Pubblicato: mar, 29 Gen , 2013

Il volto nascosto della beneficienza

Da storie e testimonianze inedite il volto nascosto dell’industria della carità.

 

di Piera Farinella

NEWS_94947Una domanda politicamente scorretta sulla presunta onestà dei buoni. Una denuncia sulla “mala cooperazione” quella contenuta nel libro della giornalista Valentina Furlanetto “L’industria della carità”. Nella prefazione di Alex Zanotelli si legge:”E’ interessante notare che oggi l’aiuto più grande che viene inviato ai paesi impoveriti non è il nostro ma il loro. Il vero aiuto sono le rimesse, il flusso di denaro, che gli immigrati in Italia inviano alle famiglie, frutto del loro lavoro. La liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, non dai ricchi.” Un libro in cui viene spiegato “quanto spendono per il marketing e gli stipendi le ong e le onlus in Italia e quanto finisce effettivamente ai progetti che voi con la vostra beneficenza, vorreste fossero realizzati”. Il terzo settore sottosta alle regole del marketing, preoccupato dell’immagine che offre, perché sono buona reputazione e credibilità che permettono, per esempio alle associazioni di accedere al 5 per mille. La credibilità, però, rischia di incrinarsi se si pensa che si fa largo uso di contratti a tempo determinato, precariato perenne, selezioni del personale per conoscenza, dilettantismo, familismo, passaggio di consegne fra genitori e figli, come accade nelle agenzie tradizionali.”Le Ong -si legge nel libro- sono in competizione fra loro, per sopravvivere nel mondo della solidarietà devono fare a gara per le sovvenzioni. Parlano lo stesso linguaggio delle aziende, usano le medesime strategie” Non si vuole sminuire la loro utilità o l’utilità dell’impegno di associazioni e volontari o la generosità del popolo italiano, ma distinguere fra solidarietà e business. I soldi vengono da enti pubblici o privati, ma anche dalla generosità, che diventa business per qualcuno che si arricchisce della buona fede dei donatori. “Esiste una sproporzione tra fondi dedicati all’emergenza rispetto a quelli dedicati allo sviluppo, il che spinge alcune associazioni ad abbandonare quest’ ultimo per l’esperienza che rende molto di più.[…] Il fatto è che l’emergenza frutta maggiormente e ha tempi di approvazione più rapidi”. A parlare è Silvana, che ha lavorato per ong e onlus e non rivela la sua identità perché tutte le volte che ha parlato in pubblico di ciò che non va è stata isolata e attaccata. La cooperante Viviana Salsi, nell’agosto del 2010 appunta sul suo blog in seguito a una sparatoria a un’ambulanza, una frase di un tale B.: “E poi ragazze- dice sfoderando il più glorioso dei suoi sorrisi- vi immaginate che effetto fa una storia così sui donatori? La sparatoria sull’ambulanza vende e come se vende.” Queste e altre testimonianze non rappresentano tutto il mondo umanitario, ma servono per stimolare il senso critico di chi ci crede e rischia di trasformare la propria passione in disillusione. Le attività del terzo settore sono calcolate essere nel mondo del valore di 400 miliardi di dollari e che se fosse quotata a Wall Street l’economia del bene peserebbe quanto Apple. L’Airc, l’associazione di ricerca italiana sul cancro, che dalla vendita di Azalee della ricerca ottiene 10 milioni di euro e per organizzare la vendita ne spende la metà, ha investito in borsa due milioni e mezzo di euro. Perché non usarli subito? E’ quello che viene fuori dall’analisi del cosiddetto “circo umanitario”, storie di feste a Goma, di sciacallaggio in Abruzzo, in Sierra Leone, Haiti, la truffa da 9 milioni di euro sui fondi per i bimbi di Haiti, i soldi raccolti dai cantanti per l’Aquila, ma arrivati. La Corte dei Conti nel luglio del 2012 ha monitorato 84 progetti nel triennio 2008/2010 in 23 paesi e ha trovato di tutto: soldi mai arrivati, progetti fermi o in ritardo da anni, infrastrutture realizzate su terreni di terzi, rendiconti spariti, fondi fermi in Italia da mesi, responsabili di progetti fantasma e irregolarità di ogni tipo nel rendiconto delle spese sostenute. In Italia non è obbligatorio pubblicare i bilanci per le onlus, anche se questo crea un problema di trasparenza. Non è facile capire a quanto ammontino i salari dei vertici di ong e onlus, perchè molto spesso si ricevono risposte evasive. Secondo Alessio Orgera, dottore in relazioni internazionali all’università Luiss Guido Carli “il fine ultimo di qualsiasi ong dovrebbe essere quello di estinguersi una volta realizzato il proprio obiettivo.”

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