Pubblicato: mar, 10 Gen , 2023

La rivolta dell’Iran che non si ferma

Ordinate altre esecuzioni capitali, ma l’onda rivoluzionaria prosegue

Il cappio degli ayatollah continua a pendere, terribile e spietato, davanti a chiunque si opponga, denunciando la violenza del regime e rivendicando libertà fondamentali. Cresce senza sosta il numero dei manifestanti uccisi in Iran durante le proteste iniziate lo scorso 16 settembre, dopo la morte di Mahsa Amini. Esibire il proprio dissenso è già un motivo per finire impiccati. Ma il governo invoca anche il reato di ‘Muharebeh’ (guerra contro Dio), fattispecie tanto vaga quanto frequente per annientare i dissidenti.

Picchiati, arrestati, 20mila o forse più sono nelle carceri sparse nel paese e diverse centinaia, secondo Hrana (agenzia per i diritti umani), hanno perso la vita nella violenta repressione ordinata dal clero ai Pasdaran, le Guardie della rivoluzione incaricate di mantenere l’ordine e lo status quo. Per il leader sciita si tratta solo di “poche persone radunate nelle strade, che hanno gridato e dato fuoco a cassonetti con l’obiettivo di distruggere i punti forti del sistema, fermare la produzione e il turismo in Iran”. L’ayatollah Ali Khamenei minimizza, ma nel frattempo proseguono esecuzioni capitali (altre quattro appena ordinate) detenzioni e sanzioni spropositate, come per il calciatore Amir Nasr Azadani di 26 anni, che dovrà passarne altrettanti dietro le sbarre; o come Faezeh Hachemi Rafsanjani, figlia dell’ex presidente iraniano, condannata a 5 anni di detenzione.

A Karaj, città a ovest di Teheran, in molti si sono radunati davanti alla prigione di Rajaeishahr, alle prime luci dell’alba, quando si è diffusa la notizia che altri due giovani poco più che ventenni sono stati condannati a morte. E se i calciatori dell’Iran avevano optato per una protesta silenziosa, non cantando l’inno alla prima partita dei mondiali, in questi giorni anche il famoso attaccante Mehdi Taremi considera fortemente deplorevole quanto sta accadendo nel suo paese: “La giustizia non si fa con il cappio. Quale società troverà pace con spargimento quotidiano di sangue ed esecuzioni? Abbiamo tanti criminali in carcere, il cui processo dura diversi anni. Ma poiché questi giovani oppressi provengono da famiglie deboli, li giustizierete per tre capi d’accusa?” Khamenei, guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran, non arretra di un centimetro e promette di intensificare la repressione degli iraniani che, a mani nude, continuano a scendere per le strade delle principali città per la rivolta più importante dalla costituzione della Repubblica nel 1979.

Di fronte alle continue violenze e alle nuove condanne a morte, l’Europa ha reagito convocando quasi all’unisono i diplomatici iraniani, a partire dall’ambasciatore dell’Iran presso l’Ue Hossein Dehghani. A nulla sono serviti gli appelli internazionali per fermare il delirio accecante del Khamenei e seguaci. I vertici della teocrazia islamica avrebbero riversato la colpa sugli stranieri, considerati “i veri responsabili di questa crisi che appare irreversibile e minaccia la tenuta del regime. La mano degli stranieri, americani ed europei, nelle rivolte è così ovvia che non può essere ignorata”. Impossibile non scorgere il risentimento anche per le recenti vignette satiriche di Charlie Hebdo, le caricature dello stesso ayatollah avrebbero portato alla chiusura dell’Istituto francese delle ricerche in Iran (Ifri), uno dei centri di studio più importanti e più antichi che Parigi ha nel Paese. 

Le manifestazioni si rincorrono in tutto il mondo, a sostegno delle proteste e del popolo iraniano. Perfino le donne afghane, che non se la passano meglio, si sono strette vicine all’Iran. Lo slogan che si urla a gran voce nelle piazze del medio oriente è “JIN – JIYAN – AZADI: Donne, vita, libertà”. Una rivoluzione che non vorrebbe limitarsi al rovesciamento dei regimi iraniano e talebano, ma sogna di andare oltre ai confini di quei paesi. Una rivolta molto ambiziosa, che punta a sradicare tutte le forme di discriminazione compresa quella di genere, di classe, di etnia o razza ovunque nel mondo.

Un professore universitario di Kabul nei giorni scorsi in diretta televisiva ha strappato i suoi diplomi spiegando che non ne aveva più bisogno perché l’Afghanistan non è luogo per fare istruzione. Sara Khadim al-Sharia, la campionessa iraniana di scacchi, ha sfidato gli ayatollah giocando ai Mondiali in Kazakhistan senza indossare l’hijab. Iran e Afghanistan, paesi dilaniati, distrutti, oltraggiati. Territori di violenze, crimini e abusi, che stanno colpendo soprattutto le donne. Regimi sanguinari che usano come strumento di potere una visione distorta dell’Islam. Si autolegittimano definendosi portatori di luce e verità, mentre l’unica cosa chiara quanto riprovevole sono gli interessi politico-economici, in nome dei quali sembra tutto consentito. Distogliere lo sguardo da tanto orrore è impossibile. I diritti fondamentali degli esseri umani non possono essere così terribilmente calpestati. Un mondo in cui mostrare affetto e abbracci in pubblico, vestirsi all’occidentale e uscire senza velo viene punito con la vita. E allora serve essere coraggiosi e cercare la libertà, il rispetto, la giustizia. Un bacio ed è rivoluzione.

novembre 2022, Iran – il bacio di Shiraz, un bacio che fa la rivoluzione

 

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