Pubblicato: mer, 11 Mar , 2015

Mapuche: il caso Emilio Berkhoff l’esistenza della persecuzione politica in Cile.

La giustizia cilena quando deve difendere gli interessi delle imprese è disposta a violare trattati internazionali e le proprie leggi.

 

– di: Elisa Jerez  –

index (1)Il popolo Mapuche sta conducendo una lotta per la sopravvivenza culturale e il recupero dei propri territori ancestrali nelle regioni del sud del Cile. Come loro spesso ripetono, tale recupero non significa semplicemente domanda di terra, significa cercare di ricostruire una continuità territoriale e culturale in cui poter continuare a vivere praticando le proprie usanze, come avveniva prima che la neo costituita repubblica cilena occupasse e annettesse al proprio territorio la Nazione Mapuche nell’800 durante la guerra chiamata “Pacificazione dell’Araucania”, nazione che era riuscita a resistere ad ogni tentativo di invasione da parte degli spagnoli, nel corso di trecento anni di guerre, venendo alla fine riconosciuta dalla Corona spagnola.

Oggi questa lotta si concretizza in “recupero territoriale produttivo”, consistente nel rioccupare terreni in mano ai latifondisti o alle imprese, che vengono seminati dalle comunità, nelle azioni di sabotaggio delle multinazionali che operano nella zona, nelle azioni di protesta. E si traduce in arresti, incursioni violente delle forze dell’ordine all’interno delle comunità, in innumerevoli procedimenti giudiziari, in anni di carcere.

L’articolo che segue, tradotto da “Mapuexpress”, parla del caso emblematico di un processo in corso in questi giorni. L’accusato è Emilio Berkhoff, un attivista cileno, prigioniero politico per la causa Mapuche, ex studente di antropologia, che ha scelto di stare dalla parte dei Mapuche, di condividere la loro lotta, di vivere in una comunità indigena con la propria compagna e i propri figli.

Luisa Costalbano

 – Traduzione: M. Zani. –

Non è la prima e non sarà purtroppo l’ultima volta in cui il governo di turno si allinea agli interessi delle grandi imprese installate sul territorio Mapuche, né che persone di grande dignità sollevano il pugno della giustizia di fronte al saccheggio.

Però il caso di Emilio riflette non solo gli interessi in gioco nella vasta lotta per il recupero territoriale contro uno stato con forti interessi economici. La vicenda sta mettendo a nudo il vergognoso sistema giudiziario cileno in termini che ci permettono due affermazioni, senza ombra di dubbio.

1) Emilio, come molti fratelli Mapuche, sta soffrendo una persecuzione politica attraverso i tribunali di giustizia

2) La giustizia cilena quando deve difendere gli interessi delle imprese è disposta a violare trattati internazionali (Convenzione ILO 169, n.d.t.) e finanche le proprie leggi e protocolli.

Dopo un anno e tre mesi di carcerazione preventiva, il 5 di marzo del 2014 il giudice May Lin Wong del tribunale di Cañete ordina al ministero pubblico di rivelare l’identità dei 14 testimoni senza volto. Ciò in ottemperanza alla sentenza della Corte Ibero-Americana (Corte Interamericana dei Diritti Umani n.d.t.) che ha condannato il Cile per l’uso indebito di questo genere di prove che in nessun luogo del mondo vengono accettate da un tribunale come unico elemento per comminare condanne (in Cile è tristemente diffuso, in cause contro Mapuche o sostenitori delle loro rivendicazioni, il ricorso a testimoni “senza volto”, cioè protetti, di cui la difesa non può conoscere le generalità e di cui sostanzialmente non si sa nulla, essendo così impossibile verificare le deposizione o indagare se siano sodali pagati dall’impresa o dal latifondista di turno o istruiti dalla polizia. n.d.t.).

Con il caso di Emilio l’assurdo ha toccato un apice. Le uniche prove per sostenere i supposti fatti che si cerca di imputargli sono le testimonianze di 14 persone, la cui identità rimane segreta.

Il lobbismo, le pressioni e la corruzione come strategia delle imprese forestali per influenzare i casi contro i difensori del territorio Mapuche sono più che noti. Perciò la campagna istituita contro l’utilizzo dei testimoni segreti nei processi ha potuto sollevare tanto clamore da essere udita anche nelle sale dei tribunali, ottenendo di porre un freno a questa pratica ingiusta.

Di fronte a ciò il pubblico ministero, come braccio “legale” degli interessi delle imprese forestali sul territorio Mapuche non è rimasta tranquillamente a guardare ma ha subito ricorso in vari gradi di appello, perdendo in ciascuno di essi.

Nel marzo 2014 la Corte d’Appello di Concepcion decreta all’unanimità l’obbligo di rivelare l’identità dei testimoni e in meno di un mese revoca l’ingiusta prigione preventiva a Emilio.

I ricorsi del pubblico ministero arrivano persino al Tribunale Costituzionale cileno che il 12 giugno 2014 li rigetta, avvalorando la decisione di vietare il ricorso a testimoni senza volto.

Il 26 settembre il pubblico ministero decide di fare a meno della loro testimonianza.

A questo punto sembra che si stia davvero facendo giustizia, però le lobby di potere non rimango un’altra volta con le mani in mano e la pubblica accusa chiede nel mese di dicembre, alla Corte d’Appello, di riammettere a processo le prove precedentemente escluse. La richiesta viene accettata.

Così il 3 di marzo 2015 è ricominciato il processo per Emilio che deve affrontare 38 nuove prove che in maggioranza sono testimoni indiretti “per sentito dire” ovvero agenti di polizia che raccontano ciò che hanno ascoltato delle testimonianze raccolte presso i 14 testimoni occulti. Suona insolito e lo è. E’ una aberrazione legale e una azione che nuovamente abbatte le garanzie minime a un giusto processo in Cile.

Il caso di Emilio Berkhoff mette a nudo gli interessi difesi dal sistema giudiziario cileno, mostrandolo chiaramente come un sistema al servizio di una minoranza, disposta a qualsiasi persecuzione politica contro coloro che si oppongono ai suoi interessi economici sul nostro territorio.

La persecuzione politica condotta attraverso della magistratura e questa aberrazione legale non solo hanno l’appoggio delle imprese forestali della zona (parliamo dell’Araucania e del Bío Bío, regioni dove sui 5 milioni di ettari di territorio, due sono usurpati da industrie del legname e piantati a pino ed eucalipto. n.d.t.) ma godono della complicità del governo che non ha ritirato la denuncia presentata da Chadwick (ex ministro dell’interno nel governo di destra di Piñera, in carica fino al marzo 2014 n.d.t.), mantenendo la stessa politica ed essendo per tanto responsabile di una sicura condanna internazionale.

Dal 3 marzo 2015 la dignità sarà nuovamente in lotta in uno di quei tribunali proni agli interessi dei più vili. Una volta di più alzeremo in alto la voce e il pugno e sebbene potranno incarcerarci non avranno mai la forza di una causa giusta che alla lunga si imporrà sopra tanta ingiustizia.

 

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