Pubblicato: mer, 22 Apr , 2015

Fine del mito.

Il modello Lula fallisce nella crisi economica e sociale, nella corruzione e la deriva a destra del nuovo Parlamento.

brasile_manifestazioneCrescono le proteste popolari in Brasile. Il clima di tensione sociale è generato dalle ripercussioni di manovre sul bilancio statale che tagliano i benefici sociali nei confronti dei lavoratori. L’8 marzo scorso gruppi di popolazione, organizzati dalle opposizioni tramite social network, in una decina di città hanno replicato con rumorose contestazioni al discorso televisivo con cui la presidentessa Dilma Roussef si è rivolta al paese dopo l’esplodere dello scandalo Petrobas. Domenica 15 marzo un’altra manifestazione indetta dalle opposizioni ha fatto scendere in strada, in 12 Stati, circa un milione di persone. Chi guida le dimostrazioni è in particolare il Partido da Social Democràcia Brasileira, i cui leaders sono l’ex presidente Fernando Cardoso e Aècio Neves, candidato che la Roussef ha sconfitto alle elezioni presidenziali. Nei primi giorni di aprile, per ennesime marce organizzate attraverso internet, decine di migliaia di persone hanno riempito le vie di Rio de Janeiro e di numerose altre città sempre contro la presidentessa. A Rio la marcia è partita dal lungomare di Copacabana.

Il dissenso popolare è alimentato dalla grave crisi economica e ulteriormente incrudito, negli ultimi giorni, a causa dello scandalo della società statale Petrobas. Il Supremo Tribunale Federale, infatti, ha pubblicato i nomi di 47 politici indagati per aver preso tangenti. Vi sono nella lista in maggioranza iscritti al PT, il partito governativo cresciuto all’ombra di Lula e da 12 anni alla guida del Brasile, ma anche militanti dei partiti alleati come il PMDB, nelle cui file sono esponenti il vicepresidente della Repubblica Michel Temer e i presidenti della Camera dei deputati Eduardo Cunha e del Senato Renan Calheiros. Sono indagati anche cinque ex ministri del governo della Roussef, una ex governatrice, 12 ex deputati e l’ex presidente Fernando Collor de Mello. Insomma si tratta di un’inchiesta che coinvolge una consistente fetta della politica brasiliana. Vi si configura una rete corruttiva che pesca in sei partiti, sia governativi che d’opposizione. Tra il 2004 e il 2012 si sospetta siano stati deviati fondi della società petrolifera statale per circa 3700 milioni di dollari.

Il Partido dos Trabalhadores(PT) ha assicurato che se suoi esponenti risulteranno colpevoli saranno sanzionati prima dallo stesso partito. Encomiabile intento, specie rispetto ad esempio all’Italia dove, invece, la funzione dei partiti sembra essere di difendere i corrotti anche in via definitiva, purchè contraddistinti dalle proprie casacchine. E tuttavia un partito che governa da dodici anni non può che essere considerato e ritenersi responsabile quando il sistema corruttivo è così ramificato ed efficiente, tocca livelli così alti delle istituzioni.

La Petrobas è una delle principali compagnie petrolifere del mondo e certo il capitale finanziario globale, così miserabile e povero di scrupoli, non avrebbe remore a montare o a far lievitare uno scandalo per ottenerne la privatizzazione. Ma a maggior ragione allora è dovere di chi governa fare chiarezza. Invero il PT ha finanziato le proprie campagne elettorali beneficiando delle donazioni da parte delle grandi imprese. Queste multinazionali che poi partecipano alle gare d’appalto per le grandi opere intraprese dai governi statale e federale ungono in tal modo le ruote della macchina amministrativa. E durante il lungo periodo di Lula il sistema è stato consentito grazie al controllo esercitato sulle grandi imprese statali. La corruzione ha inciso su tale sistema, uno dei tanti processi che sono stati istituiti, ha riguardato, tra gli altri, Josè Dirceu, ministro e uomo di fiducia di Lula. Il sistema politico, sia a livello centrale che locale, ha consolidato tali modalità di approvvigionamento, la prorompente crescita dell’imprenditorialità brasiliana si è giovata dell’illegalità e la disinvoltura. Il modello Lula è conseguentemente fallito nella corruzione dilagante, nel logoramento del suo strumento partitico, nello sfaldamento economico ed etico, nella deriva a destra del Parlamento. Il Parlamento eletto nel 2014 è il più conservatore dal golpe del 1964: la lobby dei militari e dei poliziotti che propugnano la difesa armata individuale è cresciuta del 30%, gli industriali possono contare su 190 membri nel consesso istituzionale, i latifondisti sono presenti con un più 33%, raggiungendo la maggioranza assoluta dei parlamentari, ben 257, mentre invece i sindacalisti sono scesi della metà rispetto a periodi migliori e possono contare su soltanto 46 rappresentanti. Settori sociali da sempre esclusi erano stati illusi di poter appartenere alle classi medie, mediante l’integrazione attraverso i consumi. Queste sono tipiche tattiche delle nuove destre, anche se in Brasile sono state sostenute grazie a politiche sociali compensatorie, in verità rese possibili dalle importazioni dalla Cina e dall’aumento dei prezzi delle materie prime. Il capitale ha goduto di una prosperità senza precedenti, mentre i lavoratori hanno visto crescere i salari minimi e l’accesso al credito. Ma non sono state fatte riforme strutturali per eliminare le cause delle diseguaglianze e per una vera giustizia sociale. Le difficoltà globali hanno fatto emergere le debolezze di struttura e cominciato a far dissolvere il mito lulista.

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