Pubblicato: dom, 22 Gen , 2023

Intercettazioni e riforma del sistema penale

l’alibi della cattura del boss per disarmare l’antimafia 

Sicuramente sarà sorpreso il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che in piena polemica sull’annunciata riforma delle intercettazioni di queste settimane sosteneva che “un mafioso vero non parla al cellulare”. E invece no: un vero mafioso, nonché stragista, di cellulari ne aveva ben due! E del resto, è ormai accertato che tutti comunichino con cellulari, anche quelli micro, criptati o usa e getta. Arrivano pure in carcere, tanto che non è insolito che i detenuti seguano perfino le dirette tiktok e lancino minacce agli avversari. All’on. Nordio le intercettazioni proprio non piacciono, ma è evidente come siano un mezzo imprescindibile per le indagini.

Dopo le infelici parole rivolte ai giudici antimafia e alle intercettazioni, proprio nelle ore dell’arresto di Matteo Messina Denaro, l’on. Nordio (in aula ha invitato i parlamentari a non essere “supini dei pm che vedono la mafia dappertutto”; “mafiosi? non parlano al telefono”), prosegue nelle sue convinzioni, tuona riforme anche per impedire la pubblicazione e aumentare le pene verso i cronisti, addirittura i forzisti hanno proposto di reintrodurre il carcere anche per la pubblicazione di intercettazioni non più coperte dal segreto. Eppure il ministro, e con lui i numerosi parlamentari plaudenti, dovrebbero sapere che la Corte Europea ha ribadito non solo la liceità, ma persino l’obbligo a pubblicare le notizie di rilevanza sociale e di pubblico interesse. Il ministro (in Parlamento) si è esibito in un rancoroso attacco davvero fuori del comune ai pm in generale e a quelli antimafia in particolare, interferendo anche in un processo (sulla cd trattativa stato-mafia) ancora aperto. Tuttavia, per evitare abusi è vigente la legge Orlando, che ne restringe significativamente gli spazi senza sacrificare le esigenze d’indagine. Per ciò che concerne i reati satellite al primo posto non può che esserci la corruzione: interfaccia della mafia e quindi principale reato “spia”, specie per gli appalti truccati dove la mafia banchetta. Vale la pena ricordare la Convenzione Onu del 2003 (ratificata in Italia nel 2009) che all’art. 50 indica tra le misure necessarie contro la corruzione la sorveglianza elettronica, quindi anche le intercettazioni.

E’ evidente che simili riforme siano la conseguenza del malcontento dovuto a indagini che scottano, una su tutte il Caso Montante che ha visto coinvolti ministri, istituzioni, colletti bianchi di ogni sorta, fino al presidente della Repubblica, finito appunto nelle intercettazioni. Ma sono davvero molteplici i casi in cui la politica si è sentita minacciata dal buon operato degli inquirenti, come nelle indagini delle DDA che, sulle tracce della ndrangheta, sono arrivate a banche, IOR, preziosi e omicidi spacciati per suicidi. O ancora, la vicenda eclatante di Report, che ha subito ripetute violazioni del segreto professionale e della tutela delle fonti, fino alle perquisizioni e acquisizioni dei tabulati della redazione della trasmissione, in un vergognoso tentativo di silenziare chi denuncia i fatti.

D’altra parte, chi usa l’arresto del boss di Castelvetrano MMD per sostenere il disarmo dell’antimafia, sta facendo un pessimo servizio alla democrazia. Non può che essere in malafede. Sconfitti i “corleonesi stragisti”, ammesso che sia vero, l’Italia si è liberata da tutti i mali? Sembra proprio che si vada in questa direzione: abrogare tutto quello che dà fastidio, abrogare gli strumenti che hanno a che fare con le indagini (l’uso delle intercettazioni a partire dai così detti reati spia, per esempio), con la costruzione dei processi (Dia, Dna, Dda), con l’aggressione delle ricchezze illecite (misure di prevenzione patrimoniali, interdittive prefettizie), con il contrasto al condizionamento delle Amministrazioni Pubbliche (scioglimento dei Comuni), con i collaboratori e i testimoni di giustizia, con il regime carcerario specifico (4 bis e 41 bis), con il contrasto all’accordo tra mafia e politica nel momento delle elezioni (416 ter). Fino al  416 bis, il cuore dell’impianto antimafia pensato da Falcone.

Ma con la consegna di Messina Denaro non finisce cosa nostra e nemmeno la mafia. Come manager di un’organizzazione criminale, MMD ha organizzato e studiato la sua successione prima del suo arresto. La sua figura di “latitante di stato” (Marco Bova), non può che confermare l’esistenza di una fitta rete di fiancheggiatori e compiacenze. La narrazione di un uomo, che tra abiti firmati e orologi di lusso, ha continuato a vivere per trent’anni indisturbato nel suo paese, pur figurando nella lista dei dieci criminali più ricercati al mondo, rischia inevitabilmente di tratteggiare un profilo del boss “di successo”. Specie per coloro che manifestano un’assenza di memoria storica rispetto alle stragi di cui è responsabile e per chi vive in contesti di povertà culturale, nei quali la percezione della mafia come ente suppletivo dello Stato è molto radicata. Emblematico il caso della consegna di generi di prima necessità da parte dei boss durante il periodo pandemico di covid19, per aiutare chi non lavorava. Dai tribunali si rintraccia anche la vicenda dei supermercati finanziati e gestiti da Matteo Messina Denaro che davano lavoro a centinaia di compaesani raccomandati al boss, negozi poi sequestrati dalle FFOO e andati falliti durante l’amministrazione giudiziaria. Il sentimento di riconoscenza e rispetto per il padrino è evidente, così come quella di risentimento e sfiducia nei confronti della mala gestio statale. Nelle elezioni politiche il candidato si presenta sul territorio 4-5 mesi prima del voto, il capo mafia invece è sempre presente e dà risposte, seppur drogate e clientelari, tutti i giorni dell’anno. A Castelvetrano la manifestazione contro la mafia aveva contato 24 persone. Paura ed omertà, ma anche la dimostrazione che lo Stato è un grande assente. Non è difficile capire perchè il popolo veda quel soggetto come modello vincente. I giovani, soprattutto, si immedesimano in quel personaggio. Ciò significa ulteriori compiacenze, nuovi militi nelle fila mafiose, omertà e silenzi.

Dalle risultanze investigative è emerso lo stretto collegamento del boss di Castelvetrano non solo tra i palazzi di Roma, tra cui anche il senatore berlusconiano D’Alì (condannato in cassazione dicembre 2022), ma anche con i cugini calabresi. Dagli impianti eolici, alla grande distribuzione alimentare, riciclaggio, narcotraffico, e infiniti business. Cospicui gli affari oltre lo stretto, in particolare nel crotonese, ma anche la Valtur, i Patti, alta finanza ed imprenditoria. Trapani è stata base di Gladio e del Centro Scorpione, di cui il boss sicuramente era informato. La stessa città con la più alta densità massonica d’Italia, secondo una stima della commissione antimafia presieduta dall’on. Bindi nel 2016 aveva rintracciato circa una ventina di logge concentrate proprio in quella terra. Il comune di Castelvetrano offre uno spaccato delle nuove frontiere della mafia nel rapporto con la politica e le amministrazioni locali. Una città in cui il condizionamento mafioso è sempre stato forte, come quello massonico. Il fenomeno è emerso in tutta la sua evidenza quando indagini nella zona di Castelvetrano e quella denominata “Mammasantissima” in Calabria hanno evidenziato questo legame. Lo stesso medico di base che aveva in cura MMD, attualmente indagato, è risultato essere massone e oggi sospeso dalla loggia Grande Oriente d’Italia. E ancora, nel libro “lettere a Svetonio” si rintraccia un scambio di missive tra il padrino e il politico Antonino Vaccarino (alias Svetonio), sindaco, massone, professore e figura molto controversa. Soprattutto, intimo amico di don Ciccio, all’anagrafe Francesco Messina Denaro, papà del boss. Uno scambio epistolare assai strano, in cui emerge poi la presenza dei servizi segreti, per entrambe le penne. Messaggi cifrati, con la collaborazione del SISDE, in cui cosa nostra parlava alla politica – e viceversa. Con la consegna di MMD non finisce la mafia, anzi forse la lotta per la verità dovrebbe iniziare.

Risulta ormai evidente che i fenomeni mafiosi evoluti siano paragonabili ad una enorme blockchain criminale (cit. pm Giuseppe Lombardo), cioè ad una rete che gestisce in modo univoco determinate operazioni, anche finanziarie. Le singole articolazioni delle grandi mafie, della ‘ndrangheta in particolare, sono molto simili a mattoncini crittografati, collegati l’uno all’altro attraverso nodi intermedi, che connettono la testa dell’organizzazione non solo alla sua base, per coordinare le attività criminali di più ampio respiro, ma a ulteriori entità, non pienamente catalogabili, che concorrono a creare il cosiddetto indotto mafioso, in cui operano faccendieri, corrotti e corruttori, evasori ed elusori fiscali, in cui si pianificano ed eseguono le grandi operazioni di riciclaggio, interno ed internazionale. E’ controproducente e anacronistico pensare di limitare l’uso delle tecniche di intercettazione più moderne ed evolute, come gli spyware o i trojan, o l’accesso remoto alle piattaforme crittografate. I grandi circuiti criminali, non necessariamente di tipo mafioso, investono in nuove tecnologie, non solo per comunicare. Le FFOO sono, dunque, chiamate non solo a fare altrettanto, ma a farlo rapidamente e sempre meglio, individuando e catalogando i fenomeni criminali tempestivamente, anticipandone le evoluzioni.

L’intercettazione è uno dei mezzi più economici e garantista che esistono per poter acquisire la prova. Come spiega l’illustre procuratore Gratteri, non si può separare a compartimenti stagni la mafia dai colletti bianchi come vorrebbe il governo, vale a dire garantire l’ascolto solo delle persone indagate o sotto indagine per reati di mafia e spegnere le cimici quando i reati per cui si dispongono le intercettazioni sono quelli dei colletti bianchi. Il nodo è questo: oggi sempre più vediamo le mafie sedute allo stesso tavolo con il mondo delle professioni. Le mafie hanno bisogno di pubblicità, spesso sono sponsor di attività sportive ed eventi, una commistione voluta e codificata dalla ‘ndrangheta. Negli anni è stata creata la nuova dote de la Santa, un ulteriore gradino, una sovra-organizzazione che consente a ogni sgarro di diventare massone, cioè avere la doppia affiliazione: essere affiliato alla ‘ndrangheta e far parte di una loggia massonica deviata. E quindi è impossibile disgiungere a priori il reato di mafia, cioè il solito noto, rispetto al professionista incensurato che dal punto di vista investigativo è la punta avanzata della nuova ‘ndrangheta, della camorra o di cosa nostra. Le mafie sono inserite nel tessuto sociale e economico; frequentano i salotti buoni, sono più forti del potere legale,  chiedono e mercanteggiano. E’ necessario proseguire con le indagini e dare tecnologie sempre più evolute alle forze dell’ordine; riformare il sistema giudiziario, con codice penale, procedura penale e ordinamento penitenziario attuali ed efficienti. Occorrere un impegno per il recupero e l’inclusione sociale delle realtà sociali più degradate, laddove si ritiene che la mafia abbia una funzione di governo, considerando inutile e distante l’azione dello Stato. Il contrasto alla mafia passa anche investendo in istruzione e in cultura.

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