Pubblicato: gio, 27 Feb , 2014

Stato-mafia, pentito Di Carlo: «A Milano incontrai Dell’Utri e Berlusconi»

Secondo il pentito il cavaliere aveva paura dei sequestri, così chiese delle garanzie da parte di Cosa nostra. Poco tempo dopo arrivò ad Arcore Vittorio Mangano
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Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi

«Ho conosciuto Marcello Dell’Utri agli inizi degli anni Settanta. Eravamo giovani, a Palermo. Mi pare di averlo incontrato la prima volta con Tanino Cinà, che era fratello di un affiliato a Cosa nostra». A parlare è il pentito Francesco Di Carlo, rispondendo questa mattina alle domande del procuratore aggiunto Vittorio Teresi al processo per la trattativa Stato-mafia, in corso dall’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. «Eravamo entrambi trentenni, era un giovane perbene, vestito bene. Me lo hanno presentato, come capita con tante gente. Questa fu la prima volta che lo vidi».

Di Carlo ha ricordato anche di quando, nel 1974, incontrò «sull’aereo per Milano Mimmo Teresi, Stefano Bontade e Tanino Cinà». «Mi dissero che si sarebbero visti con Marcello Dell’Utri». L’incontro, stando a quanto dichiarato dal pentito, «era stato prestabilito da Dell’Utri stesso appositamente per far conoscere ai tre Silvio Berlusconi». A riferirlo a Di Carlo era stato Stefano Bontade. «D’altronde – prosegue il teste – se avessimo voluto incontrare Dell’Utri, l’avremmo potuto fare quando volevamo, a Palermo». Dopo aver sbrigato alcune faccende personali, Di Carlo decise di aggregarsi a Teresi, Bontade e Cinà: «Ci vedemmo con Marcello Dell’Utri in un ufficio al centro di Milano, in attesa di incontrare Berlusconi. Eravamo tutti “incravattati”, molto eleganti. Dopo pochi minuti arrivò questo costruttore, Silvio Berlusconi. Ci salutò tutti con una stretta di mano. Come tutti gli industriali milanesi, anche lui andava di corsa, però è stato gentilissimo. Parlava sempre lui. Se Bontade ha detto 20 parole, Berlusconi ne ha dette 2mila. Ha dato lezioni di costruzioni, visto che con noi c’era Mimmo Teresi, che faceva 2-3 palazzi a Palermo».

Berlusconi, che all’epoca di quell’incontro conosceva già il boss Tanino Cinà (titolare di una lavanderia e di un negozio di articoli sportivi a Palermo), «aveva paura dei sequestri». Fu questa, infatti, la ragione reale di quell’incontro. «Aveva ricevuto delle minacce e temeva che gli sequestrassero i figli o lui stesso. E voleva delle garanzie. Dell’Utri ne aveva quindi parlato a Tanino, pensando che lui fosse già dentro Cosa nostra. Tanino ne parla allora con Stefano, che si organizza per vedere a chi potevano mettere vicino a Berlusconi per avere tranquillità».

Per sedare il timore di Berlusconi dei sequestri di persona, «gli fu data la garanzia che gli avrebbero mandato qualcuno di Cosa nostra», ha riferito Di Carlo, secondo il quale, a quei tempi, «erano diversi gli industriali a rischio di rapimento, ma quando Cosa nostra piazzava un suo uomo accanto ad uno di questi, nessuno si permetteva di fare sequestri o altro. O almeno avvertiva se si poteva procedere». Durante quella riunione nell’ufficio milanese, durata circa un’ora, «Cinà tranquillizzò Berlusconi dicendogli: “Qualsiasi cosa, lei ci faccia sapere. Lei ha Dell’Utri vicino, si rivolga a lui per qualsiasi cosa e le manderemo qualcuno nella villa». E fu sempre Tanino Cinà, una volta terminato l’incontro e andati fuori a cena, che, rivolgendosi a Di Carlo, disse: «Frà, vedi se puoi convincere e ci mandiamo Mangano». Quest’ultimo, racconta il collaboratore di giustizia proseguendo la sua deposizione in videoconferenza, «non era così ben visto da Bontade, pur appartenendo al suo mandamento. All’interno di Cosa nostra non era molto simpatico, era per così dire un soldato leggero». «E allora ci misi la buona parola io e fu così che venne fuori il nome di Vittorio Mangano», effettivamente inviato poco tempo dopo ad Arcore, ufficialmente «per pulire le stalle della villa di Berlusconi», in realtà con il ruolo di «addetto alla sicurezza della sua famiglia».

«Tanino Cinà mi disse che chiese a Berlusconi, per conto di Stefano Bontade, tramite Dell’Utri, 100 milioni di lire», ha dichiarato ancora Di Carlo. Fu questa la contropartita pagata da Berlusconi a Cosa nostra, in cambio di quell’impegno a garantire la sicurezza per sé e per i propri figli.

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