10 febbraio, il Giorno del Ricordo
Si ricordano oggi le vittime delle foibe, dopo più di 60 anni la memoria è divisa ed è incerto il numero delle vittime
Le foibe, una cavità carsica molto diffusa nel nord-est del Paese, sono diventate il sinonimo della pulizia etnica perpetrata dagli iugoslavi nei confronti degli italiani dell’Istria e della Venezia-Giulia.
Il numero di vittime non è ancora stato accertato e riuscire a ricostruirne l’esatto ammontare è al quanto arduo. I motivi sono disparati: la distruzione degli archivi durante la guerra, l’impossibilità di recuperare molti corpi data la profondità delle foibe e l’inesistenza di registri esatti sul numero di deportati e giustiziati. Ad ogni modo incrociando i dati sugli scomparsi, le testimonianze e i corpi ritrovati le stime più attendibili parlano di circa 8 mila morti nel periodo tra i 1943 e 1947-48 un range intermedio tra chi parla di un vero genocidio con decine di migliaia di morti e chi minimizza parlando solo di sporadici episodi di violenza.
La questione dell’Istria e degli esuli è molto complessa. Dopo l’annessione, a seguito del trattato di Rapallo del 1920, di quelle zone all’Italia, le autorità italiane, specie durante il fascismo, intrapresero una politica di “italianizzazione” forzata dell’Istria, non solo fu negato l’insegnamento e l’uso dello sloveno o del croato ma furono precluse ai non-italiani molte cariche pubbliche, a questo si aggiungano le violenze e il regime di vera apartheid a cui furono sottoposti gli slavi. Con la guerra e con il disfacimento del Regio Esercito dopo l’8 settembre, nelle zone in questione, occupate anche dai tedeschi, si sviluppò un forte movimento di resistenza slavo di ispirazione comunista agli ordini del maresciallo Tito. Oltre a combattere contro le truppe nazi-fasciste, i partigiani titini si lasciarono andare a violenze di ogni tipo contro la popolazione italiana, dalle deportazioni in campi di concentramento agli omicidi.
Le cause della pulizia etnica furono duplici, da una parte la vendetta contro chi li aveva perseguitati nel ventennio precedente e dall’altro, motivo per cui colpirono gli italiani in quanto tali e non solo gli ex-fascisti, per “slavizzare” le zone in modo da poterne rivendicare la sovranità a guerra finita. Addirittura c’era chi parlava di “settima repubblica iugoslava” indicando la Venezia-Giulia.
A rendere più grave quanto accaduto fu la complicità delle autorità italiane. Il PCI in un primo momento appoggiava il disegno titino di annettere il nord-est e poi, dopo la rottura tra Stalin e Tito, difese l’italianità dell’area ma non andò mai contro i comunisti iugoslavi anche per non rischiare di “processare la resistenza”. Dall’altra parte, le forze di governo, DC in testa, non volevano compromettere i rapporti con la Iugoslavia che, a seguito dell’espulsione dal ComIntern, era divenuta, in chiave antisovietica, un alleato sui generis dell’Occidente. Ecco perché fu unanimemente accettata la versione che vedeva negli esuli istriani e negli infoibati solo degli ex-fascisti vittime delle epurazioni e quindi persone verso cui non avere alcuna empatia.
Fu solo con la fine della guerra fredda che si riuscì a fare luce, almeno parzialmente, sugli eventi e a ricordarli in maniera adeguata. Ad ogni modo continuano ancora oggi le divisioni. Il motivo è che spesso gli eccidi delle foibe sono stati usati strumentalmente per andare contro il movimento della Resistenza e dall’altro, per risposta, si tende negare gli eventi o a criminalizzare le vittime