Pubblicato: gio, 6 Mar , 2014

Trattativa Stato-mafia: Riina rinuncia a partecipare all’udienza

La decisione dopo il malore di martedì. Gli ex ufficiali del Ros Mori, Subranni e De Donno hanno invece invocato lo spostamento del processo

filesDopo il malore che l’ha colpito un paio di giorni fa, Totò Riina ha rinunciato a partecipare questa mattina, in videoconferenza dal carcere milanese di Opera dove è rinchiuso al 41 bis, all’udienza del processo per la trattativa fra Stato e mafia in corso dall’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo e che lo vede imputato insieme ad altri boss mafiosi, collaboratori di giustizia, ex politici, ex ufficiali del Ros e Massimo Ciancimino.

Martedì pomeriggio il boss corleonese, mentre si trovava nella propria cella, era stato colpito da un malore che in un primo momento si era pensato potesse essere un ictus, poi un infarto. Trasferito presso l’ospedale San Paolo di Milano, i medici hanno invece diagnosticato al capomafia una semplice indigestione. Nonostante sia stato dimesso dal nosocomio già ieri mattina, l’ottantatreenne Riina ha rinunciato a presenziare al dibattimento, preferendo rimanere in cella ma senza rendere noti i motivi della rinuncia.

L’udienza di oggi era destinata al controesame del pentito Francesco Di Carlo, al termine del quale la Corte d’assise ha accolto la richiesta della Procura di Palermo di ammettere due nuovi testimoni, perché «le circostanze dell’esame indicate dal pm sono, in tutta evidenza, assolutamente pertinenti con i fatti oggetto del processo». Si tratta dei pentiti Rosario Naimo e Fabio Tranchina. La difesa dell’imputato Antonino Cinà si era detta contraria all’audizione del pentito Naimo poiché l’accusa non aveva depositato il verbale illustrativo, ma per il Presidente della Corte Montalto «le nuove prove testimoniali non appaiono né superflue né rilevanti». Da qui la decisione di ascoltare i due collaboratori di giustizia. Tranchina dovrebbe deporre sui suoi rapporti con i boss Giuseppe e Filippo Graviano tra il 1991 e il 27 gennaio 1994 (data di arresto dei due fratelli) e sulle confidenze ricevute da Giuseppe Graviano in occasione della cattura di Riina. Mentre Rosario Naimo sui suoi rapporti con alcuni degli imputati, in particolare con Salvatore Riina e Antonino Cinà nel corso del 1992. «E più nello specifico – aveva spiegato il pm Di Matteo alla scorsa udienza – sulle confidenze e le preoccupazioni esternate da Cinà nel periodo intercorso tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio in merito alla gravità e delicatezza dei compiti affidatigli in quel periodo dai vertici di Cosa nostra».

In aula, stamattina, era presente anche un giudice della Corte suprema di Tokyo: Uchida Satoru, 38 anni, magistrato del Criminal Affair Bureau della capitale giapponese. Ne ha dato notizia a inizio udienza il presidente della Corte d’assise di Palermo che celebra il dibattimento, Alfredo Montalto. Accompagnato dall’interprete, Uchida ha incontrato prima i pm Antonino Di Matteo, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia e poi i giudici della Corte d’assise. «Abbiamo fatto una visita di studio in Italia – ha spiegato il giudice nipponico – prima sono stato a Roma, poi a Firenze e adesso a Palermo. Per me è una bella esperienza».

Appena ieri, tre dei dieci imputati, gli ex ufficiali dell’Arma dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, avevano depositato presso la cancelleria della Corte d’assise di Palermo un’istanza di spostamento in altra sede giudiziaria, invocando la norma sul legittimo sospetto e sostenendo che il dibattimento metta a rischio l’incolumità pubblica. I tre carabinieri hanno chiesto anche la sospensione del processo, ma la Corte non ha ancora affrontato la questione.

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