Pubblicato: mer, 24 Nov , 2021

25 novembre contro la violenza di genere

Storia di Farfalle e di uomini.

Il 25 novembre 1960 tre sorelle furono uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, a Santo Domingo, nell’attuale Repubblica Dominicana. Patria, Minerva e María Teresa Mirabal erano attiviste già dagli anni ‘50 nel gruppo clandestino che si opponeva al governo. Passate alla storia con il nome di battaglia de Las Mariposas (le farfalle), si impegnano contro il regime corrotto e tirannico, a favore dei diritti fondamentali dell’uomo e dell’emancipazione femminile. La loro opera rivoluzionaria è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal». Trujillo progetta l’assassinio de Las Mariposas in modo che sembri un incidente: le donne vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate ed uccise. I corpi massacrati vengono gettati con la loro macchina in un burrone. La vicenda risveglia l’indignazione popolare che porta alla fine della dittatura e l’assassinio di Trujillo nel maggio del 1961. Il 25 novembre del 1981 avviene il primo «Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche», da quel momento riconosciuto come data simbolo ed istituzionalizzato anche dall’Onu, con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, diventa la giornata internazionale contro la violenza di genere.

Sessanta anni dopo, vengono registrati oltre 200 femminicidi nel mondo ogni giorno. L’ONU e L’U.E. definiscono violenza di genere una violenza che si annida nello squilibrio relazionale tra i sessi e nel desiderio di controllo e di possesso da parte del genere maschile. Si coniuga in violenza fisica, sessuale, economica, psicologica. Il termine violenza di genere è usato anche per descrivere la violenza perpetrata contro il mondo arcobalenato (LGBTIQ+) che, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), deriva dal desiderio di punire coloro che sono percepiti come non in linea con le norme di genere, ‘trasgressori’ dei ruoli di genere dominanti. Il binarismo classico maschile/femminile, non solo non tiene in considerazione delle possibili espressioni dell’essere umano, ma pone spesso in una situazione di predominio l’uomo, con discriminazioni sociali che si riverberano in molteplici aspetti e con la frequente considerazione che la donna sia una sotto-categoria animale o addirittura un oggetto.

Ancora oggi è facile sentire frasi come “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” (lo pensa il 32,5%), “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche” (31,5%). Il 58,8% della popolazione (di 18-74 anni) si ritrova in questi stereotipi, più diffusi al crescere dell’età (65,7% dei 60-74enni e 45,3% dei giovani) e tra i meno istruiti. Alla domanda sul perché alcuni uomini sono violenti con la partner: il 77,7% degli intervistati risponde perché le donne sono considerate oggetti di proprietà (84,9% donne e 70,4% uomini); il 75% per il bisogno degli uomini di sentirsi superiori; per iI 62,6% è la non sopportazione dell’emancipazione femminile. Si riscontra anche l’associazione tra violenza e motivi religiosi (33,8%). Persiste il pregiudizio che addebita alla femmina la responsabilità della violenza sessuale subita. Addirittura il 39,3% della popolazione ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi ad un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Le donne possono provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire (23,9%); se subisce violenza quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe, è in parte responsabile (15,1%); spesso le accuse di violenza sessuale sono false (10,3%); di fronte a una proposta sessuale le donne dicono no ma in realtà intendono sì (7,2%), le donne serie non vengono violentate (6,2%). Non si tratta di violenza se un uomo obbliga la propria moglie/compagna ad avere un rapporto sessuale contro la sua volontà (dati istat 2019/2020). Dai pregiudizi ai fatti: ogni 15 minuti si ha una vittima. In Italia il 31,5% delle donne ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Nel 2020 le chiamate al 1522, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71%). Il movimento #call4Margherita nasce a marzo 2021 da una storia vera, in cui la vittima ha chiamato la polizia al 113 chiedendo una pizza margherita. Anche se la formula era inaspettata, i militari hanno subito capito la richiesta di aiuto cifrata e sono riusciti ad intervenire salvandola dall’aggressore.

Fino a qualche decennio fa l’uomo era investito del ruolo di individuo più forte della società, prima cacciatore e guerriero, poi pater familias cui competeva il potere sociale e familiare. Il gentil sesso, sottomesso alla volontà maschile, era l’angelo del focolare che bada ai figli. L’uomo deteneva un potere legittimato dalla società, i cui residui oggi sfociano in atti di violenza e prevaricazione che sottendono quel potere passato ed il desiderio di ripristinarlo. Il primato ontologico maschile spiega in parte tutta la violenza che viene perpetrata nei confronti delle donne. In parte si rintraccia in disturbi patologici, in deliri di onnipotenza o volontà pedagogiche, in cui l’uomo pensa di insegnare alla donna come essere donna, come deve comportarsi, come “stare al mondo”. Secondo l’illustre psicanalista Massimo Recalcati, assassini, maltrattamenti e violenze nei confronti delle donne sono sempre un atto di razzismo. “Il nero, l’ebreo, l’omosessuale, la donna incarnano tutti qualcosa che la ragione di origine patriarcale non è in grado di comprendere. Incarnano la differenza. Sono incarnazione della libertà e la violenza punta a sopprimere la libertà” (intervista a M.Recalcati, G.Santerini per La Repubblica, febbraio 2021). La libertà della donna è il segno della sua ingovernabilità. L’uomo ha provato in tutti i modi a confinarla: demonizzandola in strega, poi in strumento per filiare, realtà non così lontana dal presente e ripresa anche dal distopico The Handmaid’s Tale. Donna ancora oggi costretta, limitata, a cui viene strappata la lingua: la violenza maschile non è solo drammaticamente nel sopprimere il corpo ma è anche nel voler togliere la parola alla donna, o al diverso. E’ quanto vediamo accadere in modo esasperato nel nuovo stato islamico di Afghanistan, dove sono state tolte tutte le raffigurazioni femminili, donne chiuse in casa e in niqab. Confinate in una dimensione angusta, governata dall’uomo-padrone, che altrimenti non trova senso alla sua esistenza. In alcuni paesi vengono lesi quotidianamente i diritti fondamentali dell’essere umano: donne schiavizzate, abusate, vendute, mutilate, lapidate, negate alla cultura, all’istruzione o a condurre un autoveicolo. Omosessualità punita con la morte. Spose bambine vendute ai loro violentatori. Siamo nel 2021 ma si arranca nel raggiungere pari diritti e dignità; il maschile ancora schiaccia tutte le farfalle libere, colorate e diverse dalla sua realtà. Non più tardi di qualche mese fa in Italia si discuteva sull’interruzione di gravidanza e sono stati chiusi molti consultori, il cui compito è essere di aiuto a tutta la popolazione, non solo quello di somministrare contraccezione di emergenza. Nel settembre 2021, il Parlamento Europeo chiede che la violenza di genere sia trattata come un crimine particolarmente grave con “una dimensione transnazionale”. Si pensa, quindi, ad una legge e a delle politiche mirate per affrontare tutte le forme di violenza e discriminazione basate sul genere (contro donne e ragazze, ma anche contro le persone LGBTIQ+), sia offline che online. Si punta ad elencare la violenza di genere come una nuova sfera di criminalità ai sensi dell’art.83 del Trattato sul funzionamento dell’UE, insieme ad altri crimini che devono essere combattuti su base comune, come il traffico di esseri umani, di droga e di armi, il crimine informatico e il terrorismo. In Italia, è considerato reato commettere violenza o istigare a commetterla per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Tuttavia, è ancora in discussione la possibile estensione di questa misura anche alle discriminazioni basate su genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità.

C’è a monte una radicata cultura machista che permea la società, e che necessariamente si deve contrastare educando al rispetto e alla conoscenza. Si possono elencare un’infinità di reati di genere, come il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies c.p.). Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (c.d. Revenge porn, art. 612-ter c.p.). Costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.), atti persecutori (art. 612-bis c.p.); violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo (artt. 609-bis e ss. c.p.), percosse e lesioni personali (artt 581 582 cp). Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art.600 cp) limitazione della libertà personale (art 607 cp), istigazione, favoreggiamento, costrizione e sfruttamento della prostituzione (art. 531 e ss. c.p) tratta di donne e minori (art. 535 e ss. c.p). Appare evidente quanto sia necessario, dunque, il rispetto per gli esseri umani tutti e cambiare la mentalità per cui una donna può essere abusata o picchiata. A volte il silenzio delle vittime è dovuto anche al mancato riconoscimento sociale ed istituzionale del problema, che tende a farlo rientrare come qualcosa di “fisiologico”, e quindi per la mancanza di una rete di sostegno (culturale, economico, solidaristico, protettivo). I primi avamposto di aiuto e speranza sono i consultori ed i Centri AntiViolenza, le ambulanze ed i pronto soccorso, che garantiscono anonimato, riservatezza e pronto intervento, considerano le vittime come soggetti credibili e degni di ascolto. Una rete di aiuto che nel tempo si è snodata e via via specializzata, coinvolgendo gli operatori dei servizi sociali, sanitari, scolastici, delle forze dell’ordine, nell’intento di accogliere tutte le vittime di violenze senza distinzione di classe sociale, etnia o credo religioso. Donne e bambini, ma anche il mondo Lgbt, chiedono il riconoscimento ed il rispetto del valore umano. La violenza è prima di tutto un problema culturale.

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