Pubblicato: lun, 16 Feb , 2015

La moda uccide.

Nel mondo dei poveri si muore anche per le nostre vanità.

Greenpeace-International-abiti-tossiciIl 24 aprile 2013 si è consumata la strage del Rana Plaza, enorme edificio con carenze strutturali a Dacca nel Bangladesh, una delle mete preferite per la delocalizzazione delle multinazionali, e dove in condizioni disumane si lavorava in subappalto per 28 grandi marchi occidentali del tessile

Sono bastati 90 secondi: in un minuto e mezzo un’enorme fabbrica in Bangladesh è collassata seppellendo vivi 1134 operai, mentre 2515 sono stati i feriti, buona parte dei quali per sempre invalidi. Per salvarsi alcuni si sono dovuti strappare da soli un braccio o una gamba. Una tragedia che ha scosso il mondo e ha spinto l’ONU a creare un piano per impedire alle multinazionali responsabili di girarsi dall’altra parte.

Un piano che funzionerebbe se non fosse per una grande azienda italiana. L’italiana Benetton è famosa in tutto il mondo, vale miliardi di euro, ma si rifiuta di risarcire uomini e donne morti cucendo i suoi vestiti. E’ l’unica grande marca, sicuramente coinvolta nei sistemi di produzione che approfittano del sottosviluppo per pagare i lavoratori quello che in Italia costerebbe un cappuccino e rivendere in Occidente il prodotto del lavoro a cifre da capogiro e dunque compartecipe del crollo, che si rifiuta di risarcire le vittime.

Quello del Rana Plaza non è il primo incidente di questo tipo. Per decenni le multinazionali se ne sono infischiate di queste tragedie. Ma oggi l’accordo voluto dall’ONU per la prima volta nella storia coinvolge tutte le parti: il governo del Bangladesh, i produttori, i rivenditori internazionali e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori. E se avesse successo stabilirebbe nuovi più equi standard per la responsabilità delle aziende, i controlli sui fornitori e i diritti dei lavoratori di tutto il mondo. C’è il no di Benetton a rischiare di far saltare tutto, spingendo altri a rifiutarsi e impedendo che si crei un precedente per i diritti dei lavoratori.

Benetton è l’unica grande marca ufficialmente relazionata al Rana Plaza a non aver aderito al piano di risarcimenti. L’anno del crollo ha avuto profitti per 139 milioni di euro, ma ha il coraggio di dire di aver fatto il suo dovere con una donazione di non si sa quanto a un’organizzazione benefica locale. Ma la carità non è il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e dell’essere umano. La verità è che questo crollo è stato una sequenza incredibile di negligenze da parte delle aziende. In un mondo giusto il risarcimento dovrebbe essere obbligatorio. Ma forse è ancora lungo il cammino per il pieno riconoscimento della dignità del lavoro e il neoliberismo e questa globalizzazione non aiutano certo.

D.S.

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