Pubblicato: dom, 14 Mag , 2023

Diritti Umani: dall’altra parte del mare, l’Eritrea da colonia italiana a sanguinario regime

La dittatura vicina che nessuno vede, ma che conta migliaia di profughi

Eritrea, paese dell’Africa orientale che confina a sud con Gibuti, a nord con il Sudan e ovest con l’Etiopia. Un piccolo stato che si affaccia sul mar rosso, diventato indipendente prima dall’impero inglese e poi dall’Etiopia, ma con quest’ultima non ha mai risolto i conflitti così come con la regione del Tigrè, oggi in guerra con l’Etiopia. Fu anche la prima colonia del Regno d’Italia in Africa, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. La Colonia primogenita, per poco meno di sessant’anni fu territorio italiano, come testimoniano le costruzioni stile anni ’30 ancora presenti. Con la fine del secondo conflitto mondiale, gli alleati smantellarono il sistema industriale eritreo come bottino di guerra, comprese la ferrovia Asmara-Massaua e la teleferica che collegava Asmara con il Mar Rosso. Divenne protettorato britannico e poi consegnata ufficialmente all’Etiopia, come paese federato, provocando l’inizio di nuovi conflitti. Successivamente, l’indipendenza dall’Etiopia non portò in nessun caso alla pace e nemmeno al progresso. L’unica ferrovia attiva, non elettrificata, sembra essere ancora quella costruita dagli italiani.

Oggi dall’Eritrea fuggono migliaia di persone, è un regime isolazionista, che si ispira a Russia e Cina, mentre la propaganda politica accuserebbe l’Europa dello stato di povertà in cui versa. Ha un solo leader autoritario e i diritti umani vengono violati ripetutamente. Non esiste opposizione, nessun partito e nessun tipo di elezione dal 1993. Sono diverse centinaia i campi di detenzione, con container e celle sotterranee. I detenuti vengono imprigionati per decenni, senza possibilità di difesa e parola. Nel 2014 l’organizzazione Human Rights Watch ha definito l’Eritrea “uno dei paesi più chiusi al mondo” e ha parlato di “servizio militare illimitato, torture, detenzioni arbitrarie, restrizioni alle libertà di espressione, di associazione e di religione”. Reporters without Borders ha inserito più volte l’Eritrea tra i peggiori paesi al mondo riguardo alla libertà di stampa, nel 2021 l’Eritrea era all’ultimo posto nell’indice mondiale, 180° perfino dopo la Corea del Nord, mentre nel 2022 è penultima per assenza di libertà di stampa e informazione. Nel paese esiste una sola emittente televisiva utilizzata per la propaganda politica, nessuna università. Il regime controlla qualsiasi aspetto della vita degli abitanti. La costituzione del maggio 1997 prevede democrazia e tutela dei diritti fondamentali, libertà e condizioni favorevoli per lo sviluppo ed il progresso; tuttavia dei suoi VII capitoli e 59 articoli, nemmeno uno è entrato in vigore. I diritti umani, civili, politici sono sistematicamente violati, la povertà economica non consente alla popolazione di vivere in modo dignitoso. Gli arresti sono spesso arbitrari per giornalisti e dissidenti politici, detenuti senza accusa, processo, nè garanzia alcuna; pratiche costanti e attestate da commissari ONU di tortura, schiavitù, stupri, omicidi, sparizioni forzate. Solo i culti registrati in via ufficiale sono tollerati e chiunque viene sospettato di professare una religione non riconosciuta è sottoposto a torture.

Si stima che l’Eritrea abbia un esercito di oltre 300.000 coscritti, il quarto più grande di tutta l’Africa. La leva militare è obbligatoria e a tempo indeterminato, rivolta anche ai minorenni e alle donne. Un metodo semplice di dominazione e sfruttamento, che rende di fatto schiavi i suoi abitanti. Il Paese è stato trasformato in una caserma permanente. I militari vengono impiegati pure nei lavori forzati, anche per conto di aziende private. I bambini vengono addestrati durante il ciclo scolastico e sono obbligati a frequentare il grado 12 della scuola presso il campo militare. Le donne sono ancora sottomesse, spesso abusate. Persiste la pratica delle mutilazioni genitali e dello sfruttamento sessuale. Gli alti commissari internazionali già nei decenni precedenti avvertivano che in Eritrea è presente un governo totalitario in cui non vige alcuno stato di diritto, il governo agisce senza che venga considerato responsabile di eventuali violazioni della legge e senza dover rendere conto a nessuno di quello che fa. Quando l’Eritrea ottenne l’indipendenza dall’Etiopia dopo 30 anni di guerra civile, le aspettative sul paese erano molto alte. Da allora, però, il governo ha rafforzato il potere senza lasciare alcuno spazio alle opposizioni. Isaias Afewerki è l’unico presidente dell’Eritrea dal 1993. L’ONU  ha descritto l’Eritrea come uno stato di polizia simile a quello della Germania Est durante la Guerra Fredda, dove la Stasi [il Ministero per la sicurezza dello stato] controllava qualsiasi aspetto della vita di chi abitava nel paese. Nemmeno andarsene dal paese sembra essere un’opzione percorribile per molti: coloro che decidono di oltrepassare i confini vengono considerati dei traditori e alla frontiera la polizia ha l’ordine di “sparare per uccidere”.

Sara Dorman, esperta di politica africana alla Edinburgh University, aveva definito l’Eritrea come “la Corea del Nord africana”, il controllo che il regime eritreo esercita sulla sua popolazione è qualitativamente diverso da quello esercitato in altri paesi africani, soprattutto rispetto alla più ampia estensione delle attività dei suoi servizi di intelligence e alla pratica di punire intere famiglie per crimini compiuti da un solo membro. Un paese con zero università, nessuna costituzione, elezioni mai viste. Tutti vengono arruolati nell’esercito a vita, con meno di 10 dollari al mese come paga.

L’isolamento internazionale, la sua storia di ex-colonia italiana e i notevoli investimenti del Qatar hanno reso l’Eritrea una destinazione turistica unica. Asmara cattura la curiosità e sembra rispondere alle esigenze dei turisti, per lo più europei. Mantiene i rapporti politico-economici con l’occidente, ma anche con Cina e Russia. Prosegue il dialogo pure con la politica italiana, che non sembra tenere conto delle gravi condizioni in cui vive il paese.

Ci sono diverse ragioni per cui si dovrebbe prestare più attenzione all’Eritrea. Ha una storia recente estremamente conflittuale con i paesi confinanti e vicini dell’Africa orientale, così come quelli del medio oriente. Ha ricevuto sanzioni ONU per il suo sostegno ad al Shabaab, gruppo islamista somalo che ha compiuto diversi attacchi molto violenti anche in Kenya. Inoltre, è tra i paesi da cui provengono più richiedenti asilo che arrivano in Europa. Nonostante sia uno degli stati con meno libertà al mondo, nessuno ne parla. Invece, la situazione dell’Eritrea riguarda direttamente anche l’Italia, e non solo per il passato coloniale: oltre il 20% delle persone che sono arrivate in territorio italiano via mare scappa dall’Eritrea. Ci sono anche i centri detentivi e gli scafisti eritrei che si aggiungono al già complesso sistema della tratta di esseri umani. Gli arrivi non autorizzati via mare sono molti, essendo le coste italiane sulla rotta verso l’Europa del Nord. Dal tentativo di fuga, spesso finiscono nei campi profughi della vicina Etiopia, o attraversano il Sudan, con spietati contrabbandieri che organizzano la traversata del Sahara fino in Libia. Il business della vendita di posti su barchette precarie per attraversare il Mediterraneo, tratta di esseri umani, prostituzione ed estorsione è ormai consolidato. Un banchetto famelico cui partecipano le guardie costiere colluse, i centri di accoglienza, mafie italiane e africane. Dalle più recenti risultanze investigative sarebbero emerse le compiacenze anche di alcune istituzioni africane. L’Italia è coinvolta, come singolo Stato e in qualità di membro UE, nelle decisioni politiche che riguardano il Corno d’Africa. Tramite il Memorandum di intesa con la Libia, del febbraio 2017 e il precedente Processo di Khartoum, che ha visto partecipare anche l’Eritrea, di fatto il nostro Paese ha inciso anche sulle sorti degli Eritrei. La politica è volta sempre più ad esternalizzare il controllo degli sbarchi. Si cerca, così, di evitare gli arrivi sulle nostre coste, delegando il controllo di sicurezza sui profughi ai Governi africani. Un sistema che colpisce anche gli immigrati dell’Eritrea che spesso sono bloccati in Sudan e in Libia in campi disumani, legalizzati proprio da questi accordi.

Recentemente, intervenendo alla 52esima sessione dell’Human Rights Council (febbraio-aprile 2023), la Vice Alto Commissario Onu per i diritti umani Nada Al-Nashif ha denunciato che la situazione dei diritti umani in Eritrea rimane grave e non mostra segni di miglioramento. Continua ad essere caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani; partecipano al servizio militare anche le donne, le quali vengono esentate solo se in gravidanza. E’ infatti il servizio militare nazionale che, in un paese militarizzato e in mano a un regime ossificato che ha tradito ogni promessa di socialismo e libertà dei tempi della lotta per l’indipendenza dall’Etiopia, a restare tra i motivi principali per cui gli eritrei fuggono dal Paese. Secondo l’UNHCR, alla fine del 2022 c’erano rispettivamente oltre 160.000 e 130.000 richiedenti asilo e rifugiati in Etiopia e in Sudan, principalmente nella fascia di età dai 18 ai 49 anni. Ad oggi, l’Eritrea non ha adottato alcuna misura per stabilire responsabilità e provvedimenti per le violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario commesse dall’Eritrean Defence Forces (EDF) nel contesto del conflitto del Tigray in Etiopia.

E se di collaborare con l’UNHCR non se ne parla, al contrario proseguono fitti gli accordi con i Big del mondo. Isaias Afwerki a maggio è tornato a Pechino per una visita ufficiale su invito del presidente Xi Jinping. Asmara intende offrire un contributo significativo al consolidamento delle relazioni bilaterali tra i due Paesi che lo scorso anno sono state elevate a partenariato strategico.  Nel 2021 l’Eritrea ha aderito anche alla Nuova via della seta, il maxi progetto infrastrutturale lanciato da Pechino che attraversa i tre continenti. “La Cina è un’amica fidata dell’Eritrea e vuole rafforzare la cooperazione con Asmara soprattutto nel quadro dell’instabilità e delle incertezze che caratterizzano l’attuale panorama internazionale”, ha dichiarato Xi. La Cina “apprezza l’adesione dell’Eritrea a una politica estera indipendente, la sostiene fermamente nella ricerca di un percorso di sviluppo consono alle sue condizioni nazionali, nonché nella tutela della sua sovranità, sicurezza e interessi di sviluppo, affermando la risoluta opposizione alle ingerenze esterne negli affari dello Stato africano”. La Cina è dunque disposta ad approfondire gli scambi a tutto campo con l’Eritrea, soprattutto nel settore delle infrastrutture, delle attività estrattive, delle telecomunicazioni e dell’agricoltura. La visita di Afwerki a Pechino segue il viaggio effettuato a gennaio ad Asmara dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. In quell’occasione Lavrov era stato accolto personalmente dal presidente eritreo, al quale aveva espresso la sua richiesta di sostegno internazionale nel quadro della guerra avviata in Ucraina. Il dialogo si era quindi incentrato sul rafforzamento dei legami bilaterali fra Russia ed Eritrea nei settori dell’energia, dell’estrazione mineraria, della tecnologia dell’informazione, dell’istruzione e della sanità. Occorre ricordare, in tal senso, che l’Eritrea è stato l’unico Paese africano – e uno dei cinque a livello globale insieme a Russia, Bielorussia, Corea del Nord e Siria – a votare contro la risoluzione Onu di condanna dell’invasione dell’Ucraina. Del resto, con Russia, Bielorussia, Cina e Corea del Nord condivide lo stile dittatoriale e politico. Fra gli interessi che l’Eritrea ricopre per la Cina e la Russia c’è senza dubbio quello legato alla sua posizione geografica: affacciata sul Mar Rosso e con un accesso a nord verso il canale di Suez e l’Europa, a sud-est sul Golfo Persico e l’Oceano Indiano, l’Eritrea confina inoltre con Gibuti, Paese dove la Cina ha aperto nel 2017 la sua prima base militare all’estero. La Cina investe da tempo in Eritrea e alla fine del 2019 la China Shanghai Corporation per la cooperazione economica e tecnologica estera (Sfeco) ha iniziato la costruzione di una parte della strada di 500 chilometri che collega i porti eritrei di Massaua e Assab, entrambi dotati di zone economiche favorevoli. Anche l’ambasciatore russo si è recato in Eritrea, Igor N. Mozgo, e ha strappato il consenso del dittatore eritreo per aprire una base navale militare russa a Massaua. La Russia, inoltre, ha già confermato nuovi protocolli di intesa e alleanze pure con il Madagascar e altri paesi africani. Non solo, Eri Tv e Radio Dimtsi Hafash (Voce delle masse) dà notizia che Isaias ha volto lo sguardo verso Nairobi, con nuovi accordi con il presidente kenyano William Ruto (febbraio 2023). Sembra dunque che i due paesi si siano impegnati alla cooperazione in diversi settori, compreso il reciproco supporto negli organismi internazionali. Per facilitare le relazioni, il Kenya aprirà un’ambasciata ad Asmara. La decisione che avrà maggior impatto sulla vita dei cittadini dei due paesi, soprattutto per gli eritrei, è l’abolizione del visto che ne permetterà la libera circolazione con conseguenti facilitazioni nel settore commerciale e nell’accesso a servizi. L’eliminazione del visto potrebbe facilitare l’uscita dal paese di molte persone, soprattutto giovani, che potrebbero dirigersi verso il Kenya per vivere legalmente, sottraendosi agli abusi delle reti di trafficanti che ora agiscono nel paese, anche grazie alla collusione con uomini delle forze dell’ordine. L’Eritrea si impegna pure a ritornare nel consesso dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), organizzazione di cui fanno parte Gibuti, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Uganda. Negli stessi giorni delle aperture all’Igad usciva, però, un rapporto di Human Rights Watch che dava conto delle modalità della nuova durissima campagna di reclutamento, anche di minori, organizzata dal regime negli scorsi mesi, in cui è stata introdotta l’espropriazione di fatto delle proprietà delle famiglie dei renitenti alla leva. Modalità che hanno fatto pensare alla preparazione di una nuova offensiva.

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