Pubblicato: ven, 18 Apr , 2014

Legge 40. Diagnosi genetica sugli embrioni: così non va. Il racconto di Davide e Rossella

Davide e Rossella non vogliono un figlio perfetto. Chiedono  che non erediti la malattia rara che conoscono,  l’esostosi multipla. In Italia, la legge 40 chiude le porte ai fertili,  ma  l’Europa ci ha già condannati. A Cagliari e Roma i tribunali lo ordinano a due centri pubblici, ma il servizio pubblico ancora non la fa. 

 

Davide e Rossella, in arte il Mago e Pupetta,  stanno partendo per Creta, in Grecia. L’Università di Atene ha individuato il gene della malattia rara di cui è affetto Davide, l’esostosi multipla e può studiarlo negli embrioni che saranno concepiti, prima che il centro privato  di Creta esegua il transfer degli embrioni. In Grecia  si può fare e Davide e Rossella vogliono essere responsabili. Conoscono l’ esostosi multipla di cui Davide è affetto dalla nascita, non vogliono un figlio perfetto, ma “le cose brutte” che si possono evitare come genitori, chiedono di evitarle. La diagnosi genetica ed il percorso della fecondazione in vitro permettono di conoscere subito se il gene della malattia è nel dna di quelle cellule embrionali  e possono scegliere di trasferire solo gli embrioni sani, evitando così la drammatica scelta dell’aborto in corso di gravidanza.

Un diritto di scelta  per la salute che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha già riconosciuto ad una coppia italiana (Costa e Pavan) e condannato per questo l’Italia a pagare un indennizzo per aver vietato l’accesso in base alla legge 40 e in conflitto con la legge che regola l’interruzione volontaria di gravidanza. Presto, in Italia, La Corte Costituzionale dovrà esaminare anche questo limite della ormai defunta legge 40. Due tribunali civili, a Cagliari e Roma, hanno perfino ordinato a due centri pubblici, l’ospedale Microcitemico di Cagliari e il Sant’Anna di Roma di organizzare il servizio per eseguire la fecondazione in vitro e la diagnosi genetica sugli embrioni, ma il servizio pubblico non viene attivato e si ricorre ad un unico privato di esperienza. Potrebbe essere questa l’occasione per riorganizzare i servizi, ma le Regioni ancora non ne parlano. Nessun centro italiano pubblico, anche i più capaci per la genetica, sono fermi. La clinica Mangiagalli di Milano ci prova e qualche giorno fa si è candidata a partire sulla genetica di pre-impianto. Per anni, infatti, con il governo Berlusconi,  il Ministero del Welfare, con il suo sottosegretario Eugenia Roccella (ormai ex)  ha comunicato a mezzo stampa che la diagnosi genetica di pre-impianto era  vietata nella legge 40 e di fatto le regioni sono rimaste immobili, nonostante l’equivoco sul divieto fosse stato chiarito dopo l’abrogazione delle linee guida del ministro Girolamo Sirchia e la diagnosi sugli embrioni fosse divenuta praticabile, dopo il passaggio della legge 40 in Corte Costituzionale, nel 2009, che restituì ai medici la valutazione sul congelamento degli embrioni, in base alla salute della donna. Insomma, un blocco politico-ideologico che ha gravato per anni sul già  minato sistema sanitario regionale e  nazionale. Di recente,  otto mesi fa, un tavolo tecnico di esperti della fecondazione assistita ha consegnato un documento alla Conferenza Stato Regioni in cui si chiariscono i termini clinici con cui attivare la diagnosi genetica nei centri pubblici ed i costi reali delle tecniche di fecondazione in vitro, altro tema dolente.

Ora c’è attesa, entro giugno, per le decisioni al tavolo del Ministero per l’ aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza. Forse, per la prima volta in Italia,  si discuterà  anche di fecondazione assistita, almeno per omogeneizzare le pratiche di ricovero  a livello nazionale e porre fine alle diseguaglianze tra nord e sud. Nell’attesa non ci resta che augurare a Davide e Rossella un  buon viaggio e li ringraziamo per averci raccontato la loro storia di ordinaria magia.

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