Pubblicato: Lun, 11 Nov , 2013

Detenzione e cessione di esplosivo: chiesti 3 anni per Massimo Ciancimino

Il figlio dell’ex sindaco mafioso disse ai pm di avere ricevuto il tritolo da una persona che voleva spingerlo a non collaborare più all’indagine sulla trattativa e di averlo nascosto in giardino
 
massimo-ciancimino

Massimo Ciancimino

I pm di Palermo Paolo Guido e Nino Di Matteo hanno chiesto la condanna a tre anni di reclusione per Massimo Ciancimino, accusato di detenzione e cessione di esplosivo. Due, sono invece gli anni chiesti per Giuseppe Avara, cui Ciancimino avrebbe consegnato una parte dei candelotti di tritolo, che gli sarebbero stati dati a scopo intimidatorio, perché se ne disfacesse. La vicenda nasce dall’arresto per calunnia del figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, ad aprile 2011.

In quell’occasione Ciancimino rivelò ai pm di avere ricevuto il tritolo da una persona che voleva spingerlo a non collaborare più con gli inquirenti in merito alle indagini sulla trattativa Stato-mafia e di averlo nascosto nel giardino della propria abitazione. Tale versione fu però cambiata dopo che gli inquirenti scoprirono che fu lo stesso Ciancimino, testimone chiave di tale processo, ad aver trasportato l’esplosivo da Bologna (città dove oggi risiede insieme alla famiglia) a Palermo.

I pm, nella requisitoria, pur riconoscendo il contributo investigativo («parzialmente utile e coraggioso») dato da Ciancimino alle inchieste, hanno sottolineato come sulla vicenda del tritolo l’indagato sia stato reticente, evidenziando «una scarsissima collaborazione e un approccio asettico alle indagini». «L’atteggiamento processuale del teste – ha detto il pm Di Matteo – non ci ha consentito di passare dalle ipotesi (di minacce) alla dimostrazione processuale e quindi alla certezza probatoria per valutare più compiutamente l’intera vicenda e, infine, di dimostrare autori e mandanti della minaccia».

«Ciancimino si è trovato nel guado – continua il magistrato – e ha scelto di rimanerci. Sin dall’inizio, da quel drammatico interrogatorio a Parma, non c’è stata da parte sua una piena collaborazione e questo nonostante sia lui che la sua famiglia fossero chiaramente esposti al pericolo. Perché non ha denunciato subito l’episodio ai magistrati, o ai carabinieri o, persino, ai poliziotti che si occupavano della sua sicurezza? Anche quando rende la dichiarazione, continua a rimanere nel guado, “costretto” a cambiare versione e a non fornire il nome di chi ha messo quell’esplosivo».

I pm non credono verosimile che Ciancimino non conosca l’identità precisa dell’autore dell’atto intimidatorio nei suoi confronti, ma che – al contrario – non voglia rivelarlo per paura di ulteriori ritorsioni. Il soggetto che fa tanta paura al figlio di don Vito era stato inizialmente da lui indicato con i nomi di “Giancarlo Rosselli” o “Carlo Rossetti” e si tratterebbe di un uomo dei Servizi legato ad ambienti istituzionali, lo stesso che, tra l’altro, gli avrebbe fornito la documentazione in cui si accostava il nome dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro a un fantomatico agente dei Servizi protagonista della trattativa Stato-mafia. Documentazione poi risultata falsa e che era costata a Ciancimino il reato di calunnia e il conseguente arresto. Ed è proprio sull’identità di questo ambiguo personaggio, ma dall’evidente ruolo fondamentale nella trattativa, che i pm stanno cercando di indagare.

Ad ascoltare la requisitoria di Di Matteo e a sostegno di Massimo Ciancimino erano presenti oggi in aula, nell’udienza del processo col rito abbreviato, anche Salvatore Borsellino (fratello del giudice ucciso in via D’Amelio) insieme ad alcuni rappresentanti delle “Agende Rosse” venuti da diverse parti d’Italia; Riccardo Lo Bue, esponente dell’associazione universitaria “ContrariaMente” e la giornalista tedesca Petra Reski, nota per le sue opere di denuncia della criminalità organizzata.

L’udienza è stata rinviata a martedì 19 novembre per la replica delle difese.

 

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