Pubblicato: lun, 26 Apr , 2021

ACQUE MINERALI

Perché queste risorse in concessione?

     Quando si affronta il tema in questione dobbiamo aver presente che stiamo trattando di una vera e propria industria, un comparto per meglio dire sempre più in espansione: attraverso ben 82 aziende (di cui 6 straniere) ed un fatturato di 3,8 miliardi di Euro l’Italia si pone come terzo operatore mondiale per esportazione. Si, “esportazione” di acque minerali, ovviamente a fini di lucro, verso altri paesi, di un bene naturale preziosissimo presente nel nostro sottosuolo.

L’argomento che andiamo ad affrontare ha una genia lontana e muove certamente da contesti assai differenti da quelli attuali. Tuttavia, proprio adesso, anche alla luce dei nuovi bisogni che si sono delineati, è arrivato il momento in cui rimettere in discussione l’attuale sistema concessorio dello sfruttamento della risorsa idrica. Tale scelta, peraltro, anche alla stregua del Referendum del 2011 sull’Acqua per mezzo del quale gli italiani hanno palesato il proprio pensiero circa la risorsa idrica, si raffigura come giusta e prioritaria da affrontare. Naturalmente si tratta di valutazioni politiche che riguardo all’articolato disposto delle concessioni date a soggetti privati nel corso degli anni (autostrade, giochi d’azzardo, idrocarburi etc.) non rappresentano per la parte pubblica guadagni idilliaci come talvolta ci è stato raccontato, anzi: in più di un’occasione i veri risultati sono andati ad accrescere le finanze di pochi, mentre le perdite e le degenerazioni sono state “socializzate” sulle spalle della collettività.

Tornando all’Acqua, dunque, e facendo alcune ricerche si raffigura un impianto di concessioni abbastanza curioso: Enti che concedono lo sfruttamento della risorsa (ricordiamoci per fini commerciali) per durate temporali estremamente diversificate: da 15 – 20 anni, fino ad arrivare a 99 (una pure perpetua…) e con canoni molto differenti tra loro, forse anche troppo. Provando a tralasciare “i perché” si è arrivati a questi punti, sarebbe invece auspicabile un’inversione di rotta al riguardo. L’ipotesi più sensata è che il comparto delle acque minerali sia gestito da aziende pubbliche e/o partecipate, ovvero che torni nelle mani della “res publica”. Senza voler tacciare nessuno di incompetenza, ci mancherebbe, una cosa è certa ed è un assioma: alla fantastica novella del “privato è bello, privato è meglio” non ci crede più nessuno, ciò che abbiamo visto e vissuto in ambito di gestioni concessorie è abbondantemente sufficiente. L’ingresso della parte pubblica nella gestione, rappresenterebbe certamente un caposaldo per ciò che concerne la tutela e lo sfruttamento, un diverso guadagno da redistribuire sui territori e non per ultimo un calmieratore di prezzi alla clientela che, com’è noto sempre a causa di fini commerciali, si vede chiedere una cifra abnorme per acquistare una bottiglietta di acqua.

Ripensare, ridisegnare in questa direzione la concezione del comparto ritrarrebbe un bel gesto di coraggio per la politica che, su questi temi, diciamoci la verità, fino ad ora ha sbagliato. Un uomo dal profilo politico e umano come Aldo Moro sosteneva che: “quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante, ci aiuta ad assere coraggiosi

di Filippo Torrigiani

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