Pubblicato: sab, 10 Giu , 2023

Bankitalia, diamanti e mafia: licenziamento definitivo per Bertini

Destituito il funzionario che aveva denunciato la truffa dei diamanti negli istituti di credito

Carlo Bertini era a capo del team ispettivo di Banca d’Italia, è il funzionario che ha indagato senza tregua su uno dei più grandi scandali che ha travolto alcuni istituti di credito italiani. Con il suo team era incaricato di controllare MPS, ma la truffa dei diamanti coinvolgeva molte altre banche. Al 7 giugno 2023 è arrivato l’ultimo provvedimento che lo riguarda e conferma la sua destituzione da Bankitalia. Già in precedenza il funzionario era stato destituito per aver svelato segreti d’ufficio. L’atto, però, era stato dichiarato illegittimo dal TAR del Lazio, in quanto al Bertini non era stata data la possibilità di essere assistito da un legale. Tuttavia, il reintegro nel suo posto di lavoro non è mai avvenuto. Bankitalia lo ha sospeso nuovamente per gravi motivi e infine licenziato definitivamente. Il Bertini aveva esperito tutti i gradi gerarchici per proseguire nella segnalazione della truffa, arrivando fino al governatore della Banca d’Italia e alla BCE. Ma tutto rimaneva fermo e sotto traccia. Per lui le cose si sono complicate quando si è rivolto alla procura e alla stampa.

Il Bertini aveva colto la gravità delle vicende che si snodavano tra i corridoi dorati delle banche, ma più si ostinava a denunziare e più veniva fatto rimbalzare indietro. E’ stato isolato, screditato, attaccato e minacciato, demansionato, sottoposto a perizie psichiatriche, sospeso senza stipendio e, a luglio 2022, licenziato. Invitato più e più volte, con toni spesso inequivocabili, ad abbandonare l’argomento, il funzionario si è infilato in una sfida solitaria contro i poteri forti. Nel frattempo, lo scorso 10 marzo, in ritardo di diversi anni, il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato in esame definitivo il Decreto Legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 relativa alla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione, comunemente nota come Direttiva Whistleblowing. Ma nemmeno la normativa UE volge in soccorso al Bertini, che viene licenziato. Due volte. Nella prima scivolano su un vizio procedurale, ma la seconda è definitiva. Ed era evidente fin da subito che la strada della denunzia lo avrebbe lasciato fuori dai giochi, d’altra parte per Bankitalia sembra essersi rotto definitivamente quel rapporto di fiducia indispensabile per proseguire il rapporto lavorativo.

A ben vedere, le risultanze investigative hanno accertato che l’affaire della vendita a prezzi gonfiati di preziosi tramite i circuiti bancari andava avanti indisturbato da diversi anni, con il placet di tutti. Le indagini si sono diramate tra più procure e coinvolgono centinaia di imputati, oltre alle due società broker di preziosi, gli istituti di credito, intermediari, eminenze grigie, fino ai più alti gradi delle istituzioni.

Del tema si è ampiamente occupato il gruppo di Report inizialmente condotto dalla grande Milena Gabanelli a cui poi le è succeduto l’immenso Sigfrido Ranucci, con il pregiato lavoro di Emanuele Bellano che ha seguito tutti gli sviluppi in questi anni (“Occhio al portafoglio” del 17/10/2016, “Un diamante è per sempre” del 10/06/2019, “The whistleblower” del 13/12/2021). Già nel loro primo servizio risalante al 2016, infatti, si denunciava la vendita di preziosi tramite gli istituti bancari per il tramite di due società broker a prezzi vertiginosamente alti: l’inviato documentava come mezzo carato pagato oltre 7mila euro fosse poi realmente valutato circa 1.700 euro. In quell’occasione si chiedevano spiegazioni al referente di Idb, Claudio Giacobazzi, il quale però driblava senza dare risposte. Emerge anche il nome di Mario Baldassari, ex parlamentare ed ex viceministro dell’economia, all’epoca presidente del Centro Studi Economia Reale, ma anche consigliere di amministrazione proprio di Dpi. Nelle sue apparizioni televisive assicurava sul grande rendimento dei diamanti esortando questo tipo di investimento, “nel lungo periodo il diamante mantiene il valore capitale e dà un rendimento costante ne tempo”, diceva indicando grafici creati dalla stessa Dpi. E già nel 2016 venivano raccolte testimonianze di dipendenti e funzionari degli istituti di credito, che raccontavano le pressioni subite per la vendita di preziosi, pena il trasferimento per chi non raggiungeva gli obiettivi richiesti. All’interno delle filiali delle banche di tutta Italia c’erano anche contest e classifiche a premi, con smartphone e incentivi vari. Per i top manager, invece, le risultanze investigative hanno documentato importanti regalie che sarebbero state offerte dalle due società broker Idb e Dpi, da alloggi e pernottamenti di lusso, vacanze in centri benessere, ma anche reperti archeologici e oggetti di valore. La commissione che la banca prendeva dalla vendita di preziosi era quella maggiormente proficua e immediata. Un business vertiginoso di milioni.

Il collocamento di diamanti in banca come “beni di investimento” sarebbe stato cavalcato a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Gli istituti piazzavano attraverso la propria rete i diamanti venduti dai broker ricevendo in cambio commissioni dal 10% al 24,5% dell’importo totale. Negli ultimi 15 anni le banche attraverso Idb e Dpi hanno venduto pietre ad un prezzo che successivamente è risultato di molto superiore (nell’ordine medio variabile dal 40% al 70%) rispetto al reale valore di mercato. L’operazione veniva spacciata come un investimento sicuro, senza rischi, redditizio e facilmente liquidabile (classificabile come un bene rifugio). Le società broker, al fine di offrire maggiore ufficialità e nel contempo pubblicizzare il prodotto, pubblicavano a pagamento le quotazioni delle pietre su importanti quotidiani di economia e finanza oppure rilasciavano, tramite la banca di appoggio e a chi aveva già acquistato il bene, delle valorizzazioni della pietra, senza però specificare che si trattava non di listini ufficiali, bensì di valutazioni, quotazioni e stime effettuati dalla stessa società. Allo stesso modo pubblicizzavano come investimento serio, affidabile, duraturo e con rendita costantemente crescente i loro prodotti, sia a mezzo internet che e soprattutto con materiale informativo lasciato negli istituti bancari, canale quest’ultimo attraverso il quale Idb e Dpi riuscivano a vendere la quasi totalità dei loro diamanti (circa il 90%). Il risparmiatore veniva indirizzato dal proprio istituto bancario di fiducia all’acquisto dei preziosi, ingenerando così nel medesimo l’ovvia convinzione di investire i propri risparmi in un prodotto venduto dalla banca stessa. Erronee indicazioni venivano date anche nel caso in cui il cliente avesse voluto rivendere, non esistendo di fatto alcuna certezza sulla possibilità che le due società broker riuscissero a piazzare i preziosi e quindi a tornare la cifra investita.

Già a settembre 2017 l’Antitrust aveva sanzionato le modalità di offerta dei diamanti “gravemente ingannevoli e omissive” con listini autoprodotti molto più alti dei valori di mercato, multe confermate anche dal Tar del Lazio: 9,35 milioni al canale Idb (2 milioni al broker, 4 a UniCredit e 3,35 a Banco Bpm), 6 milioni all’altro broker Dpi e al suo canale (un milione alla società, 3 a Intesa Sanpaolo, 2 a Mps). All’epoca erano già state sanzionate anche le modalità omissive ed ingannevoli di vendita e violazione dei diritti dei consumatori, in particolare, proprio in relazione al materiale promozionale l’Autorità rilevava che si rappresentavano in modo ingannevole ed omissivo: a) il prezzo di vendita dei diamanti; b) l’andamento del mercato e l’aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti; c) la facile liquidabilità e rivendibilità dei preziosi (quando invece l’unico canale di rivendita attraverso cui avrebbero potuto essere realizzati i guadagni prospettati era rappresentato dalle stesse società DPI S.p.A. e IDB S.p.A.); d) la qualifica di leader di mercato, impiegata senza ulteriori precisazioni, al fine di conferire un maggiore affidamento alla propria offerta. Proprio i provvedimenti all’AGCM hanno spinto anche la Procura di Milano ad indagare sulla vicenda, che ha contestato a centinaia di indagati e 7 società i reati di truffa aggravata, riciclaggio e autoriciclaggio,  corruzione fra privati oltre che ostacolo alle funzioni di vigilanza. Nel 2021 anche il Consiglio di Stato ha confermato la responsabilità delle Banche e delle società broker nella vendita dei diamanti da investimento.

Al 31 marzo 2023 MPS scrive che per il suo istituto di credito sono pervenute più di 12mila richieste per un controvalore di circa 317 milioni. Le pratiche ad oggi concluse sono state complessivamente pari a 316milioni, e rappresentano ben il 99,7% del volume complessivo delle segnalazioni di offerta dei diamanti della capogruppo. Tuttavia, le pietre ritirate sono iscritte per un valore pari a 68.6 milioni. L’Istituto di credito, quindi, ricompra dai propri clienti i preziosi a circa 320 milioni, ma li valuta 70 milioni. La differenza, quasi 250 milioni, il quadruplo rispetto al valore di mercato reale. A maggio 2018 nella nota informativa interna, il consiglio di amministrazione di MPS dava atto della situazione, congiuntamente all’elaborato di revisione di Deloitte. Le irregolarità sarebbero state note almeno già dal 2016, quando erano giunte le prime segnalazioni e un esposto anonimo metteva nero su bianco l’evento truffaldino in atto, informandone il Servizio Tutela Clienti della Vigilanza, la filiale di Firenze di Banca di Italia, la Procura della Repubblica, nonchè l’ufficio reclami di MPS.

Dalle risultanze investigative emerge come l’enorme flusso di liquidità di Idb e Dpi venisse poi veicolato verso altre società controllate, per lo più con sede in Svizzera e Anversa, con reinvestimento anche su altri preziosi. Da Anversa e dai circuiti bancari grandi liquidità prendono direzioni internazionali.

Le due società broker hanno venduto oltre 1,3 miliardi di preziosi per il tramite dei circuiti bancari. Un presunto ingiusto profitto ai danni degli investitori quantificato in oltre 500 milioni di euro.

Intermarket Diamond Business (Idb), che fu il maggior broker nazionale di diamanti, ha visto suicida il suo patron ed è stata dichiarata fallita. I passati vertici di Idb sono finiti sotto indagine per associazione a delinquere, circonvenzione di incapace, falso, peculato e sequestro di persona. I magistrati hanno indagato anche sui trasferimenti di quote societarie intestate attraverso un trust alla fondatrice di Idb, Antinea Massetti De Rico (che era in stato vegetativo dal 2011) e a suo marito, Richard Edward Hile, entrambi deceduti nel 2017. Tra aprile e maggio 2018 gli inquirenti avevano sequestrato conti correnti e azioni conferite all’Hile Trust per 70 milioni. Dalle risultanze investigative è emerso come Idb fosse già stata oggetto di tentativi di infiltrazione della ndrangheta.

Diamond Private Investment (Dpi) è sempre stata il fulcro centrale nel business diamanti. Seduto nel cda della Dpi c’era infatti Mario Baldassari, all’epoca senatore del PdL e presidente della Commissione Finanze. Baldassari amico di Alessandro Profumo che in quegli anni era ai vertici di Mps. Con l’amicizia di Baldassari, Maurizio Sacchi titolare della Dpi, entra dunque in accordi con Profumo e Fabrizio Viola di Mps. Documenti e contest interni per spingere la maggior vendita di preziosi sarebbero stati firmati proprio da loro, ma la banca smentisce che i dirigenti ne fossero informati. Dunque la compravendita sarebbe stata pianificata dai manager del retail. Dalle risultanze investigative emerge che il sistema di vendita dei damanti Dpi era stato ideato e attuato niente meno che da Massimo Santoro, il quale prima di essere presidente di Dpi, era stato per trent’anni un alto dirigente di Bankitalia, con il ruolo di direttore centrale dell’area vigilanza creditizia e finanziaria, il dipartimento che si suppone controlli eventuali truffe creditizie ai danni dei clienti. Dal 2013 al 2017, in soli 4 anni Mps e Dpi hanno piazzato oltre 340 milioni di euro in diamanti, con commissioni per Mps del 15%, pari a 42 milioni di euro.

Nel 2020 è stato arrestato Maurizio Sacchi, titolare della Dpi spa, accusato di autoriciclaggio. L’indagine nel febbraio 2019 aveva portato al sequestro di beni per oltre 700 milioni, nonché nel gennaio 2020 al sequestro di quote societarie e attività finanziarie per circa 34 milioni di euro. Le indagini hanno consentito di ricostruire una complessa operazione di riciclaggio, “strutturata” con il contributo di un imprenditore operante nel settore finanziario per occultare, attraverso l’interposizione di società operanti nel Centro Nord Italia nei più diversificati settori economici, parte dei proventi della truffa realizzata ai danni dei risparmiatori. Secondo quanto sostenuto dalla Procura di Roma, Sacchi avrebbe agito in concorso con altri soggetti, utilizzava la Dpi spa «per commercializzare diamanti a prezzi esorbitanti, in molti casi con la complicità delle banche – si legge nel capo d’imputazione – attraverso le quali i prodotti venivano pubblicizzati in maniera ingannevole». Poi, sempre stando all’accusa, avrebbe reimpiegato una parte dei profitti delle truffe nell’acquisto di nuovi diamanti e trasferendo parte del guadagno dalla Dpi ai conti corrente delle società controllate Diamond and Gold Distribution spa, Magnific spa ed altre.

Congiuntamente a Sacchi, viene indagato anche Nicolò Maria Pesce, il quale ha patteggiato una condanna per riciclaggio a quattro anni e quattro mesi. Dalle risultanze investigative emerge che Pesce ha messo in atto operazioni di riciclaggio del denaro ottenuto dai risparmiatori truffati attraverso le operazioni di investimento sui diamanti. Pesce, amministratore unico di Kamet Advisory srl, avrebbe dunque reinvestito anche per il tramite di altre sue società scatola, oltre 20milioni ricevuti da Sacchi. Gli investimenti sono stati diversificati, dalle sterline d’oro ai ristoranti, immobili, cave di marmo, auto di lusso, yachts. Pesce avrebbe trasferito anche 300mila euro della Dpi ricevuti da Maurizio Sacchi, a Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia, attualmente imputato nel processo Rinascita Scott. Per l’accusa è confermato il suo “concreto, specifico e volontario contributo teso a rafforzare il clan Mancuso nella consapevolezza di favorirne un programma criminoso, travalicando i limiti del mandato difensivo, così come resta provato il suo aver riferito informazioni top secret alla ndrangheta“. Pittelli, avvocato e amico di Sacchi, ma da trent’anni anche difensore delle due più grandi famiglie di ndrangheta, i Piromalli e Mancuso. Dalle risultanze investigative emerge che Sacchi ha inviato almeno altre tre tranches di soldi al Pittelli, per un valore di oltre un milione di euro. Con quei soldi Sacchi e Pittelli avrebbero dovuto avviare un investimento immobiliare in Calabria. La Baia di Copanello sarebbe stata perfetta per costruire un resort di lusso. Per agevolare il sogno imprenditoriale, Pittelli si rivolge al massone Leo Taroni, grande maestro del rito scozzese, ma anche all’amico e banchiere Fabrizio Palenzona, presidente di Prelios, che avrebbe richiesto uno scambio di favori, do ut des, tra cui la vendita del villaggio Valtur, nelle terre dominate dai Mancuso. Pittelli e Mps, anche in un altro filone di inchiesta, con ombre e oscuri presagi. Dalle intercettazioni acquisite dagli inquirenti, il Pittelli parlava di investimenti del business diamanti fumati in poche ore, delle condizioni critiche in cui versava Mps e dell’uccisione di David Rossi avvenuta nel 2013. Il braccio destro dell’allora Giuseppe Mussari, Rossi era a capo della comunicazione di Mps. Fu suicidato, volato giù da una finestra e lasciato morire in un vicolo dietro Rocca Salimbeni. Dalle risultanze investigative sembravano emergere contatti obliqui tra Mps, la ndrangheta e lo Ior. Si parlò anche di ricatti, coinvolti istituzioni, uomini delle forze dell’ordine e personalità varie. Festini ambigui, a cui avrebbe partecipato perfino Matteo Messina Denaro, come referente di cosa nostra. Ma per anni si disse che David Rossi si suicidò e non si fece mai chiarezza su quanto accaduto. Forse Mussari all’epoca della morte di Rossi non conosceva Pittelli, ma oggi ritornato in Calabria e al suo impiego come avvocato, sembra che collabori proprio con il Pittelli. Recentemente l’ex n.1 di Mps è apparso nelle aule di tribunale nel team legale di Salvatore Staiano, amico e legale del Pittelli, quale difensore nel processo Andromeda per l’imprenditore del centro commerciale Due Mari.

Il business milionario dei diamanti ha raccolto interesse frusciante in molteplici direzioni, riciclaggio e autoriciclaggio, ma anche politica, banche e alta finanza fittamente intrecciate, cui si aggiungono senza timidezza mafia e massoneria. Carlo Bertini è stato destituito per “aver denigrato Istituzione e colleghi, per aver infastidito un membro del Direttorio, e soprattutto per aver violato il segreto d’ufficio”, per essersi rivolto alla Procura e alla stampa. Si contesta, dunque, al Bertini un danno reputazionale di Bankitalia, non considerando che il primo discredito dell’Ente derivi dalle stesse operazioni fraudolente delle banche a danno dei clienti e dalla omessa vigilanza. Bertini è il primo Whistleblower di Bankitalia. Il primo ad aver “spifferato” cosa succede in un colosso tanto riservato come la Banca d’Italia. Il primo e probabilmente anche l’ultimo, visto il rapido licenziamento.

Curioso, sono molto più numerosi i collaboratori di giustizia, che si dissociano dalle mafie e il cui aiuto è prezioso per capire il funzionamento interno delle consorterie, rispetto ai pochi, pochissimi Whistleblower che sfidano l’omertà che avvolge gli enti pubblici. E a pensarci meglio, di pentiti di politica, alta finanza e istituzioni, ecco di quelli non ne esiste nemmeno uno.

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