IRAN DEGLI ORRORI, PROSEGUONO GLI ARRESTI E LE TORTURE
in questi giorni Armita Abbasi è sotto processo a Karaj, rischia la pena di morte
La giovanissima Armita Abbasi è stata fermata il 10 ottobre 2022 con l’accusa di essere una delle leader delle proteste contro il regime iraniano. Arrestata, violentata, seviziata e torturata ripetutamente. Risulta che sia stata ricoverata in condizioni critiche, ma la famiglia non ha potuto vederla perchè la polizia morale l’ha spostata velocemente. La giovane aveva iniziato a condividere sui propri account social dei messaggi critici nei confronti del regime e per questo è stata incarcerata. Appena ventenne, è stata torturata e brutalmente stuprata, tanto da arrivare in ospedale con la testa rasata e visibilmente traumatizzata, così come riferito dai medici che l’hanno tenuta in cura. Dal referto risulta una situazione di violenza inaudita, anche se le forze di polizia hanno insistito perché venisse scritto che l’abuso fosse avvenuto prima del suo arresto.
Domenica 29 gennaio 2023, presso la sezione 1 del tribunale rivoluzionario di Karaj, si è tenuta l’udienza che la vede imputata. Non si hanno ancora informazioni sul provvedimento che è stato emanato nei suoi confronti. Le condotte che le vengono contestate prevedono come possibili punizioni la messa al bando dal paese, l’amputazione degli arti, la crocifissione e la pena di morte, alla quale sono già stati condannati altri manifestanti. La decisione del giudice è discrezionale e non necessita di motivazione. Per la celebrazione dei processi nei confronti dei cosiddetti rivoltosi sono state istituite apposite corti speciali che giungono a decisione in tempi estremamente ristretti, senza possibilità di appello.
In quattro mesi sono arrestati circa 20 mila manifestanti. Da quando il 13 settembre del 2022 è morta Masha Amini, la ragazza divenuta simbolo della crudeltà del regime iraniano, non passa giorno senza che dall’Iran giungano notizie tragiche sul destino di giovani coraggiosi che hanno deciso di sfidare il regime oppressivo di Khamenei. Secondo l’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani Hrana, sarebbero oltre 500 i manifestanti uccisi. Anche agli avvocati viene impedito il libero esercizio della professione e diverse decine sono essi stessi detenuti, non consentendo quindi la difesa a chi viene imprigionato. Processi sommari che si svolgono in assenza di difesa e si concludono spesso con condanne per impiccagione, immediatamente eseguite. Quattro giovani manifestanti, Mohsen Shekari, Majid Reza Rahnavard, Mohammad Mehdi Karami, Sayed Mohammad Hosseini sono stati giustiziati in queste settimane.
Terrificante il modello di brutalità che il regime sta attuando. Come confermato da numerosi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, le forze di repressione iraniane stanno utilizzando violenze e torture per indurre le vittime al silenzio delle manifestazioni e per estorcere loro una confessione di comodo. Secondo quanto riportato dall’Iran Rights Monitor, è documentato «l’uso sistematico di stupri e tortura. Avvengono sia sulle donne che sugli uomini, senza differenza».
Per sfuggire a tali violenze sono in tanti che, su mezzi di fortuna, tentano di varcare il confine. Chi rimane, invece, continua a protestare, nonostante la sanguinaria repressione della polizia. Scendere in strada oggi vuol dire rischiare di rimanere uccisi dalle mitragliate delle forze d’oppressione o di venire arrestati e subire indicibili violenze. Dalle testimonianze giunte, il centro detentivo di Shapur sembra essere uno dei più agghiaccianti di Teheran, dove si svolgono i cosiddetti ‘interrogatori tecnici’, durante i quali i detenuti vengono picchiati, fatti penzolare dal soffitto e torturati. Chi viene arrestato viene legato mani e piedi a un gancio sul tetto dell’auto della polizia per tutto il tragitto. Nel carcere di Evin sembra che vi sia la prassi del matrimonio temporaneo, che viene utilizzato per ovviare all’impedimento stabilito dalla Sharia di uccidere donne vergini. La guardia carceraria diviene marito ed aguzzino della detenuta, tanto da poterne abusare a piacimento prima della condanna a morte. Un regime immondo e incivile che, al pari di quello dei talebani in Afghanistan, non solo non merita nessun appoggio politico, ma non dovrebbe nemmeno esistere. Al di là di ogni interesse economico e compiacenza, una siffatta distorsione non può trovare spazio in un mondo civile e come tale dovrebbe essere eliminata definitivamente senza possibilità di ritorno.
Non rivelare questi crimini contribuirebbe al perpetuare l’applicazione di questi metodi repressivi contro innocenti e indifesi. Nonostante il clima di terrore e la durissima repressione messa in campo dal regime iraniani, la rivolta non si placa; i manifestanti continuano a portare avanti il proprio ideale di libertà e giustizia perché la vittoria significa poter instaurare la democrazia, la pace e i diritti umani.
Non si può che denunciare fermamente – ancora una volta – le atrocità della repressione attuata dal regime iraniano e la sistematica violazione dei diritti e delle libertà fondamentali, soprattutto nei confronti delle donne e delle minoranze. Si chiede che le istituzioni nazionali e sovranazionali si attivino per promuovere ogni possibile azione, attraverso i canali diplomatici, affinché il governo iraniano interrompa le intollerabili violenze ai danni della popolazione e garantisca equità nei processi, cessando immediatamente il ricorso alla pena di morte.