Pubblicato: gio, 25 Ago , 2022

Juris Pills : traffico di influenze e Lobbying

dei delitti contro la Pubblica amministrazione

Nel tentativo di tutelare la correttezza, l’autonomia, l’imparzialità e il buon funzionamento della Pubblica Amministrazione, è stato introdotto il reato di traffico di influenze con L. 190/2012 e recentemente modificato dalla L. 3/2019. Viene commesso da chi svolge attività di intermediazione illegale su pubblici ufficiali ed è disciplinato dall’art.346 bis codice penale. La norma è diretta a tutelare la p.a. dal mercimonio diretto o indiretto delle pubbliche funzioni in una fase prodromica. Dunque, commette il reato di traffico di influenze illecite “chiunque sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.”

Il reato prevede una specie di triangolazione, cioè tre soggetti: il mediatore (spesso chiamato “faccendiere”), il committente della mediazione (un soggetto privato) e il pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Un reato molto prossimo e infatti incorporato con quello previsto dall’abrogato articolo 346 cp, compiuto dal millantatore che però, a differenza del “faccendiere”, non può disporre realmente di una relazione con il pubblico ufficiale. Si distingue da concussione (art. 317 c.p.), in cui un pubblico ufficiale si fa dare o si fa promettere, per sé o per altri, denaro o un altro vantaggio anche non patrimoniale, abusando della propria posizione; e da corruzione (art. 318 c.p.) in cui il pubblico ufficiale riceve indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa.
Il traffico di influenze è difficile da dimostrare, perchè penalmente rileva il raggiungimento di un accordo che ha come obiettivo corrompere un soggetto pubblico, a prescindere che poi l’attività di mediazione abbia buon esito e che il soggetto pubblico compia un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio. La ratio della norma è preventiva: interviene cioè prima che l’accordo sull’influenza illecita abbia le sue conseguenze.

Dall’art. 346 bis possono emergere due ipotesi di reato. La prima è che il “faccendiere” si faccia pagare da un privato per influire sull’attività di un pubblico ufficiale, attuando un’attività di mediazione, ossia di lobbying (fino a prova contraria non illegale), in cui si tenta di convincere per esempio un parlamentare della bontà pubblica di una determinata decisione. Fino a che punto? L’art. 346 bis dice che si configura un reato quando l’attività viene svolta in maniera “indebita”, ciò significa che la condotta per diventare penalmente illecita deve già esserlo di per sé. Tuttavia, per poter riscontrare un illecito ci vuole una legge che chiarisca quando lo si può considerare tale. Attualmente detta indicazione è inesistente, con la conseguenza che spetta al magistrato colmare, con ampi margini di discrezionalità, il vuoto normativo. Il confine tra il reato in questione e il lobbying lecito, cioè le attività di mediazione, è indefinito.

Il reato di traffico di influenze illecite si basa sul concetto di mediazione illecita, ma senza che in Italia esista ad oggi una legge che ne spieghi i tratti identificativi. L’attesa regolamentazione delle attività di lobbying si dovrebbe inserire proprio all’incrocio tra la salvaguardia del diritto alla libertà di associazione e partecipazione, con l’eliminazione delle opportunità di corruzione. Il lobbying lecito dovrebbe rappresentare un atto di partecipazione politica; rientrando anche nella più ampia definizione di “advocacy”, adottata da organizzazioni della società civile e da gruppi senza scopo di lucro, o di attivismo, che è una risposta della cittadinanza alle decisioni delle autorità pubbliche. Tuttavia, l’accesso impari e non trasparente ai decisori pubblici ha portato il lobbying ad essere percepito come l’influenza sul processo decisionale da parte di interessi potenti. Secondo la definizione contenuta nella raccomandazione del Consiglio d’Europa, con “lobbying” si dovrebbe intendere la promozione di interessi specifici attraverso la comunicazione con un funzionario pubblico nell’ambito di un’azione strutturata e organizzata volta a influenzare il processo decisionale pubblico. Nel concreto, i gruppi spesso riescono ad esercitare un’influenza sulle decisioni prese dalle istituzioni in linea con i propri interessi, che non sono interessi rappresentativi di maggioranza o etica, ma settoriali e specifici. E’ un’attività che solitamente viene svolta da professionisti che possiedono una conoscenza approfondita del contesto politico di riferimento. Si tratta, infatti, di lobbisti provenienti da esperienze politiche, vertici apicali, quadri e dirigenti, o dai ranghi della burocrazia, i quali possono ben far fruttare i preziosi legami e rapporti interni. La mancata disciplina del fenomeno, favorisce il proliferare della corruzione e dell’ambiguità delle lobbies. La maggior parte dei paesi europei, americani e canadesi, da tempo ne ha regolamentato l’attività, istituendo un albo dei professionisti; ha emanato codici etici, delineando con maggiore precisione la linea di confine tra la rappresentanza degli interessi lecita e la mediazione illecita.
La seconda ipotesi di reato, nel traffico di influenze, è quella in cui il mediatore riceve del denaro anche per corrompere il pubblico ufficiale, anche se il denaro fornito al mediatore per corrompere il funzionario pubblico non è stato effettivamente consegnato o promesso a quest’ultimo. E’ un’attività “preparatoria” del delitto di corruzione, che quindi non si completa.
La norma così formulata palesa ambiguità e preoccupanti vie di fuga in relazione alla certezza del diritto. Manca uno spazio applicativo definito: per quanto concerne il range della mediazione (una legge che fissi le categorie di lecito e illecito) e per la rintracciabilità della corruzione preparata – ma non consumata. L’attuale disposizione è poco incisiva e non riesce di fatto a concretizzare sentenze di colpevolezza (secondo le statistiche, circa 1 su 3).

La Corte di Cassazione con la recente sent. 1182/2022 ha ritenuto che in assenza di una regolamentazione legale dell’attività dei gruppi di pressione, la illiceità della mediazione non può che trarsi dallo scopo dell’influenza, che deve consistere nella commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi al committente. “[…] in assenza di una disciplina organica del lobbismo, volta a disciplinare le modalità abusive di contatto tra mediatore e pubblico agente e, quindi, in mancanza di riferimenti chiari volti a definire la illiceità modale della mediazione, il connotato di illiceità della mediazione onerosa deve essere correlata allo scopo, alla finalità dell’attività d’influenza. Un reato, quello inquinante la mediazione, che potrà essere individuato con un quantum probatorio – dimostrativo della finalità perturbatrice della pubblica funzione, variabile in ragione dello stato del procedimento. Un accertamento che deve essere compiuto caso per caso; potranno assumere rilievo il movente della condotta del privato compratore, il senso, la portata ed il tempo della pretesa di questi, la condotta in concreto che il mediatore assume di dover compiere con il pubblico agente, il rapporto di proporzione tra il prezzo della mediazione ed il risultato che si intende perseguire, i profili relativi alla illegittimità negoziale del contratto”.
Per rimediare a questo gap normativo, il 12/01/2022 la Camera dei deputati ha approvato un disegno di legge che disciplina l’attività di lobbying, le cui disposizioni non si applicano in ogni caso all’attività di rappresentanza di interessi particolari svolta da enti pubblici, anche territoriali, o da associazioni o altri soggetti rappresentativi di enti pubblici, nonché dai partiti o movimenti politici, né alle attività svolte da esponenti di organizzazioni sindacali e imprenditoriali (“Disciplina dell’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi”). La proposta prevede l’istituzione del Registro per la trasparenza dell’attività di rappresentanza di interessi presso l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, cui i soggetti che intendono svolgere attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi hanno l’obbligo di iscriversi. Sempre presso l’Antitrust è istituito un Comitato di sorveglianza sulla trasparenza dei processi decisionali pubblici, con funzioni di controllo e di irrogazione delle sanzioni amministrative previste dal testo; emanazione di un codice deontologico; relazione annuale alla Camera che dia conto dei contatti posti in essere, degli obiettivi conseguiti e dei soggetti interessati. Il Senato ha approvato l’istituzione di un registro per lobbysti il 1/05/2022.

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