Pubblicato: ven, 23 Ott , 2020

La parola al potere. Reagan, Churchill e…De Luca

Politici contemporanei volti più al raggiungimento dei consensi che alla risoluzione reale dei problemi. Le parole che ascoltiamo e  i personaggi che le pronunciano ne fanno un uso istrionico, plateale, smodato.

     <<La parola è potere: parla per persuadere, per convertire, o per costringere>>. Così Ralph Waldo Emerson, “maestro” d’oltre oceano di Friedrich Nietzsche rifletteva su questo umano strumento al servizio della mente. Per capire meglio il significato del pensiero di Emerson, basterebbe riascoltare i grandi discorsi(nel bene e nel male) della Storia. Non serve neanche scavare più di tanto. Già soffermandoci alla storia contemporanea, ritroviamo dei passaggi di una potenza disarmante.
 << Mr. Gorbachev, open this gate. Mr. Gorbachev — Mr. Gorbachev, tear down this wall!>>;
 << I have nothing to offer but blood, toil, tears and sweat>>;
<< La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: Vincere! E vinceremo>>;
 ‹‹Wenn unser /Wille/ so stark ist, dass keine not ihn mehr zu zwingen vermag, dann wird unser /Wille/ und unser deutscher Stahl auch die meistern! /Deutschland/, Sieg Heil!>>;
 <<È per questo che, secondo i dettami dell’epoca e del destino, ci siamo decisi a lastricare la strada dalla grande pace per tutte le generazioni future, sopportando l’insopportabile e tollerando l’intollerabile>>.
Sono forse alcuni dei discorsi più intesi e famosi del 900’.
In ordine: Tear down this wall! (Abbatta questo muro!) è una frase pronunciata dall’allora presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan durante un discorso tenuto presso la Porta di Brandeburgo il 12 giugno 1987 in occasione dei 750 anni di Berlino. L’esortazione era una sfida verso il segretario generale del PCUS Michail Gorbačëv ad abbattere il Muro di Berlino.
 Le parole «sangue, fatica, lacrime e sudore», resero famoso il primo discorso tenuto da Winston Churchill alla Camera dei Comuni del Parlamento del Regno Unito, il 13 maggio 1940, dopo che, il precedente giorno 10, il re gli aveva conferito l’incarico di Primo Ministro del Regno Unito. La Germania aveva iniziato il suo folle piano e Churchill capì che era il momento di reagire.
 Italia,10 giugno 1940, Annuncio della entrata in guerra dal parte del duce Benito Mussolini in una piazza Venezia stracolma…di false speranze.
Pochi mesi prima, Adolf Hitler al Reichstag comunicava al popolo tedesco l’invasione della Polonia e de facto, l’inizio di quella che passerà alla storia come ‘Seconda Guerra Mondiale’.
In ultimo il memorabile discorso( tradotto per una maggior comprensione) di resa dell’ ultimo imperatore del Giappone a essere ufficialmente considerato di origine o natura divina Shōwa Tennō, passato alla storia con il suo nome personale: Hirohito. Fu registrato alle ore 23:00 del 14 agosto 1945 e diffuso via radio il giorno successivo. Con esso, il sovrano si rivolse per la prima volta al suo popolo dichiarando la fine dei combattimenti e la resa incondizionata del Giappone alle potenze alleate.
Non a caso ho scelto questi interventi. È lampante il fattore comune, una ennesima pesante parola: guerra. Tutto ruota attorno alla coercizione delle masse e per raggiungere questo scopo, ognuno di questi personaggi, ha pesato le parole, ha studiato il linguaggio del popolo, analizzato la sua psicologia usando tecniche di comunicazione eccezionali, in alcuni casi creando un vero culto del corpo. È una peculiarità particolare dei personaggi politici passati e presenti. Ho riportato qualche esempio prima di entrare nel discorso principale solo per rendere meglio l’idea che, soprattutto oggi, nessuno si sta invetando nulla e tutto quello che vediamo, soprattutto inerente alla comunicazione, è storia già scritta. Anche molti dei leaders del recente passato, compreso i suddetti, si rifanno a loro volta a grandi del passato. Venendo ai nostri giorni, trasmigrando tutto questo carisma analizzato, questa forza comunicativa, meglio possiamo capire anche il liguaggio in uso, soprattutto in questi bui mesi. Già da queste pagine avevo sottilineato il pericolosissimo uso della terminologia bellica inerente alla pandemia causata dal Covid-19. È  chiaro che questo linguaggio, soddisfa una necessità “economica”, permettendo di fare ricorso ad un armamentario di immagini, simboli, metafore già belle e pronte, facilmente comprensibili e pertanto rapidamente riattivabili, perché presenti nel sottobosco del nostro immaginario da molto tempo, almeno da cent’anni e dalla guerra – quella vera – allora effettivamente combattuta. Ai vari “trincea”, “eroi” e “martiri” oggi aggiungiamo un’altra terribile parola: “coprifuoco”. C’è bisogno di chiarezza e di serietà comunicativa.
c’è bisogno di fare chiarezza, già, iniziando col chiamare le cose con i loro nomi, di certo più prosaici delle ridondanti immagini retoriche, ma validi ed adeguati allo scopo della comprensione di ciò che viviamo.
Non si tratta di una “guerra”, perché i virus non dichiarano e non combattono guerre, le guerre le fanno gli uomini sparandosi addosso per conseguire degli obiettivi che i virus non possono avere. Definire “guerra” il contrasto medico sanitario alla diffusione di un’epidemia produce, allora, gli effetti rischiosi del fraintendimento del fenomeno e della fideistica attesa dell’arma decisiva e vittoriosa che ci farà prevalere sul nemico. Forse sarebbe più utile chiedersi se questa epidemia ed altre del recente passato o che potrebbero seguire in futuro non siano, almeno in parte, da mettere in relazione anche con i nostri modelli di vita, di produzione, di consumo e di “sviluppo” economico globali, al fine di pensare ed apportare aggiustamenti radicali e cambiamenti profondi ormai divenuti indispensabili ed indifferibili. Bisognerebbe una volta per tutte chiarire che gli operatori del settore sanitario, non sono “eroi di guerra”, né hanno mai chiesto di essere considerati tali e che non nutrono alcuna aspirazione al sacrificio eroico, ma che sono dei “lavoratori” seri, quasi sempre sottopagati, che in modo responsabile e competente svolgono la loro professione in una situazione di estrema precarietà e che chiedono non la gloria imperitura dell’eroismo, ma molto più concretamente e legittimamente la possibilità di lavorare in condizioni di sicurezza. Bisognerebbe smettere, anche da parte di qualche rappresentate del settore scolastico, di figurare la scuola come una “trincea”. La scuola, con tutti i suoi limiti, sta portando avanti il compito forse più difficile per un educatore: formare il popolo di domani. In egual modo agli operatori sanitari, chiedono solo mezzi più efficaci per adempiere ai loro compiti. Ritornando all’ultima trovata del “coprifuoco”, siamo arrivati alla idiozia pura. È giusto cercare in ogni modo di arginare il virus, ma ora la misura è davvero colma. Non incute più timore nella gente e non è funzionale ad un maggior rispetto delle norme.
Abbiamo visto come le parole possono creare delle mostruosità, e anche in questa pandemia lo stesso vale. Chiamarlo semplicemente “divieto di circolare” sembra troppo permissivo o da domani attendiamo soldati in vedetta sulle garitte agli angoli delle nostre strade? Non entro nel merito poi del provvedimento in se, non è il mio ruolo. Mi limito a chiamarlo idiozia, soprattutto per i motivi qui sopra citati.
Dovremmo analizzare meglio le parole che ascoltiamo e di conseguenza i personaggi che le pronunciano. La maggior parte degli attuali politici ne fa un uso istrionico, plateale, smodato. Uno su tutti il governatore della (mia) regione Campania, De Luca, che alle parole dopo mesi di annunciata emergenza, ha fatto seguire…le parole.
Un mio fraterno amico in questi giorni, in merito, mi ha inviato un messaggio illuminante, contenente verità disarmante e con quest’ultimo voglio concludere, non sapendo spiegare meglio (anche il mio) il punto di vista di tante persone che si sentono davvero trattati come dei rincoglioniti: <<proclami fatti per mesi, pubblicità personale senza alcun fondamento di verità, immagini che scorrevano di camion che trasportavano attrezzature sanitarie verso la Campania. Inneggio a record e primati campani inesistenti, mai pervenuti. Continuo vanto di una gestione ineccepibile e impeccabile. Sembrava che fossimo i primi al mondo nella gestione covid in Campania.
Insomma se l’è cantata e suonata da solo e ci ha vinto pure le elezioni. Ora la Campania è la regione più malata d’Italia con posti di terapia intensiva e degenza esauriti. Ha sospeso tutte le attività ordinarie di ambulatorio e ora sta dirottando tutti i pazienti su tutta l’area sanitaria regionale costringendo anche le asl di altre province a sospendere le attività>>.
L’esatto metro di paragone protrebbe essere usato a tanti altri politici contemporanei, volti più al raggiungimento dei consensi che alla risoluzione reale dei problemi.
Quello della ormai svanita Campania felix, è solo un pratico esempio di quanto le parole siano macigni e in quanto tali possono fare male, molto male. Usare le parole giuste aiuta a comprendere e comprendere può, forse, aiutare a risolvere anche i problemi più complessi.

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