Gli affari degli Arena-Nicoscia e Grande Aracri nell’anfiteatro Arena di Verona
Business milionario di false fatturazioni e riciclaggio, rapporti tra politica e ndrangheta.
Da Crotone a Verona, la ndrina degli Arena- Nicoscia e Grande Aracri di Cutro è stata rintracciata ancora una volta in terra scaligera. Quasi in un gioco di omonimia, il clan di Isola Capo Rizzuto ha esteso le sue attività anche nelle dinamiche del famoso anfiteatro veneto.
Il sistema è sempre quello delle cd cartiere e riciclaggio di soldi: le risultanze investigative hanno disvelato un meccanismo di false fatturazioni e sovrafatturazioni ruotante attorno ad una società ritenuta contigua alla ndrangheta e appaltatrice di servizi per ponteggi ed altri lavori. Aziende fasulle intestate a prestanome hanno dato vita a un vortice di fatture gonfiate, ricevute per lavori mai svolti e soldi che correvano da un conto corrente all’altro, finendo per rimpinguare le consorterie mafiose. Sullo sfondo, la Fondazione Arena di Verona – l’ente che gestisce appunto l’Arena – che per anni avrebbe inconsapevolmente foraggiato questo sistema, a causa dei rapporti «opachi» tra alcuni dipendenti e le ndrine.
L’inchiesta è stata condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia e dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Verona, sotto il coordinamento della Dda di Venezia. Concretizzati tre arresti: un imprenditore veronese e i due fratelli crotonesi Riillo, considerati «membri attivi» della cosca Arena-Nicoscia Grande Aracri. Obbligo di dimora e divieto di espatrio per un altro amministratore trentino di imprese cartiere intestate a terzi prestanome e funzionali al presunto giro di irregolarità fiscali. Sono accusati, a vario titolo, di emissione e utilizzo di fatture false, riciclaggio e autoriciclaggio, aggravati dal metodo mafioso e dall’obiettivo di agevolare la criminalità organizzata. Ai quattro destinatari delle misure si aggiungono altri sedici indagati, quattordici dei quali residenti nel Veronese. Le indagini avrebbero documentato anche l’esistenza di altre società ritenute vicine alla ‘ndrangheta, interessate alla realizzazione di lavori in appalti pubblici, nel settore edilizio. Gli inquirenti, al termine di complesse indagini hanno eseguito, nelle province di Verona, Mantova e Trento, il sequestro di beni per un valore di oltre nove milioni di euro. Dalle indagini sembrerebbe emergere che soltanto i flussi finanziari transitati dalla società veronese ai Riillo superano i 5 milioni.
Fulcro del business sarebbe proprio la società veronese, intorno alla quale ruotavano una serie di società sparse, tra Veneto, Trentino, Emilia Romagna e Calabria intestate allo stesso imprenditore, a persone di sua fiducia o a prestanome. Le aziende (spesso scatole vuote, senza personale né macchinari) emettevano fatture in favore delle altre ditte, per lavori mai svolti. In questo modo, attraverso il recupero dell’Iva e l’evasione delle imposte, si arrivava al guadagno illecito di milioni di euro. Disamine contabili, controlli incrociati, riscontri degli obblighi previdenziali, interpolazione con le evidenze antiriciclaggio e mappature delle cointeressenze societarie, insieme alle verifiche fiscali, avrebbero permesso di appurare elementi di contiguità con la ‘ndrangheta in svariate imprese. Alcune di queste sarebbero ancora attive e si sarebbero aggiudicate rilevanti commesse. I flussi finanziari sono diretti in Calabria, riconducibili agli ambienti della criminalità organizzata crotonese. Da una prima stima, sembra che la società veronese fatturasse un importo maggiorato di lavori a Fondazione Arena, per almeno 150-200 mila euro al mese.
E d’altra parte, era noto da tempo che attorno alla gestione dell’Arena di Verona da anni si stesse consumando un famelico banchetto. Già dalle risultanze investigative e dalle vicende giudiziarie precedenti (Operazione Jonny, proc. Taurus, proc. Isola Scaligera) si erano evidenziate le attività di un’impresa “vicina ad alcuni politici veronesi, che le assicurano importanti commesse pubbliche”, oltre alla tossica presenza di famiglie di ‘ndrangheta che della falsa fatturazione hanno fatto la loro cifra distintiva. Tuttavia, nel corso delle indagini, la Dia ha ottenuto un ulteriore riscontro. Alcuni collaboratori di giustizia hanno rivelato di aver contribuito ai guadagni delle cosche e di aver stretto importanti rapporti di amicizia tra la ‘ndrangheta e la politica di Verona. Uno dei broker del clan racconta di aver sempre operato nella città apprestando false fatture per grossi gruppi imprenditoriali. Inoltre, comprava il denaro anche dall’altro clan pure residente a Verona dei Giardino, cellula ndranghetista che fa seguito a Pasquale Arena detto ‘Nasca’, affiliata ai Grande Aracri, Arena e Nicoscia. Secondo quanto riferito, il sistema delle cartiere -utilizzato anche in altre attività- gli avrebbe consentito di fatturare oltre 250mila euro al mese, ricevendone in cambio, dagli imprenditori che fruiscono della fatturazione, il 35% per cento iva compresa.
“Nessun dorma” canta Turandot nel dramma di Puccini proprio dal palco areniano, aprendo oscuri presagi. Dalle indagini emerge che la Fondazione Arena di Verona (che non è in alcun modo indagata) dal 2012 in poi ha versato milioni di euro alla società veronese, affidandole lavori di allestimento e smontaggio di impalcature e scenografie a prezzi gonfiati. Dall’ordinanza della procura si evince che l’imprenditore agiva «con la compiacenza e complicità di alcuni soggetti interni alla Fondazione, emetteva sovrafatturazioni verso la Fondazione per i servizi prestati, ricavando in tal modo dei fondi neri». Il gip evidenzia la «centralità e apicalità del suo ruolo nel sodalizio costituito con i suoi principali collaboratori, nonché con soggetti contigui o intranei all’organizzazione mafiosa». Circostanze che, secondo il giudice, delineano la sua «massima pericolosità», analogamente a quella riscontrata nei fratelli Riillo, ai quali viene riconosciuto un ruolo essenziale «nelle condotte di riciclaggio». Dalle intercettazioni «emerge che il sistema della sovrafatturazioni è talmente collaudato, con la complicità di dipendenti della Fondazione Arena, che uno di essi riferendosi ad una fattura particolarmente generosa chiede se ci può ricavare qualcosa anche lui». Evidenze confermate anche dai collaboratori di giustizia, che avrebbero raccontato di fitti legami tra politici compiacenti, dipendenti della Fondazione e imprenditori affiliati alla ndrangheta.
In questi giorni, la giunta comunale di Verona ha formalizzato la richiesta di attivare nella città scaligera una sezione operativa della Direzione Investigativa Antimafia e il distacco presso la Procura della Repubblica di Verona di un magistrato della Direzione Distrettuale Anti Mafia (Dda). Auspicando che venga accolta quanto prima.