Pubblicato: gio, 20 Lug , 2017

Huellas de memoria por todos los Desaparecidos

Il dolore delle mafie e del narcotraffico non ha confini geografici.

 

“Siamo in tanti noi giornalisti a cercare le notizie con molta cautela perché abbiamo ben chiaro che un giorno una pallottola può arrivare prima di noi. Siamo in tanti noi giornalisti ad essere indignati per il silenzio che ci vogliono imporre, per le menzogne ufficiali, dal momento che quotidianamente vediamo persone a cui sono stati rubati i sogni, donne con il bacio ardente di una granata in bocca, giovani, quasi bambini, colmi di dolore e cocaina, vediamo nelle strade sicari e madri disperate, commando armati e padri di famiglia sepolti nel fango o chiusi in sacchi neri al bordo di una strada buia. Per questo devo scrivere, per dare voce alle tante persone immerse nella disperazione e nella vana speranza… Ho più paura del governo che dei Narcos”

(dichirazione del giornalista Javier Valdez Cárdenas, poco prima di essere assassinato il 15 maggio 2017)

Una guerra che colpisce indiscriminatamente uomini e donne, giovani e anziani, messicani, indigeni e migranti e che segue, come numero di vittime, solo a quella che si combatte in Siria. Dal 2006, anno in cui il Messico avrebbe messo al bando i Narcos, si dichiarano ufficialmente oltre 30mila desaparecidos. Più di 20mila le richieste di asilo politico e centinaia di migliaia gli sfollati. I rapimenti sono aumentati di dieci volte dal 2011, oltre 50.000 i casi segnalati ai comitati locali e alle associazioni per i diritti umani. I morti accertati superano i 100 mila (aggiornato al 2016). Per “sparizione forzata” o rapimento, si intende la privazione della libertà individuale contro la volontà della persona presa. E’ un reato, che in SudAmerica si sta perpetrando a danno della cittadinanza, anche dai rappresentanti dello Stato o da gruppi di persone che agiscono con l’autorizzazione, l’appoggio o l’acquiescienza dello stesso. Infatti, è emerso che rapimenti ed uccisioni sono spesso commissionati dagli stessi organi statali, parte della polizia, dell’esercito o delle cosiddette Forze Speciali USA contro il narcotraffico. Anche l’omissione è evidente nell’incapacità o non volontà di proteggere i propri cittadini, data l’altissima percentuale di impunità, occultamento di prove ed ostacolo ai procedimenti consoni. Secondo le Nazioni Unite è questo un oltraggio alla dignità umana e per la OEA (Organizzazione degli Stati Americani) un crimine contro l’umanità. In nulla differente dai sequestri che sconvolgono l’occidente e l’opinione pubblica, portati avanti dai cosiddetti “terroristi” arabi, africani, americani o russi che siano. Probabilmente se non fratelli, cugini. Le motivazioni alla base sono riconducibili sempre a schemi di potere e arricchimento.L’azione criminosa degli apparati statali getta in un periodo oscuro e folle il Messico, ma anche l’Europa.Lo stesso sistema de-strutturato senza confini e reali interlocutori colpisce tutti.I rapimenti sono un sopruso che affligge invevitabilmente anche familiari ed amici, congelati in un oblio paralizzante, con il terrore di fare o non fare qualcosa che possa mettere in pericolo l’ostaggio. Anche per questo motivo, i sequestri sono da intendersi strumento di controllo del potere, per terrorizzare, zittire e sottomettere la popolazione tutta, non solo contro il singolo. D’altra parte, lo spopolamento avviene spesso nelle zone di giacimenti petroliferi, di gas e/o metalli preziosi, dove sono più attivi i focolari di resistenza e opposizione alle multinazionali e ai narcotrafficanti. Possono risultare anche scomode pedine da eliminare per il solo motivo di abitare in regioni di passaggio o terreni su cui qualcuno vuole lucrare. Uccisi o riconvertiti in altro. Le ragazze solitamente vengono obbligate a prostituirsi, i ragazzi venduti ai latifondisti o fatti a pezzi per il ricco mercato di organi. Gli ostaggi diventano facili capri espiatori, obbligati ad incolparsi di delitti altrui, per far cadere le accuse che coinvolgono qualche politico o narcotrafficante. Schiavizzati nei latifondi, arruolati su qualche fronte. I parenti delle vittime vanno nelle fosse comuni e nelle carceri, giarando per il continente con le foto dei loro cari, costantemente denunciano l’intervento delle autorità che alterano lo stato delle tombe e negano loro l’identificazione dei corpi. Proseguono sequestri, rapimenti, torture, detenzioni, uccisioni. Nonostante tutto questo lo stato messicano è considerato una delle più importanti democrazie delle Americhe, soprattutto per i suoi preziosissimi giacimenti e risorse che lo rendono un importante partner commerciale.Nel Messico che strizza l’occhio ai grandi industriali, il narcotraffico è la prima multinazionale che compra i giudici, assume i poliziotti e finanzia i politici, sia di governo che di opposizione. Nessun polverone deve essere alzato, nessuna insinuazione, nessuna protesta. Da dove si può afferrare un lembo di speranza quando la polizia è la prima collusa? O quando lo stesso pubblico ministero porta a negoziare in un luogo pubblico e sedersi di fronte ai principali venditori della città? Una politica sistematica e un crimine di stato in Messico, ormai diffusi pressochè ovunque con mafia e terrorismo, i cui padroni, in fondo, sono sempre gli stessi.Tragicamente comico, nella città di Iguala de la Independencia si diceva che il comandante della polizia disponesse e comandasse i sequestri. Per uno strano caso del destino, l’ufficiale sparì senza lasciare traccia e suo padre decise di allearsi proprio con i comitati delle vittime per cercarlo. Tutte queste famiglie sono unite dallo stesso dolore. “Una persona scomparsa non è persa”. Minacce, collusione, mancanza di risorse e terrore paralizzano un paese potenzialmente florido. Una terra povera, predata e saccheggiata dai ricchi del pianeta, alle loro dipendenze guerriglieri che uccidono senza esitazione. Un self service disgustoso che non lascia respiro all’ambiente né alle popolazioni del loco. E chi prova a ribellarsi? Sparisce.Taxco de Alarcón è una di quelle zone che da secoli soffre di un’intensivo sfruttamento dei suoi giacimenti d’argento, uno dei centri minerari più importanti. In una delle sue miniera caposaldo dei narcos, all’ingresso della città, nel 2010 hanno ritrovato oltre una cinquantina di cadaveri.

Per alzare e nobilitare la lotta di migliaia di messicani, centroamericani e latinoamericani che cercano i loro cari scomparsi, è nata una campagna internazionale. Un’opera collettiva divenuta esposizione itinerante, installazione artistico-sociale dell’artista messicano Alfredo Lopez Casanova. Un progetto al quale partecipano studenti, artisti, fotografi, ed intellettuali assieme ai familiari delle persone scomparse.

Cosa rimane di tutto questo dolore e disperazione? Forse solo le impronte, le tracce di chi cammina, Huellas de la memoria. Scarpe di diversi stili e modelli, sono lì consunte a testimoniare la ricerca. Sulle suole si scrive un messaggio, poi impresso in verde speranza su tela.

In parte evocatrice dell’altra opera di forte impatto Le scarpe sulle rive del Danubio (Can Togay e Gyula Pauer, Budapest), è la testimonianza dell’ennesimo massacro perpetrato dall’uomo.

Huellas de la memoria è un’opera artistica, dove le orme dei passi piene di dolore, ma instancabili, dei familiari dei desaparecidos denunciano la situazione spaventosa della popolazione messicana e di quelle dei Paesi del Sud America. E’ solidarietà, un coro che si alza contro la violenza narco-Statale in Messico ed in Sud America. Opera collettiva che dà voce a chi non ne ha, verrà esposta nel Regno Unito, Francia, Italia, Spagna e Germania.” Il progetto è, infatti, in crescita e diffusione anche oltreoceano. D’altra parte, è un problema strutturale, tutte le vittime sono essere viventi sotto un unico cielo, senza confini di sorta.

La terra de los desaparecidos non è un luogo fisico, ma si estende su tutto il mappamondo.

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