Il Papa in Africa.
In una terra dimenticata l’apertura della porta santa e l’incontro con l’imam di Bangui.
Se difende i propri interessi, come una qualsiasi lobby, la Chiesa tradisce i propri riferimenti: così nella vicenda del processo ai giornalisti. Ma quando esplica la propria vocazione universale allora agisce nel solco della sua missione.
Nel recente viaggio in Africa Francesco ha concluso il suo pellegrinaggio nella Repubblica Centrafricana. E ha aperto la porta santa della cattedrale di Bangui, la capitale, in legno e vetro, modesta, ma qui si trova la casa di Gesù, dove stanno i rifiutati della terra, non nella basilica di S. Pietro, quando l’apertura di quella splendida porta verrà trasmessa in mondovisione e un atto che si intende spirituale si trasformerà in clamore mediatico.
E qui a Bangui Francesco, pellegrino di pace, ha fatto visita alla moschea di Koudoukou, nel quartiere Pk5, enclave musulmana assediata dalle milizie cristiane, un luogo tra i più pericolosi al mondo, dove trovano rifugio la maggior parte dei musulmani. “Una prigione a cielo aperto” l’ha definita l’imam Tidiani Moussa Naibi, che ha accolto il papa nell’edificio di culto da circa due mesi circondato dalle milizie Anti-Balaka, cristiane, che bloccano i rifornimenti in entrata e i musulmani in uscita.
La moschea, dunque, è stata eletta luogo simbolo della riconciliazione di tutte le lotte religiose del mondo. Il papa e l’imam hanno lanciato un appello per la pace, politica, sociale e religiosa, hanno affermato che è ingiustificata e ingiustificabile la perpetrazione di efferati crimini contro le popolazioni civili sotto l’egida religiosa.
Ha detto Francesco: “Cristiani e musulmani sono fratelli. Insieme diciamo no a odio, violenza, vendetta, in particolare quella in nome di una fede o di Dio stesso”. E ha aggiunto: “Coloro che affermano di credere in Dio devono essere anche uomini e donne di pace”. L’imam Naibi ha affermato: “Il rapporto con i nostri fratelli e sorelle cristiani è così profondo che nessuna manovra che cerchi di minarlo avrà successo: cristiani e musulmani di questo paese hanno il dovere di vivere insieme e di amarsi”
L’incontro, dentro uno spazio assediato da milizie armate, si è svolto in un clima surreale. Si è parlato di pace mentre i tiratori scelti dell’Onu stavano posizionati sui minareti, mentre le vie d’accesso erano controllate da mezzi corazzati, armati di mitragliatrici, e dai caschi blu in giubotto antiproiettile con le armi in pugno.
Le violenze nella Repubblica Centrafricana sono scoppiate nel dicembre 2013, a seguito della destituzione del presidente di allora Francoise Bozizè. Le milizie Seleka, musulmane, hanno operato violenze ed abusi contro i civili. Ciò ha portato all’emergere delle milizie “Anti-Balaka”, cristiane, responsabili della caccia all’uomo contro i civili di religione musulmana, sterminati o costretti a fuggire dal Paese a decine di migliaia. Ma entrambi tali milizie che inalberano dio, invero strumento per il loro potere, sono coinvolte nel traffico di oro, diamanti, zucchero e bracconaggio di elefanti e sono innescate e manipolate da signori della guerra che lottano per il controllo del territorio e lo sfruttamento delle risorse centrafricane, ricche e appetibili per le avidità internazionali.