Pubblicato: ven, 15 Mar , 2013

La cultura spaventa la mafia

Intervista di “Radio 100 Passi” a Don Luigi Ciotti. La memoria? L’occasione per costruire una cultura di legalità, pronta alla denuncia e alla proposta

 

 

di Gilda Sciortino

NEWS_107683Un appuntamento che da diciotto anni riunisce i familiari delle vittime innocenti di mafia in un abbraccio che giunge da ogni parte dell’Italia, per far sentire loro tutto il calore della vicinanza e della condivisione. Quest’anno, l’appuntamento con la “Giornata della memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie” è a Firenze, durante questo fine settimana, mentre, poi, ogni città italiana la celebrerà in proprio il 21 marzo, primo giorno di Primavera, con iniziative di varia natura. Un percorso che non vuole avere il sapore della celebrazione, ma fare in modo che sia la memoria il motore trainante per un impegno collettivo quotidiano. “La memoria è il segno del cambiamento che tutti sogniamo – dice don Luigi Ciotti ai microfoni di “Radio100 Passi”, nel corso del programma “In punta di piedi” – e che deve cominciare a vivere dentro tutti noi. La memoria parla attraverso questi familiari, e racconta ciò che serve a distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male, chiedendo l’impegno di tutti. Deve, però, essere un impegno capace di accompagnarci tutto l’anno, non durante un solo giorno. L’occasione data da questa giornata, invece, ci consente di fermarci a ricordare a voce alta i nomi di chi è stato barbaramente assassinato dalla mafia. Questo perché il primo diritto di una persona è di essere chiamato per nome”.

A cosa deve servire, dunque, la memoria?
“Deve aiutarci a costruire, a radicare una nuova coscienza, una nuova cultura di legalità e di partecipazione, deve essere una memoria capace di denuncia e di proposta. E’ quello che si è fatto in questi anni, per esempio costruendo la legge per la confisca e l’uso sociale dei beni confiscati, un milione di firme nel ’96, ma anche aprendo diverse cooperative sociali, e portando avanti un lavoro interessante e proficuo con le scuole e le università. Questa giornata e i percorsi avviati in questi anni oggi ci dicono che, solo unendo le forze delle persone oneste, la richiesta di cambiamento diventa forza di cambiamento. Ci dicono anche che dobbiamo avere la consapevolezza che il problema più grave non è solo chi fa il male, ma quanti guardano e lasciano fare. Il male esiste, va affrontato, ma il primo passo é riconoscerlo e nominarlo”.

Se non ci fosse stata Libera in questi anni, si sarebbe arrivati a ottenere tutti questi risultati?
“Purtroppo le ferite profonde, il dolore dei familiari non si cancelleranno mai. Molti, poi, ci hanno raccontato di avere visto lo Stato, le istituzioni essere presenti nelle occasioni di rito, e poi mai più. Ecco perché sentiamo la responsabilità della memoria, credendo che il modo migliore per essere vicini ai familiari è battendosi anche per i giusti riconoscimenti. Ci sono tante zone d’ombra nelle normative, nelle leggi, che bisogna illuminare e migliorare. Abbiamo, però, bisogno di non essere cittadini a intermittenza, ma pronti e capaci di assumerci maggiori responsabilità. Libera ha fatto la sua parte, altri la loro. La nostra è un’esperienza che ha messo insieme oltre 1.600 grandi associazioni in tutto il Paese, allargando le presenze a livello nazionale con i presidi a livello locale. Senza contare il lavoro condotto con circa 5mila scuole in tutta Italia, e direi quasi la totalità delle facoltà universitarie. Tappe importanti, queste ultime, in quanto è la cultura che da la sveglia alle coscienze”.

Viene in mente quello che è successo pochi giorni fa a Napoli, alla Città della Scienza.
“Una violenza inaudita. Non dimentichiamo, però, che questo atto criminale ha lo stesso valore, la stessa gravità delle bombe messe anni fa. Non ci sono stati morti, ma perché è la cultura che spaventa i criminali mafiosi. Il grande Antonino Caponnetto, padre del Pool antimafia, colui che considerava suoi figli Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quando nacque Libera ci disse: “Non dimenticate che la mafia teme più la scuola che la giustizia. E’ l’istruzione che mette sotto i piedi la cultura mafiosa”. Ecco, dunque, la strada su cui andare avanti, non dimenticando tutte le positività esistenti nel nostro Paese, primi tra tutti la magistratura e le forze di polizia, che continuamente si spendono per noi. Dobbiamo, però, chiedere anche alla politica di fare la sua parte, perché la lotta alla mafia non la si fa solo in Sicilia, Puglia, Campania o Calabria, ma in tutta Italia, con le politiche giuste. La si fa al Parlamento, a Roma.

A che punto siamo, dunque, di questo percorso?
“E’ dura, perché in questi giorni abbiamo visto alcune leggi mortificate, come quella sulla corruzione, tema che fa da viatico ai criminali mafiosi. Hanno purtroppo vinto i poteri forti, le lobby. Grave quello che è avvenuto, nonostante la ministra Severino sia stata molto brava, presentando ciò che l’Europa ci chiedeva dal ’99 della Convenzione di Strasburgo, per mettere nel codice penale tutti i meccanismi necessari a dimostrare la corruzione pubblica. Purtroppo, però, quando poi si va in commissione e in aula, quello che ne viene fuori è sempre mortificante. Così come sul gioco d’azzardo, tutti sanno che c’é un grande quota, circa 10 miliardi di euro, gestita dalle mafie, contro cui non si fa niente. Sono, inoltre, venti anni che attendiamo una legge chiara e trasparente, che metta nel codice penale i reati contro l’ambiente. Il problema è che a parole sono tutti contro la mafia e i potenti, ma nel concerto in molti navigano in direzione opposta”.

Cosa possono fare i cittadini in tutto questo?
“Proprio oggi entreranno alla Camera tanti bei volti giovani, tutti carichi di passione e intelligenza. Un segno positivo, che registra un cambio di passo. Bisogna dare loro spazio e volontà, valorizzando l’aria fresca che sta giungendo. Speriamo solamente che vengano messi in grado di operare per il bene comune, liberi di scegliere in maniera chiara e incisiva. Attenzione però, perché non basta dire di no. Dire di no alla corruzione, alla mafia, ai poteri forti, all’illegalità e all’ingiustizia va bene solo se sappiamo trasformare questo “no” in “noi”, con piena assunzione di responsabilità. Bisogna, quindi, avere quel coraggio della denuncia, che parte dalle nostre coscienze, rompendo molti silenzi. Abbiamo soprattutto bisogno della normalità del bene e del coraggio, non dimenticando che la presenza criminale non sta ai margini, ma nelle fessure della nostra società. C’è la necessità di risposte più forti, categoriche, senza compromessi, senza mezze misure. Solo con questo bagaglio, potremo stare più vicini a tutti i familiari delle vittime innocenti della mafia, dando loro affetto e stima. Loro chiedono solo verità e giustizia, noi dobbiamo essere capaci di trovare anche i meccanismi che permettono di tutelare meglio questo percorso di consapevolezza. Tutto questo non con le parole, ma con i fatti. Perché i segni sono importanti più che mai e rimangono nel tempo. Indelebili”.

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