Pubblicato: gio, 26 Ott , 2023

Il locale di ndrangheta a Sarzana coordina anche parte della mafia toscana

«Non è Lucca, ma Sarzana: il punto in cui gravitano gli interessi dei clan della Toscana settentrionale»

C’è un locale della ’ndrangheta a Sarzana (Liguria), a cui farebbero riferimento anche gli affiliati toscani. Il pm Manotti della Procura distrettuale antimafia di Genova, interviene al convegno sulla criminalità organizzata, svoltosi in questi giorni a Carrara. Ricorda quanto emerso dal processo nato dall’operazione Maglio3 che ha censito la presenza di almeno quattro locali in Liguria. Dalle risultanze investigative è stata accertata la presenza ndranghetista a Sarzana. L’unico imputato dell’epoca, però, è stato assolto, ma il fatto c’era e la struttura esisteva. Le ffoo avevano raccolto un’intercettazione significativa, «Non è Lucca, ma Sarzana», dicevano gli sgarristi, intendendo che Sarzana era il luogo geografico di riferimento per chi gravita nella zona settentrionale della Toscana.

Sarzana è da sempre un punto comodo alle mafie, vicino al porto e alla vita dinamica di La Spezia, a pochi minuti dalle cave di marmi di Carrara e Massa. Una frazione prevalentemente calabrese, incastonata al confine tra Liguria e Toscana, proiettata facilmente anche verso l’Emilia. La postazione risulta estremamente funzionale per gestire i business di lidi e spiagge, ristorazione e alberghi, vicina anche alla vita notturna, al narcotraffico e al riciclaggio delle mete blasonate come Lerici e Forte dei Marmi. Perfetta per scambi e negozi redditizi.

Nel 2007, gli inquirenti scrivevano: “la presenza di un locale nel territorio della provincia di La Spezia è stata riscontrata già negli anni ’80, ove all’interno spiccavano le figure dei nuclei familiari Romeo-Siviglia, originari di Roghudi (RC) e dimoranti a Sarzana. In da 26.5.1978, Romeo Antonio legato da un rapporto di amicizia con Nucera Lorenzo nato a Condofuri (RC) il giorno 1.1.1923, residente a Lavagna, metteva a disposizione di quest’ultimo, all’epoca latitante, un immobile in provincia di La Spezia. Negli anni si hanno notizie dell’insediamento anche dei clan Taormina, De Masi contiguo alla cosca Alvaro, Pangallo-Maesano, Zavattieri. Nello Spezzino è segnalata anche la presenza di una delle ‘ndrine economicamente più potenti, quella degli Iamonte di Melito Porto Salvo, particolarmente impegnati nel traffico di stupefacenti, riciclaggio di denaro, appalti pubblici, traffico di armi e di esplosivi. Il capobastone della cosca, Natale, era stato accusato da un collaboratore di giustizia di aver ordinato l’affondamento di alcune navi piene di rifiuti tossici in Calabria, Spezia e Livorno.

Nel dicembre 2019 sono stati intercettati 338 chili di cocaina nel porto della Spezia. Gli investigatori scoprono la droga nascosta in un container proveniente da Brasile, tra lastre di granito e i pallet di legno: trecento panetti che superano il chilo l’uno disposti lungo le scanalature che tengono ferme le pietre. La destinazione del container, si scoprirà, è una officina nella provincia di Massa-Carrara: si occupa di riparazione di autovetture ed è riconducibile a un soggetto di origini calabresi, la cui attività professionale nulla c’entra con la lavorazione del marmo. I processi stabiliranno che quel carico era destinato alla ’ndrangheta, verosimilmente alle cosche Foriglio, Callà e Larosa. Per la prima volta, rispetto a un traffico di droga che coinvolge lo scalo marittimo spezzino, verrà riconosciuta la cosiddetta «aggravante mafiosa». Ma il porto di La Spezia, più piccolo e secondario rispetto a quello di Genova, piace da sempre alle mafie. In passato utilizzato anche da cosa nostra e dagli spagnoli, oggi sembra raccogliere prevalentemente gli interessi dei calabresi. Si moltiplicano le operazioni delle forze dell’ordine. A gennaio 2022 è stato rintracciato un carico di 412 chili di cocaina purissima, per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro, è stato bloccato e sequestrato nel porto della Spezia su un container proveniente dalla Repubblica Dominicana e diretto al porto di Valencia. La sostanza stupefacente, nascosta in un carico di carta da macero, era suddivisa in 12 pacchi contenenti 359 panetti pronti per essere prelevati con il sistema del cosiddetto rip-off.

Sarzana è un crocevia tra Liguria e Calabria, ma anche strategica proiezione sulla Toscana e su, sino oltre ai confini nazionali. Una realtà di colonizzazione palpabile. Già nel 2016 la stampa locale parlava di radicamento di ndrangheta, le cronache dell’epoca evidenziavano come il boss Antonio Romeo fosse stato stato omaggiato da espressioni di affetto dal nipote, poi eletto Segretario dei Giovani Democratici della zona. Per i reparti investigativi e la DDA di Genova, lo stesso Romeo sarebbe il boss del locale di Sarzana. Nell’operazione Maglio, Maglio3 e nell’indagine Scilla vengono confermate le posizioni di potere della ndrina Romeo Siviglia, storicamente operante nelle province di La Spezia e Massa Carrara; imparentata con gli Stelitano, vicina alla cosca Iamonte di Melito di Porto Salvo (RC), alla famiglia Pangallo-Maesano-Favasuli di Roghudi (RC), e al clan camorristico Di Donna (affiliati Gionta). Nelle inchieste emergono contatti stretti anche con le ndrine Iemma e Rampino. I Romeo mantengono contatti diretti con gli esponenti di Rosarno, come confermato anche dall’operazione Infinito della Dda di Milano, che ne accerta gli affari con i Pesce Bellocco. Gli inquirenti attenzionano la figura del reggente Iemma Salvatore, il quale oltre ai parenti acquisiti con il matrimonio con Romeo Antonietta, ha come cognato Tramonte Biagio, considerato uno degli uomini più vicini al Crimine, Oppedisano Domenico, appartenente al locale di Rosarno. Nel 2010 gli inquirenti accertano la presenza delle famiglie Nucera-Rodà a Lavagna, mentre a  Lucca si muove il clan Mastroianni. I Romeo si affermano tra i più potenti, con summit anche con le ndrine del nord est Italia, documentate le interazioni con i Gullace Raso Albanese, Mezzaferro, Macrì, Arena e Grande Aracri. Sarzana con il Porto di La Spezia e le sue colline usate come discariche di veleni, abusi edilizi e appalti infiltrati, è uno dei centri nevralgici degli interessi criminali. La Sarzana ‘ndranghetista è una realtà fortemente legata alla Lunigiana dove una potente massoneria è custode di importanti rapporti ed affari, ed al contempo ha un legame solido con il Tigullio, ovvero quella terra dove si ritrova, a Lavagna, l’altro nevralgico locale della ‘ndrangheta della riviera di levante, capeggiato dai Nucera, affiliati ai Romeo.

Poco più su, a Ventimiglia, si celebra la processione della Madonna della Muntagna di Polsi, con tanto di inchini al capoclan. Un legame forte quello tra Liguria e Calabria, tanto che nel santuario di San Luca c’è un fonte battesimale donato proprio da quello stesso Comune ligure che replica le tradizioni calabre. Secondo i dati della Dia, la Liguria fa parte di una sorta di macroarea criminale che si estende in basso Piemonte e che opera attraverso almeno quattro locali dotate di autogoverno a Genova, Ventimiglia, Lavagna e Sarzana (Spezia). A queste si affiancano numerosi locali. La Camera di controllo che ha sede a Genova coordinerebbe i locali e le sue proiezioni  in Costa Azzurra, attraverso la Camera di passaggio di Ventimiglia. Molteplici sono i settori di attività: dal business dei rifiuti agli appalti per le grandi opere, l’infiltrazione nella pubblica amministrazione, nelle istituzioni e nella politica. Dominano il gioco d’azzardo, il riciclaggio e il traffico di droga, che sfrutta le grandi potenzialità della rete portuale. Dall’ultima relazione 2022 della Dia, si conferma il ruolo strategico del locale di Sarzana, che gestisce anche gli affari dei calabresi in tutto il nord della Toscana, sul litorale, in Versilia e quindi in Lucchesia, punto di riferimento per l’intera malavita che opera in Liguria e Toscana. Per la Dia “nel semestre in riferimento (secondo semestre del 2022), il territorio toscano ha confermato come le consorterie criminali italiane, in particolare quelle di origine calabrese e campana, e quelle straniere continuino la loro operatività investendo i proventi illeciti nel settore turistico-alberghiero, in quello dello smaltimento di rifiuti, in generale negli appalti pubblici”.

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