Pubblicato: Lun, 13 Gen , 2014

Giornalista de I Siciliani minacciato e picchiato a Librino

Spesso in prima fila nella lotta contro la mafia e i suoi protettori, Luciano Bruno stava fotografando il Palazzo di Cemento. L’appello del direttore Riccardo Orioles: «Non lasciamolo solo»

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Luciano Bruno (foto di Leandro Perrotta)

Erano circa le 10:30 di venerdì mattina, quando, il giornalista e artista Luciano Bruno, mentre stava scattando delle foto al Palazzo di Cemento, è stato circondato da sei uomini che, armati, l’hanno prima minacciato puntandogli una calibro nove alla testa e poi picchiato, perché “colpevole” di aver avuto il coraggio di denunciare e opporsi al potere mafioso. È successo a Librino, quartiere difficile a sudovest di Catania. A raccontare per primo quanto accaduto al collaboratore de “I Siciliani”, è stato lo stesso direttore della rivista fondata da Pippo Fava, Riccardo Orioles. «Gli hanno rotto un dente. Hanno fatto i nomi dei suoi familiari, su cui sembravano molto bene informati. Luciano Bruno (un suo articolo, due anni fa, ha aperto il primo numero di questa nuova serie dei “Siciliani”) è di Librino e più volte ha pubblicato articoli sulla drammatica situazione di questo quartiere, abbandonato e lasciato in mano alla mafia. È autore fra l’altro di un pezzo teatrale di denuncia sul dramma di Librino, che è stato portato in giro in varie città d’Italia». Orioles invita inoltre tutti i media ad accendere i riflettori su Luciano Bruno e alla massima attenzione e vigilanza su Librino, in modo tale da non lasciare solo chi ha scelto di “contrastare” e non di “contrattare” con la mafia.

Luciano conosce bene la realtà di Librino, in cui forte è la presenza della mafia, che lo ha eletto luogo prediletto per lo spaccio di droga. Lì Luciano ci è cresciuto, ma non è mai sceso a compromessi. Anzi. La ricerca di se stesso attraverso l’esperienza di attore è proseguita di pari passo con la voglia di riscatto: «È stata la mia voglia di raccontare i miei spazi e il mio mondo, di gridare, urlare, denunciare» a dare vita al monologo sul dramma di questo quartiere e che ha portato in giro per l’Italia quattro anni fa. Tuttavia, in questa periferia degradata di Catania, qualcuno ha voluto spaventarlo. In pieno giorno e a volto scoperto. Si sono fatti consegnare la macchina fotografica con la quale il giornalista 37enne stava raccogliendo immagini del noto Palazzo di Cemento per un’inchiesta a cui sta lavorando. L’edificio, costruito poco più di trent’anni fa, non è mai stato consegnato al Comune di Catania perché privo della necessaria certificazione antincendio. Un dettaglio la cui assurda mancanza ha fatto sì che la criminalità organizzata del quartiere (controllato dal clan degli Arena) ne facesse il centro nevralgico delle proprie principali azioni criminose, che partono dal già citato spaccio di droga, fino ad arrivare agli omicidi. Lo stesso Luciano Bruno aveva scritto sul suo profilo Facebook: «Qualche settimana fa ci è arrivata una proposta: raccontare le periferie urbane. Librino, nel mio caso. Le foto che ero andato a scattare ieri mattina servivano proprio a questo, a far vedere quello che io ho visto per una vita intera attraverso i miei occhi. Ed invece me lo hanno portato via con violenza, questo sguardo, insieme ad un dente».

La vile aggressione, che giunge, per una strana ma forse poi non tanto coincidenza, a pochi giorni di distanza dalle celebrazioni in ricordo dell’uccisione trent’anni fa di Pippo Fava, non può e non deve passare inosservata. «Ero lì per cercare la verità – afferma Luciano – ma ancora, nel 2014, chi lo fa rischia la pelle e significa che qualcosa non funziona».

Rete 100 Passi esprime piena solidarietà al giornalista e alla redazione de I Siciliani per il grave episodio ai danni del collega e si augura che gli organi competenti si adoperino al più presto affinché venga posta un’adeguata attenzione su Librino e che non lascino solo chi, come Luciano Bruno, lavora ogni giorno tra mille difficoltà, spinto dall’amore per la verità e la giustizia.

 

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