Pubblicato: gio, 9 Dic , 2021

Ettore, il pizzo e la città babba.

Messina, l’ultimo presidio di AddioPizzo.

 

     Ettore, 27 anni laurea in scienze naturali, una grande passione per gli animali e la vita tutta. Baffo un po’ anni ‘80 ed occhi vivaci, una bella testa made in Messina. Assieme alla famiglia e allo zio Enrico Pistorino è stato tra i primi fondatori di AddioPizzo nella sua provincia.

Una città “babba” in cui solo apparentemente la mafia non sembra segnare il territorio.

            AddioPizzo nasce a Palermo dalla conclusione del processo Agate nel giugno 2004 per l’uccisione dell’imprenditore Libero Grassi (29/08/1991) ribellato al pizzo. Una sentenza di grande rilievo che porta a trenta ergastoli, tra cui le condanne di Francesco e Salvatore Madonia, i Montalto, Bernardo Provenzano e Salvatore Riina. Un buon risultato, quasi insperato dopo oltre un decennio di rimbalzi nelle aule di tribunale. Eppure, la vedova Grassi non esulta, tutto sarebbe rimasto uguale, le richieste di pizzo sarebbero continuate. La risposta arriva quindi da quel gruppo di giovani siciliani, che con entusiasmo quanto coraggio si uniscono per dar vita ad un’associazione che si presenta subito apartitica ed in lotta aperta contro il racket delle estorsioni mafiose. Sull’onda dei movimenti già esistenti, come Fondazione Falcone (nata nel 1992), Libera (nata nel 1994) e Radio Aut, AddioPizzo vuole essere un punto di riferimento e di aiuto per gli imprenditori vessati. Da un appartamento confiscato agli Spataro prende forma il motto “un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. E’ l’inizio di un’auspicata rivoluzione culturale per sovvertire il potere mafioso.

            Nel 2010, dopo Palermo, Gela e Catania nasce la realtà di Messina, un presidio insolito per un territorio in cui i movimenti sono sempre stati sommersi, quasi invisibili. Non si parla mai di mafia a Messina. Ettore all’epoca è solo un liceale, ma è circondato da figure rette e da un ambiente familiare intriso di un’etica irreprensibile, respira l’aria di cambiamento e voglia di giustizia. Un adolescente cresciuto velocemente, in una parte d’Italia dove i ragazzi assistono in diretta ai regolamenti di conti e vedono ogni giorno i puncitu. Lui e la sorella sono parte attiva della chiamata a raccolta della popolazione, per tessere una nuova rete di solidarietà e sostegno. Il comitato di AddioPizzo Messina nasce dai messinesi per i messinesi. L’esempio di Palermo era un grande sprono, ma non poteva rispondere anche alle esigenze territoriali della loro realtà. Serviva un presidio a chilometri zero, inserito nel contesto cittadino.

            Appoggiata sulla punta estrema della Trinacria, Messina si distingue enormemente dalle città sorelle, soprattutto nel tessuto sociale. In linea d’aria, poco più di sette chilometri, 2 euro e 20 minuti separano Messina da Villa San Giovanni (Reggio Calabria), perfino meno dell’attraversare un quartiere in una città di medie dimensioni. Inevitabile la contaminazione e la consorteria con i calabresi. Prevalgono il ceto professionale e quello dei dipendenti pubblici. Le famiglie che contano si conoscono tutte tra loro; il degrado, la povertà e le differenze di classe sono molto più marcate e percepibili. Un membro di una famiglia della Messina bene non uscirebbe mai con uno di Giostra. Però, quasi incredibilmente, i messinesi son capaci di eleggere un Sindaco scalzo e buddhista come Renato Accorinti, o una figura controversa come Cateno De Luca, detto il masaniello siculo. Messina, una città per nulla babba, ma un vero snodo vitale per Cosa Nostra e la ‘ndrangheta. Le principali organizzazioni mafiose messinesi si sono sviluppate subendo l’influenza sia di cosa nostra palermitana e catanese, con cui hanno intessuto significativi rapporti criminali, sia della ‘ndrangheta calabrese, di cui alcuni gruppi mutuarono strutture, rituali e denominazioni.

Nel territorio peloritano si susseguono nei decenni massicce infiltrazioni dei Corleonesi e dei clan catanesi, gruppi camorristi campani ma anche delle ‘ndrine, diventando zona dei Macrì, dei Piromalli e dei Tripodo. Nell’area dello Stretto hanno operato la P2 di Licio Gelli e Gladio. Ombre e presagi oscuri anche nel mondo delle università, della magistratura locale e della politica. Messina è punto di riferimento di un vasto traffico internazionale di meretricio, armi e droga, riciclaggio di denaro, proventi di tangenti, appalti per opere pubbliche o di edilizia turistico-immobiliare. Secondo quanto riferito da un collaboratore di giustizia tutti gli appalti pubblici della provincia, comprese le opere di minor rilievo, sono stati scanditi dalle famiglie. Le imprese che pagavano potevano continuare a svolgere la propria attività. Quelle che venivano dichiarate insolventi perdevano ogni speranza di poter svolgere qualunque lavoro. Una regia occulta che spiega in parte il relativo silenzio del territorio messinese. L’evoluzione della rete criminale, cresciuta sull’estorsione e l’usura e dunque sulla capacità di inserirsi nell’economia territoriale, stringe una fitta strategia d’intervento con l’imprenditoria e la politica. Messina si colloca ancora oggi tra le prime province d’Italia più a rischio d’usura ed estorsioni, dopo il periodo nero degli anni ‘90 e con il tema del Ponte sullo Stretto ancora aperto.

            Ettore porta il suo contributo attivo, si impegna nella vendita di prodotti delle terre confiscate, con seminari e punti d’informazione assieme agli altri volontari. Sensibilizzare i più giovani, creare eventi e dare input di riflessione, come anche fare azione di disturbo-informazione era necessario per risvegliare i concittadini dal torpore. I ragazzi di AddioPizzo diventano camurria, non mancano gli atti intimidatori e le aggressioni a viso aperto, anche contro la sorella di Ettore ed alcuni ragazzi dell’associazione proprio mentre facevano azione di volantinaggio per le strade. Proseguono, con la tenacia di un movimento culturale e morale volto a coinvolgere tutti e specialmente le giovani generazioni che, per dirlo con le parole di Borsellino, sono le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. AddioPizzo negli anni si struttura, porta il messaggio di ribellione a scuole e piazze, fornisce assistenza legale, consulenza aziendale e psicologica. Timidamente cresce una rete di imprese e consumatori pizzofree, con degli store dedicati, viaggi etici ed un logo che li identifica; attivati appositi fondi per sostenere le imprese. Uno sportello di aiuto è attivo H24, per fornire tempestivo soccorso a chiunque ne necessiti.

            La cronaca attuale racconta di una consorteria mafiosa estremamente attiva e silente, come confermano i maxi blitz di aprile 2021, con 33 arresti, e la faida tra gli Arrigo e i Bonanno per la via della droga che ha portato a 39 arresti. Proprio a settembre il sequestro di beni per oltre 1 mln di euro ha inflitto un colpo al clan degli Sparacio. Al comando dell’intero messinese sembrerebbe essere tornato Giovanni Lo Duca, il cui quartiere generale era un bar di paese. Abbracci di politici collusi con i boss all’ombra della vara, intimidazioni a chi denuncia o mantiene presidi di resistenza. La mafia si vive tutti i giorni, senza spettacolarizzazioni.

Ma un intero popolo che si ribella è libero. Trent’anni dall’assassinio dell’imprenditore tessile Libero Grassi e tuttavia rimane difficile continuare il proprio lavoro senza conseguenze in termini di isolamento ambientale ed economico dopo essersi opposti. Si paga il racket per paura o per convenienza. In molti territori e periferie l’emergenza abitativa, la dispersione scolastica come la disoccupazione sono in continua crescita, mentre il diritto alla salute e alla legalità si assottigliano; i fenomeni criminali sono destinati a perpetuarsi e si trasformano quasi in ammortizzatori sociali.

            Messina è la terra principalmente degli Sparacio e dei De Luca, oltre ai Mancuso, Cavò, Marchese, Molonia, Santapaola e Nitto. Trova spazio di manovra anche la famiglia dei Mistretta, legata al mandamento palermitano di San Mauro Castelverde; ed una cellula di cosa nostra catanese riconducibile ai Romeo Santapaola. Nel quartiere Santa Lucia sopra Contesse risulta dominante il clan Spartà (operazione Agguato). Il centro storico è dei Mancuso, dei Ventura Ferrante e del clan Lo Duca, che segna la sua egemonia anche nel campo delle estorsioni (operazione Flowers 2020). Nel rione Mangialupi risultano presenti i gruppi Aspri, Trovato, Trischitta, Cutè attivi nel traffico di stupefacenti. Il clan Galli-Tibia è attivo nell’organizzazione delle corse clandestine di cavalli, notoriamente affiliato ai Santapaola (operazione Cesare, novembre 2020; operazione Festa in maschera, Scipione 2020).

Nella parte settentrionale della provincia opera la famiglia barcellonese che include i gruppi dei Barcellonesi, dei Mazzarroti, di Milazzo e di Terme Vigliatore. Nel territorio dei Monti Nebrodi risultano attivi i sodalizi dei Tortoriciani, dei Batanesi e dei Brontesi nei confronti dei quali recenti investigazioni hanno evidenziato l’accaparramento dei terreni agrari e pascolivi per beneficiare dei fondi comunitari destinati allo sviluppo delle zone rurali (operazione Nebrodi, 2020). L’inchiesta Nebrodi è una delle più importanti indagini antimafia eseguite in Sicilia e la più imponente, sul versante dei Fondi Europei dell’Agricoltura in mano alle mafie, mai eseguita in Italia e all’Estero. Ha portato a 94 arresti, tra cui anche il sindaco di Tortorici; 151 aziende agricole, conti correnti e rapporti finanziari sequestrati. Rintracciati affari da oltre 10 milioni di euro (gennaio 2020). Pur rimanendo oltremodo chiusa e concentrata sui propri territori, la compagine mafiosa rurale si è evoluta, allargando gli interessi ai finanziamenti U.E., ai fondi per le riqualificazioni del territorio, alle sovvenzioni all’agricoltura e agli appalti pubblici di opere strategiche (operazione Taxi driver luglio 2020). Dominano i clan dei Bontempo Scavo e i Batanesi; i Pruiti di Cesarò affiliati ai Santapaola e ai Catania, con intimidazioni tipiche del metodo mafioso, per avere il controllo di terreni tramite i quali ottenere i relativi benefici economici. Il business del Parco dei Nebrodi è tra i più succosi, con i suoi quasi 86.000 ettari di superficie è la più grande area naturale protetta della Sicilia. Le famiglie mafiose affittavano ettari di terreno nel Parco, incassando i contributi dell’Unione Europea, con un giro di oltre 3 miliardi di euro solo negli ultimi anni. Il presidente del parco dei Nebrodi, il dott. Giuseppe Antoci, aveva captato il meccanismo truffaldino e nel 2015 aveva dato uno scossone potente al traffico mafioso, interferendo proprio sull’assegnazione dei terreni. Realizza, infatti, un protocollo di legalità per l’assegnazione degli affitti, prevedendo la presentazione del certificato antimafia anche per quelli di valore a base d’asta inferiori a 150.000 euro. Il c.d. “Protocollo Antoci”, è stato esteso a tutta la Sicilia. Successivamente, recepito dal nuovo Codice Antimafia, ed ora applicato in tutta Italia. Una certificazione tanto semplice quanto efficace da far saltare interessi miliardari e far ritornare Cosa nostra ad imbracciare i fucili, decretandone la sua morte. La notte tra il 17 e il 18 maggio 2016 il dott. Antoci è stato vittima di un attentato, dal quale è uscito illeso solo grazie all’auto blindata e al capace quanto coraggioso intervento armato del vice questore Daniele Manganaro e degli uomini della sua scorta. L’attentato non è andato a buon fine, la mafia si sposta quindi nei palazzi delle istituzioni per un’operazione di “mascariamento” ordita contro di lui per delegittimarlo. Inaspettatamente, anche il rapporto della Commissione Regionale Antimafia Siciliana, anziché sostenerlo e premiarne l’iniziativa, mette in discussione il suo operato e quello dei soldati che lo hanno salvato. Il presidente di quella commissione dichiara che “la mafia non c’entra, la mafia se ne frega” e che “era poco plausibile che quello scenario fosse un attentato di stampo mafioso”, lasciando intendere la possibilità che fosse dunque una messinscena. Non sono i mesi cupi del 1992, ma vicende attualissime. Tanto che nel luglio 2020, infatti, si è tenuta l’audizione dello stesso presidente della C.R.A.S. in Commissione Nazionale Antimafia, con l’archiviazione di ogni dubbio nei confronti del dott. Antoci. Dal suo protocollo ne è scaturita poi l’operazione dell’arma, che ha consegnato nel marzo 2021, nell’Aula Bunker di Messina, niente meno che il Maxiprocesso alla mafia dei Nebrodi con 97 imputati tra boss, insospettabili professionisti e gregari dei clan tortoriciani. Il 23 aprile 2021 sono state emesse le prime, pesanti, condanne al rito abbreviato. Il Gup ha inflitto 52 anni di carcere a sei imputati. La pena più alta è andata a Sebastiano Bontempo, detto ’u uappu, che dovrà scontare 24 anni.

Sciolti gli organi elettivi del Comune di Mistretta (indagine Concussio 2019), così come è stato sciolto il Comune di Tortorici per ingerenze mafiose (operazione Nebrodi 2020). Un terremoto non da poco, per una piccola cittadina babba in cui la mafia non esiste.

            Ettore è cresciuto, non sa più cosa potrebbe servire per migliorare quella sua terra tanto bella quanto difficile. I siciliani non vorrebbero mai andare via dall’isola. Ma mancano i servizi, le infrastrutture, le possibilità di crescita. Gli investimenti si perdono per strada e arriva poco nulla. Eppure, movimenti simili ad AddioPizzo sono stati apprezzati e replicati in Germania come in Danimarca, mentre in Italia non è quasi per nulla diffuso. L’ultima città che ha creduto in questo progetto è stata proprio la sua, quel presidio che con sogni e speranze lui aveva aiutato ad avviare. Una città difficile, controversa, di un silenzio assordante. Un sud che è terre di confine, dove gli occhi delle persone sono diversi perché hanno il mare dentro e combattono ogni giorno.

 

 

(dati integrati dalla relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento, attività svolta e risultati conseguiti dalla DIA, II semestre 2020)

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