Pubblicato: mar, 29 Ott , 2013

Bonetti: basta con i numeri chiusi nel nostro Paese, alimentano illegalità e nuove forme di mafie

L’avvocato dell’U.d.U., Michele Bonetti, parla senza freni del mondo universitario in un’intervista esclusiva al nostro giornale 

Avvocato Bonetti ci spiega brevemente il numero chiuso?

Avv. Michele Bonetti

Avv. Michele Bonetti

Ogni anno i ragazzi sono alle prese con un test d’accesso per entrare all’università, se non lo si supera non si potrà mai studiare. Inizialmente il problema doveva riguardare Medicina, Odontoiatria, Architettura, Veterinaria e Scienze della formazione, ma poi il fenomeno in qualche anno si è esteso a macchia d’olio. Prima Psicologia, poi Farmacia, Ingegneria e ora siamo arrivati anche ad Economia e Lettere. Oggi l’università italiana è a numero chiuso o come alcuni dicono “programmata”; per entrare devi passare un test, se non ce la fai rinunci o puoi trovare altre strade, alcune corrotte, altre lecite. Tale sistema, giusto o sbagliato che sia, è illegale: molti di questi corsi a numero chiuso non dovrebbero essere tali. Basti pensare che in alcuni casi, l’accesso all’università è condizionato dal superamento di un test anche quando ci sono meno aspiranti dei posti messi a bando e che nelle università, tutte, il test è a pagamento. Ci sono leggi che vietano tutto ciò, ma chi dovrebbe vigilare non controlla.

Giustissimo criticare le limitazioni agli accessi universitari che impediscono il diritto allo studio garantito dalla nostra costituzione, ma il posto per tutti c’è?

Prima della legge sul numero chiuso del 1999 non c’era il numero chiuso. Allora le iscrizioni a Medicina superavano le 100.000 unità, a volte si arrivava a 140.000, oggi invece siamo intorno ai 10.000 e vi assicuro che le aule non si sono “ristrette”. Tali limitazioni dei posti ci spingono ad importare medici dall’estero perché oggi a causa del numero chiuso non ci sono più medici e altre categorie di professionisti. Il sistema è a mio avviso al tracollo, i nostri ragazzi vanno a studiare all’estero e i nostri Atenei “sbarrano” gli ingressi per poi aprire in Albania e altrove dei Poli universitari, usufruendo di agevolazioni e sgravi che lo stesso Ministero dell’Istruzione concede a fronte, invece, di tasse molto alte. In tutto ciò conviene che i posti in Italia siano pochi e a decidere quanti pochi siano sono anche gli stessi Ordini Professionali che hanno un precipuo interesse a limitare la concorrenza. Purtroppo il sistema per quanto ingiusto è previsto dalla legge, anche se l’Antitrust ha più volte denunciato questo scempio. Come Avvocato del Sindacato degli Studenti, più ho approfondito le mie indagini sulla materia, più sono rimasto sconvolto dai suoi paradossi e dagli interessi che vi gravitano intorno: Atenei privati, corsi di preparazione a pagamento, strutture che portano all’estero i ragazzi chiedendo somme che si aggirano intorno ai 50.000 euro e tanto altro. Abbiamo bisogno di un’inversione radicale e la soluzione non è far entrare i ragazzi con il bonus per quanto giusto sia.

Bonus maturità, ci spieghi cosa è successo e cosa succederà agli studenti con il bonus? 

Di fronte a tutte queste problematiche che vi ho appena accennato il Governo dei “tecnici”, nel penultimo giorno del suo mandato, ha pensato di risolvere la questione con l’istituzione di un “bonus maturità”, ovvero un tot di punti da assegnare agli studenti aspiranti matricole dei corsi a numero chiuso in virtù del voto di diploma. Nel giro di pochi mesi la normativa è stata fatta e disfatta per quattro volte, prima con un decreto del Ministro Carrozza, poi con un Decreto Legge che cambiava le regole in corsa, dopo che gli studenti si erano cimentati nella prova.

In tal modo sono stati lesi tutti gli studenti, sia quelli con bonus forti del loro tesoretto, sia quelli senza che, concorrendo con chi già poteva contare su punti in più, hanno rischiato il tutto per tutto, rispondendo anche alle domande meno certe, andando incontro alla decurtazione prevista per le domande errate.

Alla fine è arrivato l’emendamento della Commissione Cultura che rimette virtualmente il bonus.

In perfetto stile U.d.U. abbiamo avuto sempre una posizione netta sul bonus; siamo contro la cultura a punti e a test e il bonus ne è una rappresentazione che non può essere avallata, in quanto forma di un sistema a numero chiuso. A parità di voto di diploma, e stiamo parlando di voti di maturità eccellenti come ad esempio 98/100, in base al calcolo dei percentili, alcuni studenti acquistavano punti bonus, altri no: il tutto dipendeva dal liceo frequentato. Perciò solo ab origine il sistema del numero chiuso era inaccettabile per come congeniato e se portato avanti avrebbe portato ad una vittoria in sovrannumero per tutti i nostri ricorrenti. Da qui la netta e iniziale opposizione al bonus per far cadere tutto il sistema. L’Unione degli Universitari è un sindacato a tutela degli studenti e il nostro obiettivo è metterli tutti dentro, con bonus e senza bonus; abolita o cambiata la normativa muta solo la prospettiva, ma l’obiettivo è sempre lo stesso.

Cambiano le regole in corsa durante la prova con l’abolizione del bonus e alla sua re-istituzione, perché secondo lei questa scelta da parte del ministero?

Il giorno del test aspettavamo un Consiglio dei Ministri, ma dalle dichiarazioni rese al quotidiano La Repubblica dal Ministro Carrozza sapevamo che avrebbe lasciato il bonus per quest’anno, abolendolo dal prossimo anno. Poi il colpo di scena: abolizione del bonus all’ultimo momento con effetto immediato anche sulle prove già concluse. Il testo normativo lascia intendere la concitazione della discussione avvenuta durante il Consiglio dei Ministri, difatti è completamente “sballato”. Si legge  “l’abolizione del bonus non si applica agli esami già conclusi” e i test si erano conclusi.

Da qui misteriosamente il testo del Consiglio dei Ministri è stato modificato e corretto dopo 5 giorni come si evince dalla pubblicazione del testo in Gazzetta Ufficiale; eppure il Consiglio dei Ministri non si è riunito, né ha approvato il nuovo testo. C’è una mia inchiesta amministrativa sul punto, vorrei un po’ di chiarezza e anche un po’ di trasparenza. In questa situazione l’esito dei nostri ricorsi mi sembrava scontato: è noto a tutti che una norma che cambia le regole durante un concorso già terminato sia incostituzionale e per questo gli esperti del Governo e la Commissione Cultura hanno poi rimesso il bonus o se si preferisce abilito l’abolizione del bonus. Ripeto è un diritto di questi ragazzi entrare: gli studenti avevano subito un furto di futuro, ma ora, noi dell’Udu, dobbiamo pensare a tutti gli altri che da questa situazione di caos possono trarne benefici.

Quali scenari si aprono?

Molteplici, per alcuni delle vere e proprie praterie. Il messaggio che è passato è che grazie alla Commissione Cultura entreranno tutti quelli col bonus, ma è del tutto falso: per molti al furto si unirà la beffa. La Commissione ritiene di far passare quelli che col bonus erano dentro alla prima pubblicazione della graduatoria del 30 settembre 2013 ovvero pochissimi e non duemila come molti dicono…

Considerate che le graduatorie scorreranno fino a gennaio 2014 e che tutti gli studenti che oggi entrerebbero col bonus rimarranno fuori. Siamo alla quarta correzione del Governo e ancora non hanno centrato la questione.

Poi abbiamo tutti i “laureati”, persone con due o tre lauree a cui non danno neanche un punto, i ragazzi che sono capitati in scuole dove hanno preso 99 al voto di maturità e a cui non danno punti etc. Insomma ritorniamo alla situazione di partenza in cui denunciavamo l’incostituzionalità e che li ha indotti al primo errore. Per questo motivo l’U.d.U. riaprirà i termini per il Maxi ricorso dando a tutti l’opportunità di partecipare.

In questa partita a scacchi qual è il vostro obiettivo?

Non la ritengo una partita a scacchi, l’unico soggetto che sta muovendo le pedine e giocando con i nostri ragazzi è il Ministero; noi stiamo prendendo solo delle contromisure rispetto ad una classe politica senza preparazione e confusa. L’obiettivo è da sempre uno solo e non cambierà: l’abolizione del numero chiuso, una stella polare per un’associazione che non ha mai cambiato nome e simboli e che è sempre stata sempre coerente con le proprie idee. Processualmente chiediamo quello che è possibile devolvere alla Magistratura, ovvero la sospensione del numero chiuso e l’ingresso di tutti i ragazzi, ricorrenti e non. Se cade la normativa del numero chiuso, la legge 264 del 1999 è inattuata e l’accesso agli Atenei è libero, come ai tempi passati. Non si tratta di essere pro o contra bonus, per una volta per tutte bisogna scegliere di essere a favore o contro il numero chiuso, a favore o meno di una cultura a punti o di una cultura con la “C” maiuscola che permetta la più ampia diffusione della scolarizzazione e che riduca le differenze sociali. Quest’anno siamo di fronte ad un’occasione per cambiare le regole del numero chiuso, non dobbiamo mollare la presa.

La Commissione Cultura ha votato all’unanimità o quasi, cosa ne pensa di queste nuove convergenze e delle dimissioni del Presidente Galan dopo l’approvazione dell’emendamento?

La misura del bonus era insufficiente prima e ora lo è ancora di più. È giusto far entrare i ragazzi con il bonus e la vittoria è frutto dei nostri ricorsi e della imminente sconfitta del Governo, ma non basta. Mi aspettavo molto di più sia dalla maggioranza allargata, che dalla stessa opposizione; non hanno accontentato né tutti quelli col bonus, né quelli senza. Per quanto concerne le dimissioni del Presidente della Commissione Cultura, il Dott. Galan, non penso che le stesse avranno delle ripercussioni sul provvedimento. Ricevo tante chiamate di ragazzi costretti a iscriversi al San Raffaele, alla Cattolica o altrove le cui famiglie hanno pagato anche 30.000,00 euro (tra spese di tasse, contratti d’affitto etc.) trasferendosi a Milano o in altri luoghi. Oggi col bonus possono ritornare all’università pubblica e alla loro città natale, ma chi restituirà loro tutti i danni che hanno subìto?

Tutti lo pensiamo, nessuno lo dice, coloro che hanno firmato la riforma sull’emendamento del bonus, sono le stesse persone che lo avevano abolito e da cui è partito tutto.

Ma è possibile abolire il numero chiuso, non lo impone l’Europa?

E’ l’ennesima fiaba del Re Nudo del nostro Paese. Le Direttive Europee dicono solo che ci devono essere per le Professioni degli standard minimi qualititativi, sono direttive, ovvero l’Europa impone solo di raggiungere i fini con dei mezzi che lascia agli Stati membri. Alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, sostengono che per raggiungere questi standard qualitativi l’unico strumento è il test per l’università, altri invece lasciano l’accesso libero e ritengono che la selezione per raggiungere gli standard qualitativi debba essere fatta nel corso degli anni universitari con gli esami. È chiaro che se in Europa esiste il numero aperto, vuol dire che l’Europa non lo impone, a chiarirlo è la Corte di Giustizia nel caso Bertini, una sentenza che, tra l’altro, proveniva dall’Italia.

Numero chiuso e mafia accademica, ci spiega il collegamento?

Uno dei principali filoni parte dall’inchiesta giudiziaria nota alle cronache col nome, Panta rei. Un operatore forestale, De Maria era stato inquisito per associazione mafiosa e condannato a undici anni di reclusione. Il suo nome compare in quell’inchiesta Panta rei che nell’anno 2000 aveva confermato, per i due decenni precedenti, il condizionamento da parte della ‘ndrangheta all’interno dell’Università di Messina. A quel tempo, l’Antimafia aveva già il fondato sospetto che l’Onorata Società controllasse buona parte della scuola italiana del Meridione e non solo del Meridione. Indagava sui presunti rapporti tra alcuni docenti dell’ateneo messinese e la spietata cosca di don Peppe Morabito. I trentasette imputati erano stati condannati non soltanto per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti all’interno dell’università, ma anche per appalti truccati, compravendita di esami e perfino per l’omicidio del professor Bottari, professore associato alla facoltà di Medicina del Policlinico universitario di Messina. Matteo Bottari fu ucciso con una fucilata in faccia, la sera del 15 gennaio 1988, mentre faceva ritorno a casa e di quell’omicidio era stato sospettato un collega, il professor Giuseppe Longo, primario di Gastroenterologia, arrestato per associazione di stampo mafioso e accusato di essere il referente della cosca all’interno dell’ateneo. L’operazione Panta rei svelò che l’infiltrazione mafiosa nell’ateneo deteneva il controllo di un vero e proprio mercato delle lauree, con tanto di vendite di esami e intimidazioni ai docenti. Lauree in vendita, dieci milioni per un titolo di studio, settantanove avvisi di garanzia partiti nel 1998, tra docenti e studenti. Si comperavano le lauree semplicemente perché qualcuno le vendeva e ci lucrava. Ma non solo. Si poteva condizionare l’accesso alle facoltà a Numero chiuso. Da un’intercettazione telefonica acquisita agli atti dell’inchiesta, a un interlocutore inviatogli da Domenico Oppedisano, capo assoluto della ‘ndrangheta, che gli aveva chiesto aiuto per il figlio intenzionato a iscriversi a Medicina, Pelle domanda se preferisce studiare a Messina o a Catanzaro, potendo egli operare in entrambi gli atenei. Pelle, detto ‘u tiradrittu, capo della cosca di San Luca, era così potente da decidere chi sarebbe entrato a Medicina nelle due città e aveva già fatto laureare decine di studenti dell’Università di Messina. Il coinvolgimento delle associazioni di stampo mafioso negli affari degli atenei, il loro decidere chi entra e chi no, il mercificare lo studio, gli esami, le lauree stesse, coinvolge altri atenei italiani. In alcuni si tratta di ‘ndrangheta, altrove è comportamento simil – mafioso di gruppi di potere che con la mafia non sembrano aver direttamente a che fare, ma il risultato è identico e ci autorizza a parlare, ad esempio, di mafie accademiche. Scandali che rivelano il profondo degrado morale nel quale sono da tempo precipitate numerose università italiane. Agevolando qualunque tipo di disonestà, il Numero Chiuso e gli effetti che produce si ritrovano al centro di una vera e propria questione morale, che non può essere affrontata soltanto dalla Magistratura, ma che richiede allo Stato d’intervenire in prima persona per azzerare prontamente la piaga della chiusura, e alla parte sana dell’università di far fronte comune contro questo tipo incostituzionale di sbarramento.

 

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