentirlo, velatamente. Non vengo con una minaccia, sempre verrò sorridente. E sa che dietro quel sorriso c’è una minaccia che incombe sulla sua testa. Non verrò a dire -farò questo e questo-, no. Se non mi capirà ne soffrirà le conseguenze”.

In Calabria, a Rosarno comune già sciolto tre volte per infiltrazione mafiosa, sta spopolando il trapper Domenico Bellocco, in arte Glock21, che sembra essere il nipote del boss Gregorio Bellocco. Anche se molto giovane, solleva interrogativi di non poco conto. Come in tutti i video trap, pure nei suoi si trovano mitra e brand famosi. Il cantante inizialmente aveva dichiarato di non sapere dell’esistenza del clan Bellocco nel suo paese e di aver infilato una serie di coincidenze di cui era completamente ignaro. Casualità importanti, come l’uscita del suo pezzo “numeri 1”, finanziato da alcuni commercianti di Rosarno, proprio il giorno del XIV anniversario dall’arresto del boss tutt’ora reggente (16/02/2019). Il cantante ed il suo gruppo di amici ripetono a muso duro “non ci fotte nessuno”, “Rosarno è il paese nostro”, “non scherza la mia gente, ti riduce all’osso”, “da Milano a Rosarno pulisciti la mano prima che dai un bacio alla famiglia”, “campi 100 anni se non parli”, sembrando proprio affermare la supremazia mafiosa a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro. Un’altra spaventosa coincidenza che salta all’orecchio è la canzone “chiamami boss”, con un’intro scivolosa: “21 i miei anni, 21 le barre, 21 le bocche che chiudo, 21 motivi per mandare questi cani [cops] a fare in culo, 21 minuti per prendere tutto e scappare e stare al sicuro, 21 le troie che vogliono un pezzo di cuore..” Un numero ricorrente nella storia della ndrangheta, per moltissimi motivi, forse quello qui più significativo è la scelta di Gregorio Bellocco di modificare la pistola Glock facendosi costruire un caricatore da 21 colpi. Nei video del cantante, ricorre spesso una forte simbologia ‘ndranghetista, come il rasoio (per sfregiare gli uomini indegni) e le forbici, con riferimento al battesimo di un picciotto (il “taglio della coda”), il bacio tra boss e la gestualità del far tacere. Musica, quella di Glock21, che auspicabilmente non ha nulla a che vedere con il fenomeno mafioso, ma che tuttavia ha riscosso successo proprio perché sembrava omaggiarlo. Nel gioco di far finta ad essere criminali e malavitosi, c’è chi vi riesce meglio di altri.

Sono sempre di più i cantautori che scrivono o interpretano testi i cui contenuti inneggiano ai vari esponenti della malavita e della criminalità organizzata, tanto da indurre alcuni soggetti istituzionali e sociali a presentare esposti alla magistratura per chiedere di accertare eventuali fattispecie di reato, tra cui l’istigazione a delinquere. È stato presentato un disegno di legge presso la commissione giustizia della camera (febbraio 2021). Il dL, dovendo sempre bilanciare la libertà artistica e di espressione, sarebbe volto ad inasprire le pene nei confronti di chi pubblicamente, inneggi ad atteggiamenti di tipo mafioso o idolatri boss ed esponenti di organizzazioni criminali in pubblico [modifica dell’articolo 414 del codice penale, «in materia di circostanza aggravante dell’istigazione o dell’apologia riferite al delitto di associazione di tipo mafioso o a reati commessi da partecipanti ad associazioni di tale natura»]. Tuttavia, prima ancora del codice penale è imprescindibile pensare ad un diverso approccio culturale.

Tra i molti validi artisti, un esempio positivo di contro-rivoluzione lo rintracciamo anche in Uno Sbirro Qualunque, che risponde alla mala raccontando la strada dal punto di vista di chi sta dall’altra parte. E se per tanti l’idolo da emulare è il mafioso che affascina con mitra e rolex, il suo antagonista non poteva che essere un uomo in semplice t-shirt con il piglio di tenergli testa. Senza nessuna costruzione, nè ostentazione. Nessun bolide, nessuna ballerina, nemmeno il volto. Spacca con la sua voce e con quello che dice, più figo dei suoi rivali. A cantare è un vero poliziotto che ha anche delle notevoli doti di rapper e che certo non le manda a dire. Il duello tra mala e polizia passa pure dalla musica e dai social. Lo sbirro da standing ovation, spopola nel web e finalmente offre una valida alternativa al fascino criminale, appassionando il pubblico in modo trasversale e conquistandosi di diritto il rispetto anche degli avversari. Scrollata di dosso l’immagine polverosa di forze dell’ordine ingessate, lontane e chiuse in meri protocolli operativi, ritroviamo un batman contemporaneo che tanto ci piace, perchè sta esattamente là, proprio come loro, tra le sparatorie vere e quelle cantate. E fa suo anche un ring che fino ad oggi era riservato solo agli intranei. Che lo Sbirro venga dalla strada è inequivocabile, già da come entra sul beat, ci senti il profumo d’asfalto, la concretezza nell’interpretazione e lo struggle del vissuto. E allora è sfida. Quasi poco importano gli arresti, l’onore e il rispetto si giocano anche nei dissing di rime, così i re della trap gli lanciano il guanto per duettare, tra l’incredulo e il beffardo. Perchè se qualche anno in carcere rende forti e virili, ben più difficile appare incassare lo smacco di una sconfitta sul tema musicale che corre sui social. Invece, lo sbirro è proprio forte e non delude, non solo per le sue rime pungenti e gli abili giochi di parola, ma anche per contenuti che non si nascondono dietro all’ipocrisia del proforma. E non può che vincere lui.

[dati integrati dalla relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia]

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