Pubblicato: dom, 10 Nov , 2013

Nando dalla Chiesa: «Craxi mandante dell’omicidio di mio padre? Una bufala»

Il figlio del generale ucciso nel ’82, non crede alle parole del pentito Onorato, ascoltato al processo sulla trattativa Stato-mafia. Le sue ricostruzioni piene di buchi

 

Nando dalla ChiesaNando dalla Chiesa, il figlio del generale ucciso a Palermo il 3 settembre 1982, non crede alle parole del pentito Francesco Onorato che, ascoltato nell’ambito del processo sulla trattativa fra Stato e mafia, ha accusato Craxi di essere stato il mandante dell’omicidio di suo padre. «A me questa storia che dietro il delitto dalla Chiesa ci sarebbero Andreotti e Craxi sembra una roba da peracottari», scrive sul suo blog il presidente onorario di Libera e professore di Sociologia della Criminalità Organizzata alla Statale di Milano».

«E sono spaventato all’idea (già a un passo dalla concretezza) che per i giornalisti questa possa diventare la verità. Di Andreotti e della corrente andreottiana ho scritto già trent’anni fa. Non ho avuto bisogno dei pentiti. Era stata una morte annunciata e, come ho sempre ripetuto (e mi scuso se lo rifaccio), era stata anche firmata, solo che l’Italia quella firma non aveva voluto leggerla. Ma Craxi come mandante è davvero un’idiozia storica». Dalla Chiesa ammette di essere stato un tempo in prima fila contro il potere craxiano (ne sono una prova le annate di “Società civile”, il mensile che dirigeva a Milano negli anni Ottanta), ma davanti a questa «bufala» non può tacere. «Anzi, dentro la Dc di allora molti avevano letto il sostegno socialista a mio padre come pezzo di una strategia antidemocristiana. Il generale-prefetto, così si temeva, avrebbe attaccato il potere andreottiano in Sicilia, roccaforte democristiana, favorendo il Psi di Craxi. Da qui la estrema politicità del contesto in cui nacque il delitto».

Anche l’indignazione dei figli di Craxi per le dichiarazioni del pentito con un passato di killer agli ordini dei corleonesi non si è fatta attendere. «Onorato è un vergognoso mentitore, da anni al soldo della Procura di Palermo. Con queste testimonianze, il processo Stato-mafia porta la magistratura italiana al livello più basso. Simili personaggi non dovrebbero mai calcare le aule di giustizia, tranne che per essere condannati per i loro efferati delitti» afferma un’infuriata Stefania Craxi, alla quale fanno seguito le parole del fratello Bobo: «Circa le dichiarazioni di un pentito di mafia su mio padre mandante, nientemeno, dell’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, penso non valga nemmeno la pena commentare e di querelare» scrive in una nota il dirigente del Partito socialista italiano. «Di quale tenore fossero i rapporti tra il generale dalla Chiesa e mio padre – aggiunge – ne sono bene a conoscenza i suoi figli. Mio padre, che ha sempre stimato dalla Chiesa ebbe come cruccio degli ultimi suoi anni di vita politica il rammarico di avere in qualche maniera incoraggiato dalla Chiesa a prendere servizio in Sicilia, ad accettare quell’incarico di prefetto di Palermo. Mi ricordo che parlammo spesso di questo e lui era amareggiato: mai avrebbe pensato che il generale, da lì a tre mesi da quando assunse quell’incarico, avrebbe fatto quella fine».

Non è certo compito nostro, né questa la sede preposta, stabilire quanto ci sia di vero nelle dichiarazioni del pentito Onorato. Tante, però, sembrano le lacune e ancor più numerose le “incoerenze storiche” di chi, ancora oggi, cerca maldestramente di celare quell’orgoglio da “uomo d’onore” che lo fa schierare dalla parte di Riina («Ha ragione ad accusare lo Stato. […] Sta pagando solo lui».) e riaffiorare una certa nostalgia per un passato “glorioso” («Io ero uno dei prediletti, perché fare parte del gruppo di fuoco della commissione era come fare parte della nazionale di calcio. I migliori mafiosi entravano in squadra»). andreotti-craxi

Suona piuttosto ambiguo pensare ad un accordo fra Craxi e Andreotti per uccidere il generale dalla Chiesa. I due, all’epoca, non erano certo in buoni rapporti. Il leader del Psi una volta definì il senatore a vita «belzebù» e un’altra volta gli diede il celebre soprannome di «volpe», aggiungendo «che tanto prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria». I contrasti politici fra i due culminarono probabilmente con il caso Moro. Nei giorni della prigionia  dello statista democristiano rapito dalle Brigate Rosse e poi fatto trovare cadavere nel portabagagli di una Renault 4 rossa, a Roma, il 9 maggio del 1978, Craxi propendeva per una linea umanitaria, al fine di aprire una trattativa con i brigatisti e salvare così la vita a Moro. Andreotti, al contrario, era il capofila della discussa linea della fermezza, di cui faceva parte anche l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga, che non voleva in alcun modo dialogare con gli uomini delle Brigate Rosse. I rapporti non certo idilliaci fra i due perdurarono fino agli anni Novanta, a causa della mancata elezione a capo dello Stato di Arnaldo Forlani, attribuita anche e soprattutto ad Andreotti. Ma questa è un’altra storia.

 

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